Suona strano pensare ai Phoenix Suns come ad una delle squadre più consistenti di tutta la porzione di regular season che la Nba ha disputato all’interno della bolla di Orlando, eppure i numeri allestiti dai ragazzi diretti da Monty Williams hanno emanato sentenze chiarissime.

E’ stata una corsa pazzesca, al termine della quale ci si è in ogni caso dovuti confrontare con quanto sancito dalla realtà, nel senso che l’impensabile record di 8-0 registrato in Florida non è purtroppo stato utile a decretare il termine della lunga assenza della franchigia da una postseason che necessita di essere riavvolta all’annata 2009-2010 per ritrovare tracce della sua presenza, quando nello specifico si raggiunsero le finali della Western Conference soccombendo poi ai Lakers per 4-2.

L’esperienza è tuttavia servita a raccogliere prospettive assai positive in vista della riapertura del torneo, potendo quindi sognare di toccare con mano la fine della stasi dentro la quale la squadra era troppo a lungo caduta in questi ultimi anni di mediocrità trasformandosi in una presenza fissa in lotteria, un’entità senza né capo né coda distante anni-luce dal poter diventare una contender a breve termine, anche a causa di selezioni non esattamente brillanti in sede di valutazione di talento collegiale.

Prima della sontuosa cavalcata di Orlando i Suns erano considerati come una franchigia in lenta crescita, ma non certo pronta per giocare i playoff nonostante la presenza di Devin Booker, un vero e proprio colosso offensivo che si temeva avrebbe presto cominciato a mettere pressione al management con l’ottica di trasferirsi in un contesto più vincente, nonché quella di DeAndre Ayton, ancora indietro nella sua ricerca di potenziale dominanza nella parte più colorata del parquet.

L’arrivo di Chris Paul ha rappresentato una delle più grandi notizie della più recente offseason andando immediatamente a formare un backcourt di enormi potenzialità, una necessaria iniezione di saggezza cestistica ed immensa capacità tecnica da unire ad un roster acerbo ma in forte fase di sviluppo.

Phoenix è così divenuta merce da postseason nel giro di una trade, in quanto era perfettamente intuibile il beneficio che the point god avrebbe portato a Booker in termini di diminuzione di carico offensivo aggiungendo nel contempo un elemento letale nel gestire i palloni negli ultimi giri di orologio con le gare punto a punto, nonché gustosa era la possibilità di mettersi a fantasticare le possibili acrobazie a canestro in accoppiata con Ayton, creando un’edizione della lob city del tutto desertica.

Paul non ci ha messo molto nel far comprendere ai giovani Suns di poter essere il leader perfetto per realizzare l’auspicato progresso, se non altro perché parliamo di un giocatore il cui infortunio ha rappresentato il principale motivo per cui i Rockets non sono riusciti a completare il possibile upset dei Warriors nelle finali di Conference del 2018, e che ha confermato tutto il suo valore e la sua professionalità accettando il trasferimento ad Oklahoma City, permettendo agli acerbi Thunder di raggiungere addirittura il quinto posto ad Ovest in un’annata di presunta ricostruzione andando a sfiorare l’impresa contro Houston al primo turno.

Il ragionamento che ha portato CP3 in Arizona è stato del tutto simile, apportandogli ancora maggior onore approdando in una realtà in crescita evitando di cercare il superteam a tutti i costi, una scorciatoia evidentemente a lui non consona per tentare di concludere la rincorsa al primo titolo di una carriera da Hall Of Fame.

I Suns stanno ancora cercando l’amalgama ideale e sono consci di alcuni dei propri limiti, ma i risultati cominciano a pervenire con concretezza e discreta puntualità.

La partenza è stata addirittura bruciante, 5-1, una striscia poi interrotta dal bilancio esattamente opposto compilato tra l’11 ed il 27 gennaio scorsi, ottenendo segnali tanto dalla crescita di alcuni giovani quanto della necessità di porre tempestivo rimedio alle tendenze sfavorevoli manifestate in più di qualche circostanza, un quadro in cui Paul si è inserito gradualmente cercando di migliorare la chimica tra vecchi e nuovi elementi, apportando evidenti benefici in termini di circolazione di palla offensiva ed efficienza nell’ultimo quarto, oltre al naturale rivestimento del ruolo di mentore per i tanti ragazzi di talento che la formazione può offrire.

La sua presenza ha chiaramente avuto degli effetti nelle nuove logiche riguardanti la condivisione delle responsabilità del backcourt, fattore con cui si può certamente spiegare la prevedibile flessione – lieve, sia chiaro – nella media punti sinora registrata da un Booker in ogni caso più efficiente in quanto più spoglio di compiti, così come è cambiata la natura stessa della filosofia offensiva, oggi più incentrata sul pick’n’roll quale soluzione primaria attraverso la quale aprire il ventaglio di soluzioni a disposizione anziché concentrarsi quasi ed esclusivamente su un tiro da fuori che prima o poi arriva comunque.

La mini-crisi generata dalla doppia sconfitta consecutiva contro Denver, poi seguita dallo stop contro i Thunder, è stata molto utile nel permettere di trarre gli insegnamenti giusti.

Paul è stato molto vocale nella gestione della situazione, sottolineando anche pubblicamente la necessità di correggere l’atteggiamento mentale di una squadra che ha dimostrato di possedere tanta qualità ma evidentemente non ancora abituata a finire le partite, accumulando notevoli vantaggi poi sprecati nei quarti decisivi.

Non a caso la sconfitta contro Oklahoma City è nata da un parziale di 11-2 che i Suns hanno incamerato nei tre minuti conclusivi perdendo qualsiasi traccia del loro ritmo offensivo, sbagliando tiri a volte anche molto facili e commettendo turnover talvolta troppo ingenui, uniti a dimenticanze difensive da rivedere con urgenza nella stanza dei filmati.

Tuttavia, proprio durante lo svolgimento di questa fase negativa, DeAndre Ayton si è finalmente accorto di poter essere un lungo dominante.

Prima scelta assoluta dello stesso Draft che proponeva Luka Doncic, il centro è riuscito ad elevare la consistenza del suo gioco imponendosi di leggere meglio le difese sfruttando il suo maggior coinvolgimento e riconoscendo alla svelta i matchup a suo favore, misurandosi adeguatamente contro un tasso di talento molto più alto rispetto a quello affrontato al college, quand’era troppo abituato ad essere l’uomo in mezzo ai bambini.

L’utilità della presenza di Paul si spiega anche così, perché oltre alla miglioria tecnica c’è sempre da considerare il punto di vista psicologico, tanto più se i giovani riescono a mettere per un attimo da parte la loro fama universitaria sedendosi ad ascoltare la voce dell’esperienza.

Il risultato? Ayton sta giocando il suo miglior basket professionistico di sempre ed ha capito che deve essere uno dei pilastri del pick’n’roll oggi maggiormente adottato, che per com’è strutturato non può esimersi dal creargli maggiori opportunità a patto che lui stesso si faccia avanti con maggiore decisione.

Il basket più perimetrale precedentemente praticato da Phoenix andava chiaramente a precludergli più di qualche conclusione facendogli perdere aggressività, quest’ultima proprio la chiave nella svolta riscontrata nel suo atteggiamento in campo mettendo a frutto tutti i colloqui costruttivi affrontati con il neo-arrivato Jae Crowder, il quale oltre che essere un 3&D di qualità è un collante per il roster, sempre pronto a mettersi a servizio dei più giovani per estrarre grinta dal loro approccio alla gara.

I Suns hanno ripreso le redini del loro campionato maturando in fretta imparando a finire le partite, a non subire parziali eccessivi e ad aggredire sin dalla palla a due. In questo contesto è stata determinante la visibile crescita di Mikal Bridges, che ha sensibilmente migliorato tutte le sue statistiche personali progredendo in particolare nell’efficienza da oltre l’arco plasmandosi nel contempo come il miglior difensore perimetrale del roster, l’elemento al quale affidare il miglior attaccante avversario di serata.

Il suo percorso offensivo è piacevolmente molto simile a quello intrapreso da Cameron Johnson, il quale sta eseguendo il miglior lavoro possibile per divenire un sesto uomo determinante e rendere Phoenix parte vincente dello scambio di scelte deciso con i T’Wolves in occasione del Draft 2020, quando venne imbastita una trade che coinvolse i diritti di Jarrett Culver che all’epoca pareva essere molto più favorevole per la franchigia con sede a Minneapolis.

Il presente campionato ha rivelato dunque un’identità di squadra molto differente rispetto alla precedente decade abbondante, rimettendo in pista una realtà che al momento – Lakers esclusi – ad Ovest parrebbe potersi misurare con chiunque a patto di non cadere più nell’immaturità di cui già si è avuta prova in questo inizio di campionato.

Il mix di peculiarità che la compagine di Monty Williams può mettere sul piatto è quantomeno intrigante, dal momento che sussiste l’elasticità tattica per assumere diverse sembianze dando di volta in volta priorità al gioco perimetrale, alla sopraggiunta efficienza nel pitturato ed alla gestione del pick’n’roll supervisionata da una delle più grandi menti che il basket abbia mai visto nella sua storia, la stessa che ha permesso a tutte le squadre in cui ha trascorso la carriera di fruire del salto di qualità che serviva loro.

Oggi, a quanto pare, è arrivato il turno dei Phoenix Suns.

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