Dopo un mese abbondante di stagione NBA le previsioni (spesso entusiastiche) della preseason iniziano a lasciare il posto ai primi giudizi (talvolta molto meno entusiastici) sull’andamento delle squadre.
Per i Miami Heat vicecampioni NBA questi giudizi non sono stati molto lusinghieri; d’altra parte la situazione di classifica vede la formazione allenata da Erik Spoelstra solo al tredicesimo posto della Eastern Conference con un non esaltante 7-12 e solo quattro squadre con una percentuale di vittorie minore (in particolare i derelitti Detroit Pistons, due squadre in palese difficoltà come i Wizards e i Pelicans e i Timberwolves alle prese con l’infortunio al polso della stella Towns)
Sicuramente ci sono gli estremi per parlare di “crisi Heat” ma è già il momento di dare per condizionata, se non compromessa, l’annata di Miami?
La prima considerazione da fare sulla stagione dei campioni uscenti della Eastern Conference non può che riguardare Jimmy Butler, leader morale e materiale della squadra, di cui molti appassionati hanno apprezzato la trasformazione (non senza la mano di coach Spoelstra) da scorer puro a uomo squadra. L’ex Bulls ha infatti giocato solo 7 delle 19 gare disputate dagli Heat e l’assenza causa Coronavirus gli ha lasciato strascichi fisici da non sottovalutare, come evidenziato dalla sua prima apparizione dopo lo stop in cui lo abbiamo visto visibilmente provato e dimagrito.
L’assenza di Butler non ha privato Miami solo di uno dei suoi scorer di punta (17.9 punti a gara per Jimmy Buckets, secondo solo a Bam Adebayo che ne realizza 19.9 di media) ma anche, come accennato, di un giocatore che grazie al lavoro sia suo che del coaching staff rappresenta una garanzia assoluta di affidabilità nei momenti caldi, togliendo pressione al resto dei suoi compagni. In un sistema corale come quello di Spoelstra l’importanza del numero 22 va quindi oltre le statistiche: senza il go-to-guy che prende le responsabilità più pesanti questo sistema corale si è più volte inceppato, e infatti gli Heat hanno inanellato cinque L di fila di cui 3 con scarti in doppia cifra.
Ma soprattutto il ritorno di Butler è coinciso immediatamente con una vittoria nella notte del 30 gennaio, dopo una gara punto a punto contro i Sacramento Kings in cui Jimmy non è venuto meno al suo ruolo di leader. Le cifre parlano di 30 punti (massimo stagionale) 7 rimbalzi e 8 assist, a conferma della nuova vocazione di uomo squadra per un giocatore nato come realizzatore puro, ma dietro di esse c’è la sua performance nel finale di partita.
Dopo essersi fatti rimontare dai Kings 11 punti di vantaggio (91-80 in favore di Miami a 10′ dal termine) i Miami Heat hanno subito il sorpasso a 1’45” dal termine della gara in uno dei modi psicologicamente peggiori: dopo un rimbalzo difensivo, Bam Adebayo si fa strappare il pallone da Buddy Hield sotto il proprio canestro e la guardia di Sacramento non ci pensa troppo su, corre fuori dall’arco e spara da tre punti infilando il missile del 104-103 in favore della formazione californiana.
Un’azione del genere sarebbe potuta essere drammatica per una squadra reduce da cinque sconfitte di fila e che vedeva chiaramente gli spettri di una nuova gara persa, tuttavia è stato proprio Butler a prendere e realizzare il canestro del controsorpasso mettendo a sedere Harrison Barnes a 40” dal termine e a raddoppiare in modo magistrale sul tentativo di De’Aaron Fox per il tiro della vittoria. Ovviamente non ci sarà mai la controprova, ma l’impressione è, altrettanto ovviamente, che senza Jimmy Butler Miami avrebbe incassato la sesta L consecutiva.
Butler è tornato, quindi, e malgrado le conseguenze dello stop sembra più che mai agguerrito e combattivo. Tuttavia non è solo da lui che dipenderanno le sorti future dei Miami Heat: nessuno vince da solo, nel basket come in ogni sport di squadra, ma sarebbe ancora più un assurdo matematico che una formazione le cui fortune recenti sono derivate da un solido e collaudato sistema di squadra dipendesse da un solo giocatore.
E qui veniamo al rendimento del resto della squadra senza Butler.
La sorprendente finale NBA dello scorso anno ha rappresentato il trionfo di una serie di giocatori poco considerati nei rispettivi anni da rookies come Duncan Robinson, Tyler Herro e lo stesso Bam Adebayo, che però hanno portato a casa il titolo dell’Est e la conseguente serie coi Lakers sia perchè messi in condizione di rendere al meglio da Erik Spoelstra, sia per la qualità nell’adempiere ognuno al proprio ruolo nella pallacanestro dell’ex assistente di Pat Riley. Come spesso accade in questi casi però è facile che nell’annata successiva le difese abbiano molti più elementi per studiare gli avversari e preparare le giuste contromosse.
A questo bisogna aggiungere il fattore avversità: detto dell’assenza prolungata di Jimmy Butler, è notizia recentissima la positività del coinquilino di Tyler Herro a causa della quale la guardia Heat dovrà sottoporsi ai dovuti e giustissimi controlli. Insomma, vincere è già difficile, confermarsi lo è ancora di più, specie in una situazione particolare come quella della pandemia Covid-19.
Da questo punto di vista le considerazioni sono più morali che tecniche: i componenti dell’ancora ottimo roster dei Miami Heat dovranno avere la forza e l’abilità di non cedere mentalmente alle difficoltà del momento e alla pressione della riconferma. Del resto i punti di forza della squadra oltre a Butler non sono cambiati: Adebayo mantiene una quasi doppia-doppia di media, aggiungendo 9.6 rimbalzi ai già citati 19.9 punti a gara, Robinson supera il 40% da tre in stagione pur tirando più di 8 volte dall’arco a partita, Goran Dragic nonostante i 34 anni mantiene 15.9 punti di media con 5.3 assist.
Gli elementi che hanno reso di nuovo grandi i Miami Heat sono ancora tutti al loro posto: sta alla squadra tornare a utilizzarli. Il lavoro di Erik Spoelstra nel motivare i suoi giocatori e mantenere chiari e definiti ruoli e gerarchie sarà ancora più importante in questo contesto.
La classifica piange, ma la stagione degli Heat non è compromessa: ora hanno di nuovo Jimmy Butler e hanno interrotto la serie negativa. Al roster di Miami e al suo coach il compito di dimostrarsi più forti delle avversità e tornare a macinare gioco e risultati come nella cavalcata playoff della bolla di Disneyland.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.