La serie playoff tra Milwaukee Bucks e Miami Heat, semifinale della Eastern Conference, è ufficialmente passata agli archivi, e il risultato parla chiaro: 4-1 per Miami, che quindi, contando anche lo sweep ai danni degli Indiana Pacers, ha perso finora solo una partita di questi playoff, peraltro al supplementare.

Le prime reazioni a questo sorprendente risultato hanno riguardato soprattutto Giannis Antetokounmpo, che vede ancora rimandata l’occasione per fregiarsi di un titolo NBA (ma ne avrà comunque moltissime altre) ed è subito finito al centro di una pioggia di speculazioni in merito a una sua possibile partenza dal Wisconsin.

Ma guardando le cinque partite con cui Miami ha guadagnato il pass per la finale di Conference, possiamo dire con certezza che questa serie playoff, più che la sconfitta dei Bucks, rappresenta la vittoria degli Heat, padroni del campo nella stragrande maggioranza dei minuti.
In particolare, rappresenta la vittoria dell’uomo che da 12 anni ricopre il ruolo di head coach di Miami: Erik Spoelstra.

Classe 1970, dopo una breve carriera di cestista che già a 22 anni lo vede nel doppio ruolo di player-coach in seconda divisione tedesca, Spoelstra entra a far parte dei Miami Heat nel 1995 come “video analyst”. Ad accompagnare il suo percorso verso il ruolo di allenatore è un maestro d’eccezione: Pat Riley, di cui è uno degli assistenti quando nel 2006, grazie anche (ma non solo) alla leggenda Shaquille O’Neal e all’esplosione di Dwyane Wade , i Miami Heat conquistano il primo titolo NBA della loro storia battendo in finale i Dallas Mavericks.

Proprio Riley, concluso il ciclo Shaq, dà la sua benedizione al giovane Spoelstra scegliendolo come suo successore nel 2008, dopo la sua decisione di fare un passo indietro e occuparsi solo del ruolo dirigenziale. L’ex coach dei Los Angeles Lakers di Magic e Jabbar afferma infatti che Spoelstra è “un uomo nato per allenare” e, dopo più di dieci anni di servizio agli Heat, l’allora 38enne Spoelstra debutta come head coach della franchigia.

Il primissimo periodo di Spoelstra come capo allenatore vede i riflettori puntati su Dwyane Wade, la stella della squadra, che da delfino di O’Neal diventa un vero leader non solo per punti segnati. Il ritorno ai playoff di Miami è immediato, ma produce solo due eliminazioni consecutive al primo turno dell’allora poco esaltante Eastern Conference.

Quando l’estate 2010 vede la Decision di LeBron James portarlo in Florida insieme a Chris Bosh, Spoelstra inizia a ricevere attenzioni dai media, ma dal lato sbagliato dei riflettori.

Molti pensano che un coach ancora poco esperto e considerato di scarsa personalità sarebbe durato poco al cospetto di tre giocatori dotati di personalità fortissime come i Big Three James, Wade e Bosh, e che presto sarebbe tornato il momento di vedere Pat Riley come capo allenatore . A queste voci si aggiungono le dichiarazioni di Wade, che su Spoelstra afferma “he’s not my guy, but he’s my coach”

Ma dopo una partenza estremamente zoppicante (9 vinte e 8 perse nelle prime 17 gare), i nuovi Heat cominciano a ingranare e chiudono la regular season 2010-11 con un record di 58–24 e il secondo seed della Conference. Dopo aver sconfitto Sixers, Celtics e Bulls (tutti in 5 gare), il finale della stagione è però quanto di più beffardo si potesse immaginare.

Gli Heat vengono battuti in finale per 4-2 dai Dallas Mavericks, che si prendono una sonora rivincita dopo la sconfitta del 2006 e festeggiano all’American Airlines Arena il loro primo titolo NBA. Un risultato del genere non può che portare a processi a raffica ai danni dei giocatori (LeBron James in testa, decisamente sottotono nelle gare di finale) e del coaching staff, su cui i dubbi, come abbiamo visto, erano già molti.

Tuttavia Riley, dopo aver preso in considerazione l’ingaggio di Phil Jackson, decide di credere ancora in Erik Spoelstra, che impara dalla più cocente delle sconfitte a costruire una carriera da vincente. Il lavoro del coach, unito alla voglia di rivincita dei suoi e a qualche saggio aggiustamento nel roster (nel 2011 l’ingaggio del collante difensivo Shane Battier, nel 2012 gli arrivi prima di Ray Allen e poi di Chris Andersen) portano non uno, ma due anelli NBA ai Miami Heat: le finali 2012 vedono LeBron James distruggere Oklahoma City, quelle 2013 portano in dote il formidabile canestro di Allen che ribalta la serie contro San Antonio.

Erik Spoelstra esce dal ciclo dei Big Three arricchito non solo dei due titoli, ma anche del riconoscimento, da parte dei media e soprattutto dei suoi giocatori più importanti, della qualità del suo lavoro; in altre parole, il rispetto. E così, quando nel 2014 il ciclo si chiude con la sconfitta di Miami ancora in finale NBA contro gli stessi San Antonio Spurs battuti l’anno prima, i dubbi sono pochi: il processo di rebuilding sarà costruito attorno a Wade e al giovane coach di origini filippine.

Gli anni successivi hanno visto stagioni non esaltanti per gli Heat, ma Spoelstra è sempre rimasto al suo posto, con il suo profilo basso e la sua etica del lavoro. In questo periodo coach Spo costruisce il suo sistema di gioco e trova giocatori oggi fondamentali per tale sistema come Kelly Olynyk e Goran Dragic. Anche le parole di Wade, negli anni, sono cambiate: da quel “Non è il mio uomo, ma è il mio coach” allo “Spoelstra non riceve mai il riconoscimento che meriterebbe” pronunciato a maggio di quest’anno.

Qualche mese dopo questa dichiarazione dell’ex idolo dell’American Airlines Arena, le parole di Wade trovano conferma in questi playoff. A impressionare è soprattutto come Spoelstra sia stato capace di trarre il massimo da un giocatore come Jimmy Butler, da grandissimo talento individuale a leader di squadra capace di prendersi le responsabilità quando necessario, e di rendere dei giocatori poco considerati al Draft NBA come Duncan Robinson (non scelto) Kendrick Nunn (anche lui undrafted) e Bam Adebayo (14ma scelta) le pedine di un sistema di squadra ordinato, quadrato ed efficiente.

Nella serie contro i Bucks la mano di Spoelstra è stata evidente soprattutto dal punto di vista difensivo, con una costante pressione sugli avversari e cambi difensivi rapidi e regolari. In questo modo Miami ha privato Milwaukee degli spazi sul perimetro generati dalle incursioni al ferro di Antetokounmpo, esponendo le difficoltà tecniche del greco e dei suoi compagni e smontando uno a uno gli aggiustamenti (per la verità pochi) studiati dal coach avversario.

E così, sei anni dopo l’ultima volta, Spoelstra ha riportato Miami alla finale di Conference, per inseguire la quinta finale NBA della sua carriera agli Heat. Una carriera costantemente fuori dalle luci della ribalta, ma che lo ha portato da quell’incarico di analista video del 1995 ad essere il vero punto di riferimento della franchigia della Florida.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.