Per diversi anni la Southwest Division è stata equiparabile ad un dantesco girone infernale (vabbè, magari non proprio letteralmente ma ci siamo capiti). Le tre texane Rockets-Mavericks-Spurs campeggiavano in pianta stabile ai playoff, i Grizzlies del grit-and-grind vendevano cara la pelle contro qualunque avversario e i Pelicans potevano vantare il monociglio più pericoloso del West.
Oggi? Il suddetto monociglio è ancora nel West ma veste in gialloviola, a Memphis si ricostruisce sui giovani, a Dallas si spera di non aver investito 158 milioni di dollari su un ginocchio marcio, a Houston sperano di far coesistere due giocatori che nessuno crede possano farlo e a San Antonio… vabbè a San Antonio c’è sempre Popovich, ma a vedere i risultati dei mondiali di basket anche a lui i miracoli mica riescono sempre.
Tutto questo per dire che la Southwest quest’anno sarà una division noiosa? Certo che no, magari solo un po’ più difficile da interpretare. Perché di novità, come detto, ce ne sono parecchie.
San Antonio Spurs
LaMarcus Aldridge chiuderà probabilmente un’altra stagione attorno ai 20+10. Ma basterà?
Arrivi: DeMarre Carroll, Trey Lyles, Luka Samanic, Keldon Johnson
Partenze: Davis Bertans, Dante Cunningham, Quincy Pondexter, Donatas Motiejunas
Probabile quintetto: Dejounte Murray, Derrick White, DeMar Derozan, Lamarcus Aldridge, Jakob Poeltl
Punti di forza: un roster rodato, due star affermate, un genio in panchina sempre in grado di estrarre un coniglio dal cilindro
Punti di debolezza: nessun rinforzo di rilievo, due star che non sono delle vere superstar e un genio che potrebbe (alla fine) aver terminato i conigli
Analisi. Tra tutte le squadre della division, i neroargento sono quelli che hanno cambiato meno. Questa è da considerarsi una cosa positiva oppure no? Barrerei la risposta B, perché la scorsa stagione ha dimostrato abbastanza nettamente come il nucleo degli attuali Spurs, per quanto sicuramente valido, non sia in grado di competere con le squadre di prima fascia della NBA. Dalle parti dell’Alamo sperano che il ritorno in campo di Dejounte Murray, azzoppato nella scorsa stagione dalla rottura del legamento crociato del ginocchio destro, possa stabilizzare una difesa che l’anno passato è stata insolitamente porosa (20esima per defensive rating). Il prodotto di University of Washington ha le carte in regola per diventare una delle guardie più intriganti del prossimo futuro, a patto che sistemi un po’ la meccanica di tiro e che dimostri di essersi completamente ripreso dall’infortunio, senza aver perso quell’esplosività atletica che aveva convinto gli Spurs a renderlo una delle pietre angolari del futuro.
Il presente è però ancora sulle spalle dei due All Star della squadra, LaMarcus Aldridge e DeMar DeRozan. Se il primo ha ormai risolto i suoi problemi con Popovich, diventando addirittura uno dei giocatori più apprezzati dal coach grazie ad un impegno costante e ad un’accresciuta applicazione difensiva, il secondo ha visto lo scorso giugno i suoi ex-compagni di squadra dei Toronto Raptors diventare campioni NBA, ma dovrà accontentarsi di affrontare questa stagione con l’obiettivo di consolidare un’ulteriore crescita a livello personale perché le speranze di un nuovo titolo per i neroargento sono ridotte al lumicino.
Tra i nuovi arrivi, sia DeMarre Carroll che Trey Lyles troveranno sicuramente spazio, mentre per i rookie Samanic e Johnson si prospetta il solito periodo di purgatorio nella cuccia di Pop (a proposito, terminata la quarantena quest’anno si potrebbero finalmente vedere sul parquet i capelli di Lonnie Walker IV per più di due minuti consecutivi).
La postseason resta comunque un obiettivo alla portata, anche perché qui si fanno i playoff da ventidue stagioni consecutive e mica si vorranno deludere ‘sti poveri tifosi. In fondo Aldridge e DeRozan sono e restano due signori giocatori, Rudy Gay ha dimostrato di poter ancora dare il suo contributo e con un Patty Mills in versione Australian Beast Mode nessun traguardo è irraggiungibile. Ma potrebbe comunque non bastare, perlomeno per superare il primo turno contro altre squadre dell’Ovest che appaiono decisamente più profonde e attrezzate.
Record 2018-19: 48 W / 34 L
Previsione 2019-20: 45 W / 37 L
Dallas Mavericks
Intanto Porzi pare abbia messo su qualche muscoletto nuovo
Arrivi: Delon Wright, Seth Curry, Boban Marjanovic, Isaiah Roby
Partenze: Dirk Nowitzki, Trey Burke, Devin Harris, Salah Mejri
Probabile quintetto: Delon Wright, Tim Hardaway JR, Luka Doncic, Dwight Powell, Kristaps Porzingis
Punti di forza: una coppia di europei potenzialmente esplosiva, una panchina ben assortita, una guida tecnica sempre di altissimo livello
Punti di debolezza: non c’è più il biondo con il 41, Porzingis non gioca da un anno e mezzo, Doncic non sarà più una sorpresa per nessuno
Analisi. Il prossimo 22 Ottobre i Mavericks si presenteranno al via del campionato senza Dirk Nowitzki. Dopo 21 stagioni, il più grande giocatore nella storia della franchigia texana e uno dei più forti realizzatori nella storia della NBA non farà infatti parte del roster a disposizione di Rick Carlisle.
Il suo ritiro ha aperto una voragine nel cuore di tutti i tifosi di Dallas (eccomi, ndr), ma allo stesso tempo può significare l’inizio di un nuovo ciclo che da queste parti ci si aspetta venga guidato da altri due giocatori nati tra i confini europei. Il primo, Luka Doncic, viene da una clamorosa prima stagione nella quale ha spazzato via tutte le perplessità di quei volponi degli analisti americani, sempre pronti a bollare come overrated i prospetti europei a prescindere dalla loro qualità.
Lo sloveno ha chiuso il suo primo anno nella Lega con 21.2 punti, 7.8 rimbalzi e 6.0 assist di media in poco più di 32 minuti di utilizzo: cifre assurde, che abbinate alla devastante sicurezza dimostrata nei momenti clutch qualificano Doncic come uno dei probabili dominatori della NBA del prossimo decennio.
Il secondo, Kristaps Porzingis, è l’epitome del concetto di Unicorn: è un 2 e 20 in grado di stoppare qualunque cosa si muova, attaccare dal palleggio come fosse una guardia e tirare da nove metri con risultati eccellenti. I dubbi che lo accompagnano riguardano la tenuta fisica (il ginocchio ha fatto crack circa un anno e mezzo fa e da allora Porzi non ha più giocato una singola partita) e un’attitudine mentale forse un po’ soft (non è palesemente entusiasta di giocare in mezzo all’area, dove ci sono i contatti più duri).
Dubbi che però non hanno impedito ai Dallas Mavericks prima di scambiare mezza squadra per arrivare a lui, ricevendo nel pacchetto anche accordi piuttosto onerosi come quelli di Tim Hardaway e Courtney Lee, e poi di allungargli un contrattone di 158 milioni in 5 anni che fa di Porzingis la scommessa più costosa nella storia della franchigia.
Le speranze di un futuro luminoso per i Mavs sono quindi affidati a questi due talenti, perchè il resto del roster è sì discreto, ma non eccezionale. Detto di Hardaway e Lee, che comunque il loro contributo potranno darlo per quanto pagato caruccio, i texani hanno comunque un buon mix di giovani e veterani che daranno a Carlisle diverse possibilità per costruire qualcosa di interessante.
La free agency estiva non ha portato i grandi nomi che forse Mark Cuban sperava, ma sono arrivati due giocatori utili come Seth Curry (che in carriera ha una percentuale da tre punti perfino superiore a quella del fratello Steph), Boban Marjanovic (#freeBoban) e soprattutto Delon Wright. La guardia ex Grizzlies nella parte di stagione 2018/19 passata a Memphis ha compilato le migliori cifre della sua giovane carriera (12.2 punti, 5.6 rimbalzi, 5.4 assist) ed è atteso alla stagione della consacrazione. Ovvio però che, in una Western Conference competitiva come non mai, servirà una grande annata (e un Porzingis sano) anche solo per raggiungere i playoff, mentre i traguardi più l’impressione è che il roster attuale sia ancora inadeguato. Il nuovo ciclo dei Mavs è comunque cominciato, rimane solo da vedere fin dove potrà portare.
Record 2018-19: 33 W / 49 L
Previsione 2019-20: 43 W / 39 L
Houston Rockets
La faccia di Westbrook è già un programma
Arrivi: Russell Westbrook, Tyson Chandler, Ben McLemore, Anthony Bennett, Shamorie Ponds
Partenze: Chris Paul, Iman Shumpert, Kenneth Faried, Terrence Jones
Probabile quintetto: Russell Westbrook, James Harden, Danuel House Jr, PJ Tucker, Clint Capela
Punti di forza: un ex-MVP semi-onnipotente in attacco, un altro ex-MVP che non sa cosa voglia dire la parola “impossibile”, un allenatore offensivamente geniale
Punti di debolezza: due ex-MVP che in una metà campo sono dei sostanziali casellanti, una panchina corta, un allenatore difensivamente rivedibile
Analisi. Russell Westbrook e James Harden. Due dei dieci più forti giocatori del mondo condivideranno la stessa canotta per i prossimi tre/quattro anni, stagioni i cui la loro sola presenza in campo renderà i Rockets credibili contender al titolo NBA a prescindere dalle operazioni di mercato di tutte le altre ventinove franchigie. Questo il pensiero che probabilmente hanno avuto Daryl Morey e il resto dei dirigenti di Houston quando hanno premuto il pulsante accept sulla proposta di trade che ha spedito in Oklahoma il play Chris Paul assieme a due prime scelte al draft del 2024 e del 2026 e al diritto di scambiare quelle del 2021 e del 2025. Ma è davvero così?
Non c’è dubbio che nel breve periodo l’arrivo di Westbrook potrebbe rappresentare un boost di energie ad un gruppo che, pur essendo arrivato ad un bicipite femorale di distanza dal detronizzare i campioni dei Golden State Warriors nei playoff del 2018, sembrava essersi dimostrato incapace di arrivare fino allo striscione del traguardo. Inoltre, liberarsi del contratto-capestro di CP3 che chiama oltre 120 milioni di presidenti spirati da qui al 2022, è stato un jolly non da poco.
Ma il prezzo pagato in termini di scelte è stato elevato: tre di esse (due pick e uno swap) partiranno dal 2024 in avanti, quando il ciclo di Harden e Westbrook sarà terminato e potrebbe quindi trattarsi di chiamate piuttosto alte. Inoltre, lo stesso Westbrook non arriva certo a prezzo di saldo (percepirà 171 milioni nei prossimi quattro anni) e soprattutto che la convivenza tra due dei più clamorosi ball hogs nella storia recente della NBA possa funzionare è questione tutta da dimostrare.
Non tanto offensivamente, perché D’Antoni sotto questo aspetto ha già dimostrato in passato di saper trarre il meglio anche in situazioni tecnicamente non semplici, quanto dal punto di vista difensivo. Lì il duo di ex-mvp contribuirà realisticamente poco e gli altri tre membri del quintetto dovranno perciò prodigarsi in copiosi sforzi supplementari, accontentandosi poi di ricevere saltuariamente il pallone una volta arrivati nell’altra metà campo.
Il talento comunque di certo non manca e, in una Western Conference completamente rivoluzionata dai movimenti di mercato (soprattutto californiani), i Rockets avranno ancora una volta la possibilità di puntare al bersaglio grosso. Certo, la panchina è ancora una volta un po’ corta, ma forse Anthony Bennett… Vabbè, come non detto.
Record 2018-19: 53 W / 29 L
Previsione 2019-20: 57 W / 25 L
Memphis Grizzlies
Occhio che questo qui potrebbe essere un vero e proprio crack
Arrivi: Ja Morant, Brandon Clarke, Tyus Jones, Andre Iguodala, Jae Crowder, Solomon Hill, De’Anthony Melton, Grayson Allen, Josh Jackson, Miles Plumlee
Partenze: Mike Conley, Delon Wright, Joakim Noah, Avery Bradley, Justin Holiday, Chandler Parsons, C.J. Miles, Jevon Carter, Tyler Dorsey, Julian Washburn, Tyler Zeller
Probabile quintetto: Ja Morant, Dillon Brooks, Jae Crowder, Jaren Jackson Jr, Jonas Valanciunas
Punti di forza: una squadra giovane e interessante, due potenziali superstar del futuro, un’annata da affrontare senza niente da perdere
Punti di debolezza: poca esperienza nei giocatori chiave, pochissima esperienza in panchina, un tunnel ancora lungo prima di vedere la luce
Analisi. I Grizzlies vengono da due stagioni complicate: 33 vittorie l’anno scorso, 22 quello precedente. I profeti del grit-and-grind hanno progressivamente perso pezzi per strada e della squadra finalista di conference nel 2013 (seppur sconfitta 4-0 dai soliti Spurs) ormai non rimane che il ricordo nei cuori dei tifosi.
Le partenze di Marc Gasol nella scorsa stagione e di Mike Conley durante la offseason hanno infatti sancito il definitivo inizio di un nuovo ciclo, che poggerà le fondamenta su due giovani promesse ad oggi ancora molto acerbe ma che sembrano avere le stigmate di future superstar.
Jaren Jackson Junior ha già palesato nella passata stagione lampi di sconfinato talento. Un 2 e 11 con quelle braccia e quelle movenze feline appartiene di diritto alla categoria degli unicorni cestistici (cfr. il lettone di cui sopra). JJJ ha dimostrato di aver già fatto sensibili miglioramenti nella comprensione del gioco, anche se 3.8 falli a partita di media sono decisamente troppi, e di aver cominciato ad irrobustire muscolarmente un fisico che all’ingresso nella Lega era decisamente troppo gracile (ma le sole 58 partite disputate a causa di infortuni vari preoccupano un po’).
Ja Morant è invece il volto nuovo dell’ultimo draft. Scelto da Memphis con la seconda scelta assoluta, l’ex Murray State è un playmaker che ha sfiorato quota 25+10+5 nella sua annata da sophomore e che arriva in Tennessee per prendere in mano fin dal primo giorno le redini della squadra. Morant ha certamente le qualità tecniche e atletiche per diventare una delle stelle della futura NBA, ma dovrà iniziare dal ridurre il numero di palle perse (oltre cinque nella scorsa stagione collegiale) e migliorare sia il tiro da fuori che (soprattutto) l’approccio nella metà campo difensiva.
Il resto? Parecchia carne al fuoco e tanti volti nuovi da accogliere in palestra (Iguodala a parte, che non vedrà Memphis nemmeno in cartolina), con un allenatore alla prima stagione NBA (Taylor Jenkins) che dovrà subito cercare di creare una nuova identità di gioco in una squadra quasi completamente rivoluzionata.
Purtroppo però, a parte Valanciunas forse Crowder, mancano giocatori in grado di incidere nel breve periodo sul numero di vittorie complessive. Tanto spazio quindi ai giovani, sperando che i sogni di grandezza di Jackson e Morant si tramutino presto in solide realtà (semi-cit).
Record 2018-19: 33 W / 49 L
Previsione 2019-20: 28 W / 54 L
New Orleans Pelicans
Preparate i ferri della NBA ad una stagione che si prospetta piuttosto difficile
Arrivi: Zion Williamson, Lonzo Ball, Brandon Ingram, Josh Hart, Derrick Favors, J.J. Redick, Nicolo Melli, Jaxson Hayes, Nickeil-Alexander Walker
Partenze: Anthony Davis, Julius Randle, Elfrid Payton, Ian Clark, Cheick Diallo, Solomon Hill, Stanley Johnson, Christian Wood, Dairis Bertans
Probabile quintetto: Lonzo Ball, Jrue Holiday, Brandon Ingram, Zion Williamson, Derrick Favors
Punti di forza: una squadra con molte possibili varianti tecniche, il più emozionante dunker degli ultimi dieci (venti) anni, tantissime scommesse interessanti
Punti di debolezza: molti giocatori con una sospetta storia di infortuni alle spalle, manca una solida struttura di gioco, non tutte le scommesse verranno vinte
Analisi. Rivoluzione. Difficile trovare un’altra parola per descrivere quanto accaduto in estate nella formazione della Louisiana: nove giocatori della stagione 2018/19 hanno portato le rispettive labbra ad indirizzi nuovi e altrettanti nomi inediti hanno trovato collocazione sugli armadietti negli spogliatoi dello Smoothie King Center. Di tutti i giocatori che non rivedremo più con la maglia dei Pelicans ce n’è uno che ha fatto particolarmente rumore, non soltanto per la sua partenza quanto per i tempi e i modi in cui tale separazione si è concretizzata.
Anthony Davis ha concluso la sua carriera a New Orleans in modo francamente non bello, chiedendo a gran voce la cessione già a inizio febbraio e facendo capire di gradire una e una sola destinazione, complicando quindi non poco il lavoro della sua dirigenza nel cercare un partner con cui completare la trade.
Il monociglio più forte del mondo con palla da basket in mano alla fine ha ottenuto quello che desiderava, anche se i Lakers di LeBron James hanno dovuto pazientare fino a metà giugno e per vestirlo di gialloviola hanno dovuto cedere mezza squadra includendo nel pacchetto anche un rene di Rob Pelinka. Proprio sulla contropartita di quella trade lo staff tecnico dovrà costruire le fondamenta per un nuovo ciclo vincente (oddio nuovo, facciamo primo) per la franchigia, dopo che l’eccellente lavoro del GM David Griffin ha permesso di tramutare una possibile disgrazia in una concreta possibilità di rinascita.
Ball, Ingram e Hart potranno dare un contributo fin da subito, perché si tratta di giocatori giovani ma già sufficientemente rodati a livello NBA. Il loro ceiling è particolarmente incerto, ma l’esperienza di Jrue Holiday e dei nuovi arrivi Derrick Favors e JJ Redick (ma anche di Nick Melli) aiuteranno sicuramente nell’obiettivo di convertire il (tanto) talento disponibile in risultati concreti.
Per lo spettacolo basterà rivolgersi a Zion Williamson, clamoroso fenomeno fisico messo assieme da Madre Natura con la stessa logica con cui ha creato il calabrone (che secondo le normali leggi fisiche non dovrebbe essere in grado di volare ma lui se ne frega) che promette di frantumare almeno una decina di tabelloni da qui al termine della regular season. I playoff appaiono complessi da raggiungere, ma date le premesse ai tifosi dei Pelicans poteva andare certamente peggio.
Record 2018-19: 33 W / 49 L
Previsione 2019-20: 35 W / 51 L
Ex pallavolista ma con una passione ventennale per il basket NBA e gli sport americani in generale. Tifoso dei Mavericks, di Duke e dei ’49ers, si ispira a Tranquillo e Buffa ma spera vivamente che loro non lo scoprano mai.