“Quel giorno… riaffiorò alla mente dell’umanità… il terrore… di essere assoggettati da quelli…”
Così recita l’incipit de “L’attacco dei giganti”, anime rivelazione degli ultimi tempi che vede i superstiti dell’umanità costretti all’interno di città circondate da altissime mura a causa dell’improvvisa comparsa dei giganti, enormi creature umanoidi che divorano gli uomini senza un apparente motivo. Dopo un periodo di 100 anni all’interno delle mura al riparo dal nemico, ecco che all’improvviso un attacco di questi esseri sovrannaturali mette di nuovo a rischio l’esistenza stessa del genere umano.
Il Gigante Colossale, A.K.A. Joel Embiid, mentre osserva il suo nuovo terreno di conquista, la Eastern Conference
Viene da chiedersi se Elton Brand, plenipotenziario dei Philadelphia 76ers, non abbia voluto riproporre nei nuovi sixers la sua personale versione cestistica di questa perla dell’animazione giapponese. Con l’acquisizione di Al Horford, il GM ha completato l’assemblaggio di una squadra unica per stazza e lunghezza, andando in netta controtendenza alla recente moda small-ballista della lega. L’obiettivo è riportare la città dell’amore fraterno a quelle finali che mancano dall’indimenticabile cavalcata di The Answer & Co. nel lontano 2001.
La strategia adottata è molto semplice: in un’epoca dove viene preferita la leggerezza rispetto al tonnellaggio, si accumulano quanti più giocatori di peso per bullizzare fisicamente gli avversari. Ci sono però numerose perplessità sulla felice convivenza di così tanti giocatori di questo tipo nell’epoca del pace & space, che proveremo ad analizzare in questo articolo per rispondere a due fondamentali domande.
Riuscirà l’umanità a respingere la terribile minaccia dei giganti? O tutti i giocatori al dì sotto dei 2 metri verranno divorati in post da titani di 100 chili?
Born to lose
Riavvolgiamo il nastro a 5 anni fa: Sam Hinkie, giovane GM dei 76ers ha la folle idea di portare il tanking alle sue estreme conseguenze per arrivare all’agognata superstar su cui costruire LA squadra da titolo. Allestisce quindi un roster il meno competitivo possibile per accumulare scelte al draft, privilegiando in fase di scelta giocatori non pronti da subito. La descrizione calza a pennello a Joel Embiid, talentuoso centro camerunense che dal draft del 2014 impiega due anni per esordire nella lega. A fargli compagnia arriva successivamente Ben Simmons nel 2016: fisico bionico, skills di palleggio e passaggio da urlo, tiro da fuori nullo. All’epoca Embiid deve ancora esordire (vincerà il ROY) e quindi piuttosto che usare la prima scelta per prendere un esterno più compatibile con l’africano si opta per il giocatore indubbiamente di maggior talento.
Fast forward immaginario dell’utopia di Hinkie di creare una contender partendo dal record peggiore della storia NBA (l’irripetibile 10-72 del 2015-2016). Embiid sistema i suoi problemi di salute e diventa una versione di Hakeem Olajuwon sotto steroidi, Simmons ha duramente lavorato sui propri difetti e i miglioramenti al tiro sono promettenti, tramite trade sono arrivati Saric e Covington che sono i gregari di qualità necessari in ogni squadra da titolo e come ciliegina sulla torta col Draft 2017 è arrivato Markelle Fultz, point guard destinare ad entrare in breve tempo tra i migliori 10 del ruolo nell’intera Lega. Dopo anni di sofferenze per i tifosi, Phila è pronta per dominare il futuro della NBA.
Come dite? Ah, Embiid è un All Star ma al terzo anno nella lega ha giocato al massimo 64 partite in stagione… E Simmons non è migliorato di una virgola al tiro e manco sembra averne intenzione… Beh, ma Fultz starà facendo ferro e fu… ah no, è stato scambiato ad Orlando per Jonathon Simmons… E i comprimari di cui sopra tradati per Jimmy Butler e Tobias Harris? Ok, ma almeno abbiamo aggiunto due star e siamo in piena modalità Win Now… Come Butler se n’è andato e abbiamo rinnovato Harris che ha fatto schifo ai playoff? Vabbè, tutto sommato abbiamo ancora spazio per firmare una signora point guard e sul mercato ci sono D’Angelo, Kemba e Kyrie… Ah, li hanno già presi tutti? Ok, allora qual è il giocatore rimasto tra i free agent più bravo a passarla, tirare e difendere? Ah, è forte ma è un lungo di 33 anni che abbiamo firmato all’esorbitante cifra di 108 milioni in 4 anni??? Pausa scenica.
Scherzi a parte, non è azzardato affermare che l’ultima squadra ad aver avuto contemporaneamente tre interni All Star (Horford lo è stato nel 2018 ma ci siamo capiti) siano stati i Celtics di Bird, McHale e Parish. Il periodo storico e la caratura dei giocatori però è ben diversa e l’ambientamento di Big Al al fianco di Simmons (che non è un lungo di ruolo ma in pratica in attacco conclude negli stessi spazi) ed Embiid non appare banale.
I motivi per cui recentemente nessuna squadra d’elite negli ultimi anni non ha mai schierato più di un giocatore eccellente nel gioco in post sono essenzialmente due:
- Avere un giocatore che in difesa sul pick&roll non sia in grado di cambiare e quindi vulnerabile al tiro da 3 in palleggio pregiudica la qualità complessiva della difesa;
- Sul perimetro c’è spazio per tutti, mentre con due giocatori interni il pitturato diventa una tonnara togliendo anche agli esterni la possibilità di penetrare.
Statisticamente, un tiratore buono in NBA segna il 38% delle conclusioni da 3. Per pareggiare questo livello di efficienza, un giocatore che concludesse solo da 2 punti dovrebbe segnare il 57% dei propri tentativi, una percentuale che raggiungono (e superano) solo lunghi alla Capela (64,8% dal campo su 11 conclusioni scarse per 16.6 punti in questa stagione) convertendo quasi esclusivamente su alley oop o in situazioni di rimbalzo offensivo, con un volume di tiro relativamente basso.
Quindi riassumendo, da 3 si è più efficienti e c’è spazio per tanti giocatori, mentre sotto canestro è molto difficile essere efficienti sugli alti volumi e gli spazi sono assai angusti. Già questa considerazione normalmente sconsiglierebbe la formazione di un roster come quello dei Sixers versione 2019. Ma a guardar meglio le caratteristiche del trio Embiid-Simmons-Horford, qualche possibilità per trovare la quadra forse c’è.
Grande, …
Il 2020 deve essere per Joel Embiid l’anno della definitiva esplosione. Spesso tacciato di atteggiamento non professionale, Joel ha dimostrato dedizione alla causa giocando i playoff su una gamba sola e versando amare lacrime dopo l’incredibile epilogo di gara 7 a Toronto. Ma la situazione futura ad Est appare vantaggiosa. Gli stessi Raptors non sono più credibili contendenti alla vetta dell’Est, i Bucks di sicuro non si sono rafforzati dopo la partenza di Brogdon in direzione Pacers e l’unico giocatore di Boston a causargli serie difficoltà è appena diventato il suo nuovo compagno di frontcourt.
La principale minaccia alle speranze di titolo della sua squadra sono però le sue condizioni fisiche, quindi Joel deve prima di tutto stare bene. Questa eventualità aprirebbe anche un discorsetto sull’MVP su cui è opportuno cominciare a fare un pensierino, ma per poter entrare nella discussione ci sarà parecchio da migliorare, soprattutto a livello tattico. L’ultima serie playoff ha evidenziato infatti scelte di tiro e di passaggio non al pari della sua qualità tecnica.
Qui la presenza in campo di Simmons avvicina Siakam e gli toglie spazio vitale per operare. Il camerunense avrebbe però la possibilità di scaricare ad almeno due esterni, invece si intestardisce contro Gasol (che fisicamente lo ha limitato nelle conclusioni ravvicinate in tutta la serie) e sbaglia il semigancio da posizione difficile.
Inoltre, un suo upgrade delle percentuali al tiro da 3 è auspicabile, quantomeno per permettere a Simmons di avere più senso in un attacco a difesa schierata. Quest’anno Joel ha tirato col 30% da 3 punti con circa 4 conclusioni a sera, peggior risultato in carriera fino ad oggi. Il 36.7% (su una trentina di gare, quindi un campione non enorme ma nemmeno piccolissimo) nell’anno da rookie fa però ben sperare in una possibile crescita delle sue percentuali future.
Un ulteriore tema tattico potrebbe essere una leggera variazione nella scelta dei tiri. “The Process”, come si evince dalla shooting chart qui sopra, conclude per lo più a distanza ravvicinata partendo da una ricezione in post basso, frequentemente a sinistra del campo, in modo da avere spazio per un agevole passaggio di destro (opzione che potrebbe sfruttar meglio), oppure per un tiro dal centro dell’area, quasi sempre di destro (l’utilizzo della mano debole costituisce per lui un ripiego cui ricorre solo se è davvero impossibile tirare con la mano forte).
Ma la contemporanea presenza di Simmons sul parquet complica molto questo tipo di soluzioni. Quelle piccole aree rosso/arancioni in post alto e dalla media a sinistra della shooting chart potrebbero essere zone interessanti da esplorare e chissà che valga la pena tentare di aumentare quel tipo di tiri, sperando di mantenere un’efficienza quantomeno simile. Questo comporterebbe anche un risparmio in termini di usura fisica e di riduzione dei contatti duri che derivano dal giocare troppo spesso nel pitturato.
… e sarebbe anche un bel vedersi!
…, Grosso, …
Passata la sbornia dell’anno da ROY, Ben Simmons, l’autonominatosi nuovo “Fresh Prince”, nel 2019 era chiamato a mostrare dei passi in avanti che però, come testimoniano sia la prova oculare che le stats, non sono avvenuti. E’ stato un anno tosto per il giocatore australiano: da nuova promessa della Lega a tara per il gioco della sua squadra, fino alle voci di trade. Il recente rinnovo alle massime cifre però parla chiaro: i Sixers si legano mani e piedi a lui e Ben dovrà quindi per forza legittimare tutta questa fiducia nel prossimo futuro.
I problemi di questo giocatore sono essenzialmente due:
- Ben è un running circus, uno dei pochi giocatori in grado di creare contropiede dal niente che però fa delle soluzioni in corsa vicino al canestro quasi la sua unica arma offensiva. La coesistenza con altri due lunghi che tenderanno per forza a rallentare il pace non costituisce il migliore dei fit tattici, almeno sulla carta. Simmons è un grande playmaker di transizione grazie alle notevoli skills di passaggio/palleggio e il fisico da alieno. A metà campo invece è una point guard mediocre per l’assenza di un jump shot credibile e infatti viene messo da Coach Brown sempre più spesso a giocare da 5 nel dunker spot, sottraendo come già detto spazio di manovra a Embiid.
- La mentalità. Gli unici cestisti simili per fisico e gioco all’australiano sono Antetokounmpo e Siakam, entrambi del ’94. I due giocatori africani entrarono in NBA da oggetti sconosciuti e adesso sono rispettivamente l’MVP e il MIP in carica, risultati impronosticabili fino a qualche anno fa ma resi possibili da un lavoro maniacale sui propri limiti. Simmons invece rappresenta il più classico dei predestinati e l’idea che dà di sé stesso è quella di non essere propenso a mettere in discussione il proprio gioco, almeno per il momento. Non a caso i Sixers hanno inserito un robusto bonus economico (fino a 30 milioni) qualora il giocatore venga inserito in uno dei 3 quintetti All- NBA, per spronarlo a migliorarsi e a lavorare su sè stesso.
Questi attacchi a testa bassa con difesa schierata e area già occupata dovranno essere assolutamente evitati
Anche senza un jumpshot credibile, che di sicuro non inserirà da domani nel suo arsenale, Ben potrebbe comunque migliorare notevolmente il suo impatto in campo.
Nell’attacco a difesa schierata l’arrivo di Horford potrebbe paradossalmente costituire un fit migliore rispetto a Butler, essendo il dominicano un tiratore leggermente più affidabile e meno propenso ad attaccare il ferro dal palleggio. In ogni caso l’unico vero modo per rendere Simmons una minaccia in attacco sarà alternarlo il più possibile con Embiid, schierandolo da 5 tattico quando il camerunense riposerà in panchina.
Ma è in difesa che Ben dovrà concentrarsi di più per sfruttare capacità poco cavalcate: per uno col suo fisico e visione di gioco, la candidatura ad uno dei quintetti difensivi dovrebbe essere scontata. Oltretutto risulta l’unico del suo team in grado di limitare fenomeni come Leonard, George o LBJ in un eventuale scontro in finale NBA.
L’evoluzione di Simmons in un giocatore a-là Draymond Green è possibile, a patto che dimostri l’umiltà di riconoscere che i propri limiti sono fortemente impattanti sull’economia della squadra e quindi dell’importanza di giocare attorno ad essi. Altrimenti Elton Brand, di cui tutto si può dire tranne che manchi di coraggio nel prendere scelte importanti, entro un paio di anni andrà probabilmente alla ricerca di una “vera” point guard con cui scambiarlo.
…e (ex) Verdone
Esclusa la riconferma di Harris, l’acquisizione più rumorosa sul mercato dei free agent della franchigia della Pennsylvania è stata ovviamente quella di Al Horford, che ha fatto storcere a molti il naso per importanza del contratto in relazione ad età e ruolo. Per quanto riguarda la tenuta fisica il giocatore si presenta tutto sommato integro, non avendo mai giocato meno di 68 gare a stagione negli ultimi 5 anni. Rispetto al ruolo, in cui la squadra sembrava già ampiamente coperta, si può tranquillamente affermare come sia difficile individuare un altro 4-5 altrettanto compatibile con il suo nuovo team come l’ex Boston, giocatore versatile se c’è n’è uno e con una rispettatissima reputazione da glue-guy sia in campo, dove è in grado di fare ad un buon livello quasi tutto, e fuori, con il suo atteggiamento schivo senza mai dichiarazioni roboanti.
“The Godfather”, suo nickname ai C’s, è indicativo della capacità di tessere una solida rete comunicativa coi compagni. La sua militanza negli Hawks e nei Celtics, squadre con coaching staff e livello tattico al top dell’NBA, lo ha contemporaneamente esaltato come giocatore fondamentale per gli equilibri dei quintetti senza esporlo alle luci dei riflettori, più sensibili allo scintillio delle azioni da highlights.
Nella propria metà campo, Horford aumenterà ulteriormente il potenziale difensivo interno dei 76ers grazie alla sua eccellente capacità di difendere i cambi sui pick&roll, essendo ancora in grado di tenere 2-3 passi agli esterni nonostante il meglio dal punto di vista atletico sia alle spalle. Nota ancora più lieta: lui e Simmons rappresentano i 2/3 dei Giannis-stopper a Est (il terzo è un mancato prete africano ex vassallo del Re del Nord).
L’unica liability nella propria metà campo si potrebbe riscontrare in caso di marcatura su uno stretch-four molto rapido e pericoloso dal perimetro. Ad Est però al momento non c’è nessuno che corrisponda a questa descrizione, eccezion fatta per l’eventuale resurrezione di Gordon Hayward da 4 in quel di Boston o per l’atteso consolidamento al tiro pesante del Greek Freak. Più probabile che il problema si ponga in un’eventuale finale NBA con le compagini angeline, ma a quel punto l’obiettivo minimo della stagione di Phila sarebbe quantomeno già stato raggiunto.
L’inserimento nel sistema offensivo invece necessiterà di qualche adattamento. L’obiettivo della sua firma è quello di avere un backup di qualità per Embiid quando il nativo di Yaoundè verrà messo a riposo, in grado di agire come regista secondario del gioco a difesa schierata e di allargare il campo (36% da 3 in RS con circa 3 tentativi a partita e 40% ai playoff), visto che spesso l’area sarà abbondantemente intasata di suo.
Ma Horford prima dell’esperienza bostoniana ha già diviso il frontcourt con Paul Millsap, che fa del post il suo rifugio sicuro, e la sua intelligenza e capacità di passaggio aveva permesso a due di creare un’efficace convivenza, portando gli Hawks ai vertici della Eastern Conference per diverso tempo.
Horford qui agisce come facilitatore” dalla punta e serve Millsap in mezzo per un facile layup
Le zone in cui Big Al ama cominciare l’azione sono diverse da quelle dei suoi compagni di front court: piazza la sua cattedra sulla punta da dove sceglie con competenza quale arma offensiva sfruttare. Su pick&pop è in grado sia di tirare da 3 che di mettere palla per terra per attaccare canestro, o eventualmente scaricare.
Horford riceve in situazione di pop, finta di passaggio che manda al bar due difensori, penetrazione e sull’aiuto scarico col contagiri in angolo. Il tutto con 40 secondi sul cronometro e sul punteggio in parità. Quanti lunghi nella Lega potrebbero compiere un’azione del genere?
E’ probabile che la dirigenza di Phila lo abbia scelto proprio per questa sua capacità di essere incisivo dal perimetro (oltre che dal post) e confidi in una sua ulteriore evoluzione alla Brook Lopez, ex animale del pitturato che ormai prende il doppio delle conclusioni da 3 rispetto a quelle da 2 punti. Detto Horford non è arrivato a Phila per contributi offensivi eclatanti e costituirà probabilmente la quarta/quinta bocca da fuoco della squadra, andando a concretizzare vantaggi creati da altri piuttosto che mettendosi in proprio da solo.
I compagni di merende
Inutile girarci intorno: il sign & trade che ha portato a Philadelphia Josh Richardson e la maxi conferma di Tobias Harris erano il piano B di Elton Brand, perchè i Sixers avrebbero certamente preferito tenere Butler. Ma Jimmy Buckets aveva fatto chiaramente intendere di essere al capolinea della sua esperienza in Pennysilvania e il GM dei Sixers alla fine è riuscito comunque a trovare una buona soluzione al problema, anche se non è da sottovalutare la contestuale dipartita di JJ Redick, preziosissimo l’anno scorso vista la mancanza di tiratori solidi a roster.
Se la perdita di star power è sempre temutissima nella Lega, sembra infatti che le nuove firme siano leggermente più congeniali alla forte predisposizione al gioco interno di questa squadra. Sostituendo di fatto in quintetto Butler e Redick con Horford e Richardson, Phila aumenta infatti di molto lunghezza e fisicità.
Per quel che riguarda Richardson, è probabile occupi il ruolo che era di Redick, giocando molto off the ball visto il suo ottimo 38% in situazioni di spot-up da 3 punti (con circa 6 tentativi per partita). Inoltre, mentre l’ex Duke era un giocatore esclusivamente perimetrale, J- Rich aggiunge anche una rispettabile capacità di creare dal palleggio e concludere al ferro.
Sostiutite Redick con J-Rich. Questa probabilmente sarà un importante tema tattico per i Sixers
E’ però nell’altra metà campo che l’ex Heat rappresenta un upgrade importante sia per fisicità che per istinti. Se il cambio sistematico era impossibile con JJ e anzi spesso bisognava “nasconderlo” difensivamente, Richardson è in grado di tenere serenamente lo spot di 1-2 ed eventualmente 3. Con la sua aggiunta Philadelphia non ha sostanzialmente debolezze nella propria metà campo.
Ci sarebbe poi l’argomento Tobias Harris. In sintesi: con il suo rinnovo quinquennale a 180 milioni di presidenti morti la franchigia firma un contratto che puzza fortissimo di futuro albatross. Intendiamoci, Phila non poteva fare altro e Harris è un ottimo giocatore che garantisce una stagione da 20 punti di media. Con quei soldi però si firmano superstar e lui non lo è, o perlomeno così pensa di Jerry West che infatti ha deciso di passare la patata bollente del suo rinnovo ad un’altra squadra. Perso Butler e firmato l’assegno della vita, Harris è chiamato a svolgere un compito che due anni fa si sarebbe sognato, quello di secondo violino offensivo in una contender.
Le caratteristiche tecniche per riuscirci le possiede: Tobias è la tipica ala tanto in voga questi ultimi tempi, pericoloso dal palleggio, ottimo tiratore, con una discreta capacità associativa. Ovviamente non rappresenta il meglio del meglio in questi rispettivi campi, sennò parleremmo di Paul George. Il suo limite sembra essere soprattutto mentale non essendo esattamente un alpha, ma il tempo degli alibi è finito e da lui quest’anno ci si aspetta che mantenga lo stesso livello della regular season anche quando la posta in palio salirà.
Certo, la partenza di Boban Marjanovic in direzione Dallas ci priverà del privilegio di poter assistere a nuove esilaranti puntate del Bobi & Tobi Show, ma purtroppo dalla vita non si può sempre avere tutto.
Notate anche voi una certa somiglianza?
Infine, due parole sulla panchina: al netto di ulteriori movimenti minori nel prossimo futuro, gli unici elementi della rosa che si sono dimostrati (inaspettatamente) validi negli scorsi playoff sono stati le ali James Ennis III, Mike Scott e il centro Greg Monroe, tutti e tre giocatori manco a dirlo dalla fisicità importante ma su cui è possibile fare ben poco affidamento per la continuità delle loro prestazioni. Quello che manca alla panca di Phila sono soprattutto punti nelle mani, che potrebbero forse venire fuori dai giovani Korkmaz e Smith ma che non sono esattamente i sesti uomini navigati che fanno le fortune delle squadre da titolo.
Alea iacta est
Il dado è tratto. Con questi giocatori e relativi contratti si apre una finestra di 3- 4 anni in cui sarà difficile stravolgere il core o fare aggiunte importanti, per cui i Philadelphia 76ers questi sono e questi saranno. La visione di Elton Brand ha le sue fondamenta (solide) su una difesa che si candida ad essere la migliore del torneo, ma il successo della spedizione rimane vincolato a numerosi, forse troppi, “se”. Se Embiid rimarrà integro, se Harris si farà trovare pronto al momento giusto, se Simmons saprà alzare il proprio livello, se Brown riuscirà a far coesistere tutti questi giocatori e far rendere i rincalzi dal pino, etc.
Se almeno una buona parte di queste scommesse pagheranno i loro dividendi allora Phila sarà assieme ai Bucks la candidata principale per la conquista dell’Est, forse addirittura del titolo NBA, almeno per i prossimi tre o quattro anni. In caso contrario il rischio è quello di aver creato un’armata di giganti dai piedi di argilla, destinati a sciogliersi alla prima difficoltà e condannati ad un’aurea mediocrità fatta di costanti apparizioni ai playoff ma limitate al primo/secondo turno.
In ogni caso, per una franchigia che solo pochi anni fa ha raggiunto per miracolo la doppia cifra di vittorie, quanto raggiunto oggi del famoso Process rappresenta comunque un incredibile risultato.
Amante del basket a stelle e strisce, mi dò un tono con le analytics ma segretamente spero nel ritorno di Carmelo Anthony. Una volta, da allenatore, ho quasi vinto la prima divisione. Circa.