Scriviamo questo articolo con un pizzico di orgoglio personale! Difatti agli albori della stagione regolare e dopo uno sprint improvviso e imprevisto da parte dei Bucks, ci eravamo spinti in considerazioni positive e soprattutto durature sul prosieguo della stagione dei cerbiatti verdi.

Spesso un team nuovo con giocatori giovani ed un allenatore con la A maiuscola riesce infatti a sorprendere avversari più forti ed esperti con partenze a razzo, ma riuscire a mantenere una costanza di prestazioni e risultati a lungo termine è quasi sempre impossibile.

In quel 7-0 ottobrino però si intravedeva qualcosa di diverso rispetto agli standard a cui ci siamo appena rapportati. Un nome su tutti ci aveva dato la sensazione che nel Wisconsin stava cambiando il vento e una franchigia ricca di talento, velocità e un adone greco come simbolo, si avviava a sorprendere il mondo cestistico a stelle e strisce: Mike Budenholzer!

Il risultato è stato un dominio incontrastato in regular season dalla prima giornata fino all’ultima, migliori statistiche offensive e una più che dignitosa protezione difensiva, uno sweep contro i Pistons (con un Blake Griffin però acciaccato o assente) al primo turno playoff e una supremazia sconcertante contro i Celtics, ovvero sia i favoriti di inizio anno della Eastern Conference, spazzati via senza storia, lasciando trasparire un’alchimia di gruppo imbarazzante rispetto agli avversari e una forza d’animo imprevista con la quale si è rimontato il fattore campo perso in gara 1, che avrebbe dovuto far crescere la fiducia ai rivali, caricati dalle parole di un troppo sicuro Paul Pierce, ennesimo esempio di ex grande giocatore ma pessimo opinionista! Inoltre su 7 delle 8 vittorie di postseason si è vinto con più di 10 punti di scarto.

Solo per questo preambolo Milwaukee merita il titolo di squadra rivelazione e qualunque cosa accada ora non toglierebbe l’alone di grandezza che accompagnerà in futuro la franchigia del Fiserv Forum, capace di risvegliare l’orgoglio storico del club e dei suoi magici giocatori del passato, Kareem e Oscar Robertson su tutti!

Il seguace di Popovich ha conseguito l’impresa più difficile tra tutte quelle che gli si presentavano di fronte: migliorare un già eccellente campione come Antetokounpo! Inutile girarci attorno ma quando in squadra hai un fenomeno del genere devi puntare ogni tipo di schema su di lui, cercando ovviamente di adattargli le caratteristiche del resto del roster.

Se l’esperimento point guard di Jason Kidd aveva portato confusione tattica nella mente del “freak” lasciandogli in pratica sempre palla in mano e le responsabilità su ogni possesso, con l’avvento di Bud Giannis ha perfezionato ogni suo punto di forza mettendolo al servizio della squadra, così da avere in ogni situazione del match più varianti di gioco offensive, senza asfissiare l’ancora ventiquattrenne portento di incombenze fuori dalle sue specialità, vale a dire regia e long range.

Il greco, dall’opening day ad oggi, viene in pratica isolato fuori dall’arco per poter attaccare il ferro oppure scaricare sui due lati del perimetro oppure praticare i pick and roll sia da portatore che da bloccante.

Giannis sa fare tutto ma non è obbligato ad occuparsi di ogni aspetto del gioco, la regia dei Bucks è difatti caratterizzata più sulla velocità asfissiante, penetrazioni e contropiede, che sulla classica direzione del gioco a metà campo e questo permette al greco di fare il bello e il cattivo tempo dentro al pitturato non disdegnando comunque soluzioni alternative.

Poche sono le differenze in difesa dove i piccoli soffocano con il loro pressing i tiratori avversari lasciando il greco, aiutato dalle stoppate di Lopez, ad interrompere ogni tipo di velleità in entrata.

The Great Freak grazie al suo allenatore non ha in pratica punti deboli, visto che come detto le scarne percentuali dalla lunga distanza (.256 e 2.8 tentativi per game) e il possesso palla continuo non fanno parte delle sue mansioni e in difesa è decisivo sia contro le guardie che contro i lunghi.

I Bucks hanno anche superato il vecchio ostacolo della “palla che scotta”, troppo spesso un muro insormontabile per squadre immature nel momento in cui si affacciano ai playoff e portate più a giocare apertamente che a difendere.

Gli innesti di metà stagione stanno a significare che la proprietà fa sul serio: Nikola Mirotic aveva bisogno di nuovi stimoli dopo lo shock stagionale a New Orleans e, salute permettendo, è sempre un’aggiunta di valore così come George Hill, veterano giunto in punta di piedi ma che nel periodo più hot dell’anno si è rivelato semplicemente decisivo (chiedere ai Celtics).

I verdi sono un’orchestra che gioca a memoria e soprattutto di squadra: che siano Lopez, Connaughton, Ilyasova o Tony Snell, ognuno da il proprio piccolo grande contributo.

Bledsoe e Middleton hanno giovato anch’essi delle responsabilità che Budenholzer ha concesso loro e rappresentano l’anello di congiunzione tra penetrazioni/inserimenti/velocità e tiro dalla lunga, che tanti vantaggi ha portato.

Nel momento in cui scriviamo non sappiamo ancora chi sarà l’avversario della finale di conference, tra i Raptors – forse il team più profondo dell’intero panorama NBA – e i 76ers, il cui quintetto base rasenta l’eccellenza. Coach Bud potrà contare sul completo recupero di Brogdon, che restituisce a Milwaukee linfa vitale, energia e freschezza, come pochi altri sanno fare.

L’esperienza accumulata in questa stagione unita alla fiducia acquisita nelle prime due serie di playoff potrebbe pesare ancora in questo ultimo step prima delle Finals; se così non fosse Bud e i suoi ragazzi dovrebbero ritenersi lo stesso soddisfatti: hanno creato un nuovo ciclo da queste parti!

 

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