Il canestro quasi sulla sirena di Paul George contro i Rockets ha regalato un’occasione più unica che rara ai Thunder, soprattutto dopo l’incostante ultima fase di regular season nella quale parecchio terreno era stato perduto e i galloni da vice Warriors erano andati smarriti.
Il ventinovenne da Fresno State, nella stagione della vita e della maturità, nonostante una spalla dolorante ha aggiunto un tassello importante alla sua fantasmagorica annata fatta di un incontenibile gioco offensivo unito a solidità e aggressività difensiva.
Con la sua conclusione vincente fuori dall’arco ha evitato ai suoi compagni non solo un insostenibile primo turno contro i campioni in carica ma ha concesso loro anche la possibilità di entrare nel tabellone finale dalla parte più appetibile, quella cioè proprio all’opposto di KD e del “barba”, raggiungendo la sesta piazza finale con la quale andare ad affrontare i Blazers.
Ciò non vuol dir nulla ovvio, specie perché il team di Terry Stotts rappresenta ormai una solida realtà nell’intero panorama NBA e l’arrivo in postseason con il traguardo delle 50 W è da anni quasi una prassi. Inoltre un gruppo un po’ troppo spesso monodimensionale e affidato solo alle individualità dei suoi Big Three Lillard-McCollum-Nurkic è riuscito nel tempo ad allargare i propri orizzonti e a turno i vari Aminu, Harkless e dalla panca il più giovane dei Curry e Layman hanno contribuito ai buoni risultati del club.
Ovviamente il terribile e struggente infortunio al bosniaco e gli acciacchi che mettono in dubbio la reale efficienza di CJ, uniti a un ritorno alle origini per efficienza difensiva (17° posto) e ad una storica incapacità a battagliare nelle partite di playoff non lasciano spazio a chiacchiere: Portland è la squadra che chiunque arrivato dal quinto posto in giù avrebbe voluto incontrare.
Dal canto loro però i Thunder non possono ritenersi soddisfatti del loro campionato, partito a differenza dei Blazers – quasi sempre costanti – un po’ sottotono a seguito dell’arrivo di Schroder che ha necessitato di un periodo di ambientamento. Dopo poco però Donovan si è ritrovato gli stessi punti a partita di Melo ma un attaccante/difensore veloce e sesto uomo coi fiocchi in più.
Per molto tempo Westbrook e soci sono rimasti ai vertici sfiorando la leadership dell’Ovest rimanendo di un’incollatura dietro ai Nuggets prima e a Golden State dopo, “sciogliendosi” come accennato nella fase decisiva, salvati appunto nel finale dal loro MVP. Questo lascia molti dubbi sull’andamento della serie, perché se da un lato OKC arriva più sana (spalla di George permettendo) rispetto ai rivali è anche vero che la costanza di rendimento non è stato proprio il forte dei ragazzi di coach Billy.
“Quando Russell fa il one man show i Thunder perdono” è il luogo comune che purtroppo spesso corrisponde a realtà; notiamo infatti che un gioco offensivo più fluido fatto di molte varianti e coinvolgendo tutto l’attacco ha portato tante volte nelle fasi prima citate ad ottimi risultati offensivi rispetto agli anni passati, quando si puntava sostanzialmente solo sull’ego di Westbrook, George e Anthony e sull’abilità nel recupero palla e contropiede, ancor oggi specialità della casa.
L’assenza di Roberson non basta da sola a giustificare il crollo nelle statistiche difensive dopo che nel primo mese e mezzo la retroguardia era ancora una volta la punta di diamante delle strategie tecniche di Donovan. La ferocia nei raddoppi un po’ troppo spesso è stata seguita dalla pigrizia nel lasciare praterie sotto al pitturato.
I precedenti stagionali per di più non sorridono ad Oklahoma, sweeppata dai rivali, che possiedono il secondo miglior attacco NBA dall’All Star Break in poi.
L’assenza di Nurkic pesa come un macigno in entrambi i lati del campo e come detto i postumi dell’infortunio di McCollum potrebbe penalizzarlo e diminuirne la forza spingendo così veloci e aggressivi marcatori come RW, George e Grant a forzare palle perse (secondi dietro ai Pacers).
Portland, ultima per TO% ma poco sopra ai rivali per punti subiti a partita si ritrova dunque senza il miglior rimbalzista che abbassava notevolmente le percentuali avversarie nei pressi del ferro e con un Zach Collins troppo esile per contrastare due forze della natura come Adams e Noel.
L’arrivo di Kanter, iconico personaggio fuori dal campo, si è perciò dimostrato azzeccato, col turco a performare un’ultima parte di stagione regolare a livelli top. Nurkic non è purtroppo rimpiazzabile ma quel che si è chiesto al prodotto di Kentucky nell’ultimo periodo è stato di prendersi più responsabilità tecniche rispetto al passato e le risposte sono state egregie: 20 punti di media, movimenti in pivot rapidi e veloci, un ottimo gioco in post basso ed una incontrastata forza sotto canestro con 13 rimbalzi a partita. Lui si, anche perché è un ex, può dire la sua!
La serie è molto difficile da pronosticare; con i Blazers a giungere in salute all’appuntamento avremmo puntato su di loro anche perché gli stessi Thunder, oltre a un campionato scostante riaddrizzato per il rotto della cuffia, non è che abbiano grandi ricordi dell’ultima postseason, spazzati via da una squadra organizzata come Utah.
Westbrook dovrà condividere con tutti i compagni in rotazione le gioie e dolori di ogni singola partita per riuscire a portar a casa la serie, anche in 6 sfide, dall’altra parte un All Star di primissimo livello come Lillard avrà il palcoscenico e le responsabilità tutte per sè cercando di consacrarsi definitivamente.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.