Le più recenti dinamiche tuttora in corso di sviluppo nell’era dei superteam Nba stanno inevitabilmente influenzando le manovre di tante franchigie, per rendersene conto è sufficiente riepilogare tutte le transazioni eseguite prima della trade deadline, un autentico stravolgimento di roster in questi giorni reso ancor più confusionario dal mercato dei buyout, e comprendere le motivazioni di fondo che hanno spinto ciascuna delle squadre coinvolte a modificare il loro assetto.
La scena si divide tra chi si è reso più forte e proverà con maggiori percentuali di riuscita la scalata alle Finals e chi ha lavorato anteponendo i conteggi economici al successo immediato, gettando simbolicamente la spugna su un presente poco probabile ma liberando nel contempo risorse importanti per una concreta competitività nel breve termine, definizione che nella Nba di oggi corrisponde esclusivamente al ricavo di uno spazio salariale congruo ad attrarre due superstar che possano trasformare istantaneamente una determinata squadra in una contender.
Negli ultimi dodici mesi i Los Angeles Clippers sono risultati tra le realtà più attive in un panorama di costante cambiamento e generalmente composto da superstar scontente, contratti insensati da cedere al prossimo congiuntamente a qualche attraente pick, e ricerca di elementi di vario genere per meglio coprire le esigenze dello starting five, o rendere più redditizie le seconde linee. Nonostante la totale cancellazione della Lob City attraverso le differite partenze dei vari Paul, Griffin e Jordan, ed al di là dell’arrivo di LeBron presso i cuginastri, i Clips non rappresentano più la parte meno fortunata di Los Angeles, o quantomeno hanno creato una discussione in merito per tutto questo periodo in cui i Lakers non sono riusciti a smuoversi dalla loro personale mediocrità del dopo-Kobe.
Le recenti mosse di mercato si possono leggere anche così, attraverso una nuova coscienza di sé, del nuovo corso della franchigia cominciato dall’insediamento del pittoresco proprietario Steve Ballmer e della sua propensione positiva per i budget di spesa particolarmente alti, un’abissale differenza rispetto ad un regime-Sterling letteralmente atto a sabotare l’organizzazione per decenni.
L’aria rinfrescata che si respira a L.A. costituisce un notevole fattore se si tratta di attrarre superstar in cerca di un nuovo tetto sotto il quale risiedere potendo contare su un mercato così grande, un head coach con esperienza da titolo ed annessa gestione di multiple superstar, e non ultimo su un consulente già parecchio influente nel passato losangeleno (quello giallo-viola, s’intende…) nonché sagoma campeggiante su tutti i prodotti ufficialmente griffati Nba.
Il ragionamento su Tobias Harris è stato con tutta probabilità accelerato dalle mosse effettuate dai Knicks con l’ottica di liberare risorse estive, creando i presupposti per la separazione da una delle principali ragioni dell’inatteso e bruciante principio di torneo da parte di una squadra ad un certo punto titolare di un 15-6 valido per il primo posto nella Western Conference, con acclusi successi consecutivi di prestigio contro Milwaukee e Golden State.
Chiaro che nulla di tutto ciò fosse destinato a durare a lungo, tuttavia tale fulminea partenza ha certamente permesso all’organizzazione di trarre interessanti indicazioni riguardo la propria futura competitività, confermando il fatto che non si dovesse di fatto ricostruire alcun che dalle ceneri di nessuno, dando luogo a ragionamenti validi per un quadro più ampio, certo, ma raggiungibile prima del previsto.
Il fatto che Harris fosse anche quest’anno migliorato, confermando un trend di carriera lento ma progressivo, ha certamente generato delle domande più che lecite sull’utilità dell’investimento di un max deal su un giocatore in chiara maturazione, di legittima considerazione All-Star ma probabilmente non in grado di trasformarsi nella principale risorsa per una corsa al titolo, ragionamento che unito al vero consolidamento della classifica di Conference – nella quale i Clippers sono attualmente in lotta per l’ottavo posto – ha fatto scattare la reazione che ha portato a spedire Harris a Philadelphia in cambio di tre interessanti conseguenze: liberare lo spazio salariale ad egli destinato nel presente ed anche quello presumibilmente previsto per i prossimi quattro o cinque anni; ottenere nuove scelte future (due primi giri e due secondi da consumarsi entro il 2023); ricevere in cambio un interessante contropartita nella quale risalta la presenza di Landry Shamet, che proprio assieme al suo nuovo compagno Shai Gilgeous-Alexander si è distinto quale matricola già pronta per meritare un minutaggio rilevante in ambito professionistico.
La trade di Harris ha difatti portato ad una proiezione di 53 milioni di dollari disponibili per la prossima free agency, cifra migliorata di un altro paio di milioni a seguito dello scambio organizzato con Memphis per liberarsi dalle pendenze nei confronti di Avery Bradley, titolare di una stagione parecchio inferiore alle attese ed il quale se tagliato a luglio sarebbe appunto costato un paio di cocuzzoli a vuoto, ottenendo nel contempo i contratti in scadenza di Garrett Temple, ideale sostituto di Bradley nell’equazione difensiva, e JaMychal Green, i cui dinamismi ben si accoppiano con l’attività fornita da Harrell.
Il nuovo quadro dei Clippers è già molto chiaro.
Un Danilo Gallinari atleticamente in piena salute è chiaramente l’attuale ed inamovibile pilastro del quintetto base non solo per i quasi 19 punti a partita apportati in media, ma soprattutto per l’utilità che riveste nelle spaziature offensive grazie al fantastico 44% sinora mantenuto da oltre l’arco, mentre Gilgeous-Alexander, già abile nel ritagliarsi il posto da point guard partente così presto, avrà a disposizione tutto il resto del campionato per crescere ancora magari aggiungendo al già buon repertorio una più insistente aggressione delle difese sfruttando la sua bravura nella gestione del pick’n’roll e l’efficienza nel jumper dalla media distanza.
Risorse assai intriganti arrivano dalla panchina che Rivers ha sviluppato negli ultimi due campionati.
Montrezl Harrell, rimbalzista grintoso ed efficiente, ha saputo unire alla sua grande carica energica una netta crescita nella comprensione dei giochi difensivi che gli ha dato accesso ad un notevole aumento di minutaggio, ed ha costruito un’ottima intesa nei pick’n’roll giocati con Lou Williams, grazie al quale segna di più tirando con percentuali migliori dal pitturato.
Proprio Williams è il giocatore-chiave delle seconde linee, nonché determinante presenza nei finali tirati, quando servono due delle sue migliori qualità, ovvero il coraggio per prendersi determinate conclusioni ed il talento per recapitarle a buon esito.
Landry Shamet non aggiunge che qualità al pacchetto grazie alla capacità di muoversi con fluidità senza palla, un’aggiunta significativa per un attacco talvolta stagnante, fornendo un ideale terminale per la conclusione da tre punti, settore nel quale coniuga l’estrema velocità di caricamento del tiro ad una precisione che tocca il 40% abbondante.
E’ uno scenario all’interno del quale sembrano mancare solamente le due superstar che i Clippers tenteranno aggressivamente di firmare quest’estate, con una conformazione del monte stipendi che vede abbondanti margini per un max contract di prima fascia ed un secondo accordo da circa 20 milioni (i margini si allargherebbero ulteriormente in caso di trade per Gallinari ed i suoi 22 milioni in scadenza nel 2020), momento perfetto per vendersi ai vari Leonard, Durant e Butler (c’è anche Davis naturalmente, per il quale i Clippers avrebbero peraltro accumulato diversa merce di scambio…) proponendo loro una nuova combo da sogno e la promessa di un futuro impianto ad Inglewood – qualora si risolvessero con successo gli attuali ostacoli legali – che fungesse da definitivo distacco dalla scomoda condivisione da anni attuata con i Lakers, il passo forse più significativo verso una nuova identità della franchigia.
Il successo estivo sarà determinante per giustificare l’allentata presa sul presente campionato, nel quale i Clippers si sono sgonfiati strada facendo ed hanno riprogrammato la loro visione dopo aver chiaramente compreso di essere destinati solamente a fungere da vittima sacrificale, in caso di playoff, della Golden State di turno.
Se non altro, si sono posizionati in maniera ottimale per tentare colpi che anni fa, data la fama che si portavano appresso, sarebbero risultati più che proibitivi. E questo costituisce già un notevole passo in avanti.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.