A Portland sembra vigere un senso costante d’incompiutezza. Avendo creato una coppia di superstar dal nulla attorno alle quali stanno tentando di costruire un roster che possa renderli definitivamente competitivi per la lotta al titolo, i Blazers rappresentano una realtà senza dubbio positiva all’interno della Nba, fatto avvalorato dalla loro presenza sostanzialmente fissa nel quadro playoff ad Ovest nonostante ne debbano condividere le acque con autentiche corazzate, dovendo oltre a ciò convivere con un neo piuttosto fastidioso, rappresentato dal non riuscire ad oltrepassare determinati punti del cammino di postseason.
Da quando è stata formata la coppia Lillard/McCollum la franchigia si è dimostrata in grado di staccare cinque biglietti post-stagionali consecutivi ed all’attualità è abbondantemente in lizza per allungare la striscia a quota sei, sotto le direttive di coach Terry Stotts sono pervenute un paio di scampagnate da cinquanta vittorie – cifra divenuta oramai il minimo indispensabile per restare al passo delle prime in una Western Conference sempre ardua – tuttavia sono sempre i successi nei playoff a decretare durezza di scorza e velleità di una determinata squadra, e da questo punto di vista Portland si è spesso distinta quale ottima compagine da regular season poi incapace di replicare tale consistenza quando il gioco si fa davvero duro, passando per eliminazioni inaspettate (New Orleans) o generate da un divario troppo ampio (Golden State).
I ragionamenti sui Blazers girano esclusivamente attorno a questa considerazione, di conseguenza ci si chiede da tempo se valga davvero la pena insistere sul nucleo attuale, che sembra aver dato indicazioni definitive su quale sia il massimo potenziale che il roster può esprimere, dando luogo a determinazioni di inadeguatezza che sembrano poter sfociare in una mossa determinante in vista della trade deadline di febbraio, periodo in cui Neil Olshey – il presidente delle basketball operation locali – ha già fatto fruttare in passato portando a casa il terzo fondamento dell’attuale composizione, Jusuf Nurkic.
Sussistono pochi dubbi sul fatto che Portland possa impensierire chiunque in singola partita, parliamo pur sempre di un’attualità che la vede quale quarta potenza ad Ovest con dieci vittorie nelle ultime quattrodici apparizioni, anche se poi le considerazioni non si possono fare con i soli numeri, permettendo l’ingresso di altri fattori che delineano dei limiti ben precisi. Damian Lillard è cresciuto, maturato fino a diventare il leader riconosciuto della compagnia, ed alla sua pressoché infinita dimensione offensiva ha mostrato dei sensibili progressi in difesa. McCollum è un realizzatore di prima fascia e Nurkic è un lungo da doppia doppia di media che possiede ulteriori margini di miglioramento, ma dietro i tre protagonisti principali delle serate al Moda Center non c’è poi molto, ed è proprio questa la causa per la quale le ambizioni di squadra si sono irrimediabilmente arenate.
Nonostante l’attuale correzione di rotta i Blazers hanno spesso dato l’idea di essere una compagine scostante. In ognuna delle stagioni più recenti si sono dovute affrontare fasi di vuoto andate poi a pesare sui bilanci di fine regular season, un copione che sembra ripetersi anche per il presente campionato, per esempio quando Dame e soci sono usciti con difficoltà da una crisi che li aveva portati a perdere dieci confronti su quindici tra novembre e dicembre (tra cui un -43 contro Milwaukee) mortificando una partenza-razzo rivelatasi poi solo illusoria, un andamento equivoco che per molti ha avuto a che fare con la tremenda alternanza di rendimento fornita dalla panchina, il maggior carico di energia a volte reperibile negli avversari di turno, e la facilità con cui in determinate circostanze le difese hanno trovato il modo di ingabbiare Lillard e limitare McCollum, gettando la sfida ad un cast di supporto poi incapace di fornire adeguate risposte.
L’ultima tornata di free agency al momento non pare essere stata di particolare aiuto, alimentando il numero di combinazioni possibili che Stotts sta tentando di assemblare per la cosiddetta second unit. Seth Curry, rientrante da una lunga convalescenza a causa della frattura da stress che ne ha cancellato la stagione scorsa, si è ripresentato esitante nelle decisioni, distratto in fase difensiva e poco accurato nella gestione del pallone, elementi determinanti nel decretarne l’altalenante presenza in rotazione, dalla quale è uscito e rientrato spartendosi i minuti con un Jake Layman anch’esso a corrente alternata.
Il discorso è perfettamente assimilabile per Nik Stauskas, che da metà dicembre al recente momento della sua estromissione dalle grazie del suo coach stava realizzando solamente il 26% dei tentativi scagliati da oltre l’arco, un giocatore partito assai bene ma scioltosi con il passare delle gare a causa della difesa troppo dipendente dal suo personale successo offensivo di giornata, dai numeri offensivi così ballerini, ed una generica inconsistenza che contribuisce a bocciare la campagna acquisti della scorsa estate.
Quest’ultima considerazione, nonostante il buon record attuale (va in ogni caso considerato che i Blazers sono 15-5 contro squadre dal record pari od inferiore a .500) non può che generare ulteriore pressione nel management per apportare un cambiamento significativo attraverso quella che gli statunitensi chiamano bold move, oppure, comprendendo la difficoltà nel rompere un backcourt la cui intesa è meravigliosa e che in tante serate fornisce tra i 50 ed i 60 punti in combinata, usare la trade deadline per affrontare la meno onerosa alternativa di costruire una panchina più efficace, rischiando tuttavia di non eseguire il salto di qualità ricercato.
E’ difatti notevole lo sbilanciamento nel dosaggio dei minuti tra titolari e seconde linee, chiaro segno della sfiducia nutrita da Stotts verso quest’ultima unità, oltre a ciò si è spesso parlato di come i Blazers possano per questo risultare prevedibili in attacco e fissati nei giochi in isolamento per Lillard e McCollum, fattori che rendono stagnante la fase offensiva, e di come gli avversari a volte tolgano una delle armi migliori di Portland, il pin down screen, essenziale per creare gli spazi giusti tra il tiratore che raggiunge il perimetro dopo il blocco e la rimonta del difensore.
Poi tutto sarà magari smentito o riposto in secondo piano da un’altra striscia vincente significativa e si tornerà a parlare di compagine sottovalutata, non dimentichiamo che i Blazers sono una squadra tanto abile nel ficcarsi nei guai quanto ammirabile per come se ne tirano fuori, al momento la squadra è posizionata meglio rispetto agli ultimi due campionati (29-20 al momento della stesura dell’articolo) e non sarebbe certo una sorpresa l’assistere ad una replica dell’entusiasmante cavalcata post-All Stars del 2018, con tredici successi infilati consecutivamente, impresa che all’attualità potrebbe essere replicata solo con una maggiore crescita di elementi come Zach Collins, spentosi dopo un inizio più che promettente di campionato, o con una miglior salute di Maurice Harkless, un elemento potenzialmente importante troppo spesso infastidito dai postumi dell’infortunio al ginocchio che gli ha fatto perdere una cospicua dose di gare.
Difficile dunque inquadrare adeguatamente le potenzialità di una franchigia come Portland all’interno di un quadro più complesso rispetto a quello dell’anno passato, in una Western Conference dove i Warriors hanno lentamente ma significativamente ristabilito le vecchie gerarchie e che vede Nuggets e Thunder – peraltro entrambe rivali divisionali – cresciute rispetto a dodici mesi fa, tenendo pure conto della furiosa rincorsa che Houston sta attuando a suon di trentelli del Barba e quella che sicuramente tenteranno i Lakers una volta recuperato il Re.
Nonostante gli alti e bassi che stanno vivendo, i Blazers restano una squadra da playoff e non avranno grossi problemi ad ottenere l’accesso per la postseason, ma la questione che gira attorno a loro è un’altra: al momento, nonostante siano prossimi ad ottenere la trentesima vittoria di regular season, non c’è nulla in grado di suggerirci che Lillard, C.J. e Nurkic possano misurarsi adeguatamente contro rivali all’attualità più complete e ricche di talento rispetto a loro.
Incombono decisioni da prendere in fretta, vedremo se l’aria di febbraio porterà con sé anche qualche cambiamento significativo.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.