Come va per i nostri due ragazzi in NBA? Bene direi, i nostri due eroi superstiti se la stanno cavando egregiamente.
Marco Belinelli è tornato a San Antonio alla corte di coach Popovich, Danilo Gallinari è uno dei perni dei Los Angeles Clippers. Hanno due storie diverse ma un destino che per forza di cose deve e vogliamo che sia comune.
Un destino che ci porta nella prossima tarda estate in Cina, dove si svolgeranno i Mondiali. L’Italia non si è ancora qualificata, ma tutti noi speriamo ce la faccia, manca davvero poco, due ultime partite ed è ufficiale.
L’Italia ha, almeno sulla carta, una bella squadra per fare una figura più che dignitosa e molto dipenderà dall’apporto dei nostri due americani ancora in onda nello show ormai globale chiamato NBA.
Non ci sbilanceremo sul vagheggiare scenari futuri perchè appunto manca ancora la certezza matematica della nostra qualificazione, vediamo piuttosto a che punto è questa loro esperienza in America e come sono stati finora percepiti.
Danilo è arrivato a Los Angeles, sponda Clippers, con grandi speranze. La mia sensazione, ancora oggi e anzi a maggior ragione oggi che non è più un ragazzino (classe 1988) è che gli sia sempre mancato quel centesimo per fare il definitivo passo in avanti nell’elite della lega.
Gli infortuni, direte, ovvio. Purtroppo la carriera del Gallo è stata in parte rovinata da troppi malanni fisici che lo hanno limitato parecchio.
In una NBA che è ormai stabilmente il campionato internazionale dei migliori al mondo, senza eccezioni, lui ci sta alla grande, per talento e potenzialità.
Non credo sia mai stato il tipo di giocatore alla Luka Doncic “arriva il fenomeno ragazzino subito All Star” ma semplicemente potrebbe essere definitivamente e senza dubbi il leader di una franchigia NBA.
Ai Clippers è la prima opzione offensiva ? La seconda ? Non conta tanto questo, non contano tanto i numeri, conta l’attitudine alla leadership e il riconoscimento unanime interno alla squadra ed esterno come franchise player.
Ecco, non vedo che sia ancora così, per lo meno appunto non in maniera chiara e che possa fugare qualsiasi scetticismo.
Abbiamo avuto nella storia una prima scelta assoluta ma mai chiaramente un franchise player e l’unico che vi si è avvicinato è stato proprio lui.
Può farlo ancora, c’è del tempo, ma l’impressione è che sia stato già marchiato a fuoco come “good player” e niente più e non so se possa riuscire a scrollarsi di dosso questa etichetta.
Mi ripeto, perchè voglio essere chiaro, ci sono stati parecchi infortuni, purtroppo sempre in agguato con lui ma ha il talento per sentirsi propri questi Clippers, peraltro gettati nella mischia in una Western Conference troppo competitiva per il loro reale valore.
Danilo è figlio, almeno in parte, di Dirk Nowitzki. Oddio, tutti gli attuali international players devono a lui uno spazio nella NBA di oggi, perchè il tedesco ha aperto davvero le porte della lega al mondo e ad una sua piena dimensione globale.
Nello specifico però, per Danilo c’è tanto di più. Dirk ha segnato un cambio generazionale fortissimo tra i GM, perchè col suo successo a Dallas un po’ tutti hanno ricercato il successivo fenomeno in giro per il mondo, magari al posto del solito atleta delle High School americane senza uno straccio di jump shot.
Il lungo che tira da fuori è diventato il nuovo prototipo da ricercare a tutti i costi. E’ questo l’unico motivo, per restare tra le nostre mura, perchè Bargnani sia stato scelto alla numero 1.
Il Gallo rientra in questo discorso. E’ 2,08 e non è propriamente un lungo ma tipicamente un’ala piccola, il concetto però è questo. E’ alto, sa tirare da fuori, ha i fondamentali tipici di un approccio europeo.
Nell’era inaugurata da Dirk va benissimo, la NBA se lo prende e se lo coccola. Qua e là ha anche esaltato le folle ma sono pazzo se dico che sarebbe dovuta arrivare almeno una convocazione all’All Star Game ?
Per me il talento è da All Star ma, appunto, non ci è mai realmente andato vicino. Lo vorrei più cattivo, più continuo, è il miglior italiano di sempre in NBA, oppure siete convinti che lo sia Belinelli ?
Bella domanda, proviamo a rispondere. Un primato a Marco non glielo toglie nessuno. E’ il primo italiano campione NBA, nel 2014 alla sua prima esperienza a San Antonio.
Per di più, ha anche vinto la gara da 3 punti nell’All Star Game dello stesso anno, non è poco, anzi, è qualcosa che conta parecchio in sede di stipula dei contratti perchè in America sono attenti ai numeri e ai trofei che puoi esibire.
Quindi Belinelli ha avuto una carriera migliore di quella di Gallinari ? Posso essere onesto, direi di si, per almeno due motivi.
Il primo l’abbiamo già detto, ha vinto. Siamo d’accordo, non era certo né il leader né l’anima della squadra ma non ha avuto per nulla un ruolo secondario, anzi, i suoi tiri si sono fatti sentire parecchio nella scalata al titolo degli Spurs.
Secondo motivo. E’ riconoscibile. Ok, è un role player, ma nella NBA di oggi la specializzazione ha un’importanza potremmo dire addirittura pari allo status di superstar.
Se sai fare una cosa bene ti apprezzeranno e ti inseguiranno, se poi quella cosa fatta bene è il tiro, beh, non penso che un gran bel tiratore nell’odierno trend allargato oltre l’arco dei tre punti se lo possano far sfuggire facilmente.
Se parliamo di etichette, per lo più negative, anche Belinelli ne ha una. E’ uno journeyman, cambia troppo spesso squadra e non ha mai avuto la reale possibilità di mettere radici e di diventare un punto di riferimento stabile in una determinata franchigia.
Solo per i parziali. Golden State, Toronto, New Orleans, Chicago, San Antonio, Sacramento, Charlotte, Atlanta, Philadelphia, di nuovo a San Antonio. Quasi un cambio ogni anno.
E’ stato trattato come carne di macello, una facile pedina da scambiare ad ogni occasione. Il lato positivo è che ha sempre trovato e sempre troverà chi è interessato in lui, quello negativo è che in questo modo non ha lasciato il segno da nessuna parte nello specifico.
Un po’ lo ha fatto agli Spurs, dove non a caso è tornato, quindi la speranza per lui è che ritrovi una sua dimensione lì in Texas, coach Popovich lo apprezza sinceramente.
E’ buffo ma completamente logico come oggi passi per tiratore puro, o meglio, come tiratore e basta. In Italia, e quindi in Europa, seppur ancora giovane, era un giocatore totale, capace a tratti di dominare le partite.
In America ha avuto l’intuito, in parte naturale, in parte forzato dai suoi coach, di limitarsi ad un mero ruolo di specialista.
Vorrei ragionare un attimo su questo. Siamo proprio sicuri che Belinelli non avrebbe potuto dare un contributo maggiore, al di là dell’essere specialista ?
Bella domanda. Secondo me, magari con un’altra testa, più convinto dei propri mezzi, sarebbe potuto essere anche un titolare di medio-alto livello, non solo un tiratore e basta.
E’ stato intelligente lui a tenersi limitato e a concentrarsi solo su un’aspetto del suo gioco, oppure sono stati i suoi coach a sottovalutarlo, di sicuro è stata una scelta felice perchè Belinelli ha trovato una sua dimensione chiara nella NBA, direi vincente.
Resta il discorso, puramente potenziale, di una guardia capace di tutto, anche con buon atletismo, che poteva magari giocarsela diversamente.
Sarebbe tornato in Europa come Datome magari, oppure sarebbe diventato un titolare stabile da qualche parte, in ogni caso non penso gli pesi più di tanto l’etichetta stringente di tiratore, anche se questi discorsi gli saranno frullati nella sua mente e sono doverosi per un appassionato come me che lo ricorda in tutto tranne che come specialista nella nostra cara Europa.
Meglio essere un giocatore dominante in Europa o uno specialista in NBA ? Difficile dirlo, però mi sovviene un paradosso.
Datome non potrebbe mai avere un ruolo preciso e definito come quello di Belinelli nella NBA e Belinelli, ripeto, per paradosso, non potrebbe magari essere uno dei migliori giocatori in Europa.
Quindi ognuno dei due è super nel suo contesto, ognuno ha fatto a mio avviso la scelta giusta, ha più valore assoluto Belinelli come giocatore nel suo complesso ma incredibilmente a mio modo di vedere non farebbe onde in Europa come le fa invece Datome, come al contrario lui non hai mai potuto incidere nella NBA e mai lo farà.
Belinelli e Gallinari devono ancora scrivere ancora parecchi capitoli nel loro libro. Beli sarà per sempre uno specialista e così passerà alla storia, ormai è tardi per cambiare rotta.
Danilo invece ha ancora un’ultima discreta possibilità di cancellare una piccola macchia. “Good overall player” finora, può ancora salire di livello.
Questa tarda estate dunque si giocano i Mondiali, nella lontana Cina. Al di là delle motivazioni personali e dello status ancora non ufficiale della nostra qualificazione, i nostri due ragazzi devono avere questo obiettivo nella loro mente, prima di qualsiasi altra cosa.
Giocano in squadre che difficilmente avranno una chance profonda nei playoff, ad ogni modo non vorrei mai che sottovalutino, come forse è successo in passato con loro o con altri, l’impegno della Nazionale.
La NBA può servire anche a testare il reale peso dei giocatori in un contesto internazionale. Forse i Mondiali sono in secondo piano rispetto ai Giochi Olimpici, questo anche in una prospettiva Team USA, dovremmo rimettere un po’ le cose in ordine.
In ogni sport che si rispetti i Mondiali sono, o dovrebbero essere, il livello più alto di competizione. Nel caso particolarissimo del basket c’è una lega, ovviamente la nostra cara NBA, che ha un po’ forse assorbito il ruolo specifico dei Mondiali inglobandolo quasi del tutto.
Oggi il Mondiale di basket è ogni singola stagione NBA, non c’è dubbio, limitando quindi all’eccezionalità dell’evento olimpico lo status di maggiore torneo tra nazionali.
Se c’è un orgoglio in un mondo normale questo è sbagliato, e vorrei che la nostra Federazione abbia ben chiaro che dovrebbe spronare i suoi migliori giocatori, in primis quindi i nostri due ancora in NBA a porre China 2019 in cima alle loro priorità.
Non è ancora molto chiaro, come direi invece nel calcio. Questo 2019 è un anno Mondiale, non ce ne siamo ancora accorti in pieno mi sembra.
Sveglia ragazzi, la NBA ha avuto e avrà un senso per i giocatori italiani non solo perchè oggi Beli ha vinto e il Gallo è, mi scuserà ancora, un “good overall player”, ma perchè deve essere intesa anche come una palestra per qualcosa che almeno in teoria dovrebbe essere una causa maggiore per la quale affilare le armi.
Quindi probabilmente la NBA ha formato, anzi, ci ha formato, due ragazzi tosti pronti a lottare, pronti perchè abituati a competere tutti i giorni contro i migliori al mondo.
Deve essere questo il lascito maggiore per il nostro basket, deve essere questa la lezione, che tutti i paesi ormai più o meno hanno avuto.
La NBA è la lezione americana, China 2019 i prossimi esami.
Noi ci vogliamo essere, e prenderemo sicuramente un bel voto.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”