Denver è una città unica dal punto di vista morfologico nel panorama degli sport a stelle strisce, con ben cinque franchigie professionistiche, che giocano a 1600 metri abbondanti di altitudine.

A Denver, come nel resto degli States, la fa da padrone il Football sebbene i Broncos non abbiano brillato quest’anno. Per numero di spettatori viene poi il baseball, solo terzo il Basket che se la gioca per numero di presenze con Hockey e Soccer, sebbene il Pepsi center sia una signora arena. Giusto per la cronaca le uniche due franchigie mai vincitrici di un titolo nazionale a Denver sono proprio i Nuggets nella NBA ed i Rockies nella MLB.

Lungi da me di trattare il baseball, mi concentrerò sui Nuggets, che in questa stagione stanno vivendo un momento magico: a mio personale modo di vedere, la vera sorpresa della NBA di quest’anno. Nel momento in cui scrivo le pepite sono infatti al comando della Western Conference: alzi la mano chi si aspettava un simile risultato ad inizio stagione. Il tutto considerando gli infortuni (52 partite saltate in tutto!!!) occorsi a giocatori chiave quali Barton, Harris e Millsap.

Ma procediamo per gradi. Le basi dell’attuale successo derivano da due fattori: in primis dal lavoro del coaching staff, in secondo luogo dal lavoro immenso fatto da Tim Connelly, ovvero il Presidente responsabile del Front Office.

Partiamo dal lavoro fatto per creare questo team, e da come siamo arrivati all’attuale roster. Denver è una squadra giovane, con un allenatore relativamente giovane e con un presidente ancor più giovane.

Tim Connelly all’anagrafe risulta essere nato nel 1976, ed è ai Nuggets dal giugno 2013, prima come General Manager in sostituzione del premiato Masai Ujiri, e presidente da giugno 2017, quando ha ceduto il posto di GM ad Artūras Karnišovas, ben conosciuto in Italia per i suoi passati cestistici.

Connelly ha preso il testimone da Ujiri, ed ha fatto pure meglio, creando le basi per il successo di una delle franchigie NBA a mio modo di vedere meglio gestite. Il successo di Denver è frutto di scelte oculate al draft, ottime mosse sul mercato dei free agent, tanta pazienza e perché no un pizzico di fortuna, quella che ti fa scommettere su un prospetto che poi si rivela una superstar.

La gestione Ujiri era stata lungimirante, gestendo perfettamente il caso Melo e mantenendo la squadra competitiva. Connelly ha semplicemente sovraperformato.

Ma partiamo dal 2013, quando Denver non aveva spazio salariale e le stelle erano Ty Lawson e Gallinari. L’inizio per il GM è stato in salita: con una scelta dolorosa Connelly ha ceduto il leader della squadra Andre Iguodala ai Warriors,  ed ha in seguito portato Denver gente di secondo piano (Foye, Robinson, Vesely, Arthur). Sempre a giugno 2013 Denver pesca al draft un giovane lungo francese, tale Rudy Gobert, girato poi a Utah in cambio di Erick Green e denaro.

Già un anno dopo Connelly aveva creato 6 milioni di spazio nel cap, mediante la cessione della scelta 11 al draft (Doug McDermott) più Anthony Randolph ai Bulls, ottenendo in cambio la sedicesima e la diciannovesima scelta trasformatesi poi in Jusuf Nurkic e Gary Harris.

Sempre nel 2014 la scelta dolorosa, rilevatasi poi azzeccata, di cedere un buon giocatore come Fournier ai Magic in cambio di Afflalo. Lo stesso Afflalo sarebbe poi stato girato a Portland a febbraio 2015 in cambio di Will Barton.

Ma soprattutto come dicevamo sopra Connelly ha avuto la lungimiranza e la fortuna di pescare lo sconosciuto, ai più, diciannovenne Nikola Jokic, con la scelta 41 al draft 2014. Classico esempio di puzzle perfetto, uomo giusto al momento giusto, nel contesto giusto. Il serbo sarà inserito a roster solo nel 2015 diventando in seguito il fantastico giocatore che ammiriamo oggi, i cui margini di miglioramento sono ancora enormi.

Nel 2015 la gestione di Connelly sembrava a molti deludente invece, nonostante le due mancate apparizioni ai playoff, Denver si ritrovava con un gruppo di giovani di talento e potenzialità di sviluppo notevoli.

Connelly diventa presidente a giugno e porta a Denver il coach Micheal Malone che non aveva certo entusiasmato a Sacramento, ma anche in questo caso la mossa si rivelerà azzeccata nel medio termine. Al draft viene selezionato Emmanuel Mudiay, e successivamente firmato Jokic i cui diritti risalivano all’anno prima.

L’abbondanza di guardie si traduce nella cessione di Lawson a Houston in cambio di nulla, per il semplice motivo che Ty, sebbene avesse potenzialità da super giocatore, aveva troppi problemi con la giustizia ed un’attitudine alla bottiglia che in una città come Denver difficilmente puoi nascondere.

La prima stagione con coach Malone è però priva di sostanziali progressi sul campo (solo tre vittorie in più dell’anno precedente), ma consente di fare quello che Connelly ha in mente, cioè far crescere le sue pepite che per ora sono solo sul fondo del grezzo Colorado. Nel mentre Danilo Gallinari gioca il miglior basket della carriera, salvo poi infortunarsi.

A giugno 2016 la franchigia era a ridosso della parità in termini di spazio salariale (leggermente sopra lo spazio per 1,4 milioni) ma il futuro era roseo. Al draft arrivano Jamal Murray, Juan Hernangomez e Malik Beasley. Complici le nuove regole NBA lo spazio salariale cresce a circa 11,5 milioni e Denver diventa a tutti gli effetti un team a caccia di free agent con esperienza per fare da chiocce ai ragazzi del roster. Per il momento non arriva nessuno e Connelly preferisce non forzare la mano visto il plus dei contratti in scadenza, Gallinari su tutti.

La crescita di Jokic è costante, e Denver lo capisce: a febbraio 2017 Nurkic viene ceduto a Portland in cambio di un buon gregario come Mason Plumlee. La stagione si conclude con un record vicino al 50% (40-42) nella tonnara dell’ovest e senza la partecipazione ai play off, che però non sono un’ossessione da queste parti.

Al draft 2017 la tredicesima scelta si traduce in Donovan Mitchell, ceduto a Utah in cambio Tyler Lydon e Trey Lyles, vero grande neo della carriera di Connelly finora. Ma anche in questo caso i Nuggets ci avevano visto lungo ed avevano scovato l’ennesimo diamante, che poi hanno ceduto ad un’altra franchigia smart come Utah a causa del sovraffollamento nel reparto. Sempre al draft arriva in sordina con la 51 Monte Morris.

A giugno 2017 Gallinari viene rinnovato, salvo poi essere ceduto ai Clippers con la complicità di Atlanta, in cambio proprio di una seconda scelta 2019 degli Hawks. Finalmente Denver riesce ad attrarre il free agent che cercava, Paul Millsap che tanto aveva fatto bene ad Atlanta con coach Bud. Millsap costa, e non poco, circa 30 milioni a stagione per un triennale, ma è quello che serve ad un team giovane ed inesperto come lo sono i Nuggets.

Ad ottobre 2017 viene esteso Gary Harris, mentre a febbraio 2018 Mudiay viene ceduto ai Knicks.

La stagione si conclude come tutti sappiamo, con un record 46-36 e la mancata apparizione ai play off all’ultima giornata a causa dei Minnesota Timberwolves, con sconfitta nello scontro diretto.

Al Draft 2018 Denver decide di andare con la 14 sul talento cristallino di Micheal Porter jr che se mai calcherà un parquet NBA potrebbe essere l’ennesima mossa vincente di Connelly, cui si scusa anche la rinuncia a Gobert e Mitchell che costituiscono l’asse portante di Utah ma che a Denver oggi sarebbero di troppo (forse non Mitchell).

Con Faried e Chandler fuori dal monte salary, Denver ha una situazione ottimale, seppur senza margini di manovra in termini di spazio salariale, perché tutti i giocatori chiave sono sotto contratto ed il futuro è garantito.

Denver è una comunità speciale, per giocatori, allenatori e staff, chiedere a Danilo Gallinari per conferma. E Connelly è un uomo eclettico, intelligente e con un profilo diverso da quello del tipo presidente di franchigia, basta leggere questa intervista per capirlo.

Tornando ai giorni nostri la stagione di Denver è attualmente sorprendente, perché la crescita prima costante è ora esponenziale a discapito dei numerosi infortuni che hanno colpito giocatori chiave del roster.

Will Barton ha giocato due partite in stagione ed ha subito un intervento all’anca che lo ha tenuto lontano dal campo fin dallo scorso 20 ottobre, ora scalpita per rientrare, ma ci potrebbe volere ancora un po’ di tempo.

Gary Harris ha saltato 11 partite dal 3 dicembre scorso ed è rientrato il primo gennaio da un infortunio all’anca.

Paul Millsap ha saltato 8 partite tra il 7 ed il 29 dicembre a causa di una frattura ad un dito del piede destro.

La prima scelta Porter Jr ha subito un intervento chirurgico alla schiena, dopo che era già stato operato al college e quasi certamente non lo vedremo in azione quest’anno. Isaiah Thomas invece doveva essere il sesto uomo che spaccava le partite con le sue folate offensive, ma la sua anca non gli ha ancora permesso di scendere in campo.

Qualsiasi coach avrebbe utilizzato questo lazzaretto per giustificare risultati non all’altezza, ma il trend di Micheal Malone non è questo, il suo dogma è la crescita. Così il coach ha saputo ottimizzare il materiale a disposizione, sostituendo inizialmente Barton con Torrey Craig, salvo poi promuovere titolare Hernangomez prima da tre e poi da quattro con l’infortunio di Millsap.

La partenza di Denver era stata folgorante con 9 vinte ed una persa nelle prime dieci gare, poi una striscia di sei sconfitte in sette gare ha fatto temere il peggio, salvo poi inanellare 7 vittorie consecutive ed una maturità sempre maggiore nel gestire le partite. I Nuggets hanno infatti giocato due supplementari in stagione, con avversari non irresistibili come Bulls e Magic, ma li hanno vinti entrambi.

Il team di Malone non è solo giovane, è profondo, il che ha permesso di sopperire alla mancanza dei titolari e sarà un’arma decisiva più avanti quando bisognerà centellinare le forze. Il coach non ama mischiare le carte, tant’è che nonostante il talento a disposizione lo starting five, infortuni a parte, non è soggetto a rivoluzioni. Ma Malone, a differenza di molti colleghi, concede minuti a chi se li merita, il che crea un ambiente perfetto per lo sviluppo dei giovani talenti.

Il quintetto base di partenza era Murray, Harris, Burton, Millsap, Jokic, salvo poi integrare prima Craig, Hernangomez e Plumlee per cause di forza maggiore.

Jokic sta giocando a livelli stellari, senza per forza dover fare attenzione al box score risulta essere una macchina da triple doppie vista la sua capacità realizzativa, a rimbalzo e di passatore. Nikola è senza alcun dubbio il miglior lungo passatore della lega, che associato al 30% abbondante da tre (39,5% la scorsa stagione) ne fanno il prototipo perfetto di lungo moderno che tanto ha rivoluzionato il gioco della lega.

La sua crescita, a di là dei numeri notevoli, impressiona vista l’età del giocatore che a 23 anni è ancora lontano da quelli che possono essere i picchi della sua carriera. Se proprio vogliamo fare un appunto la fase difensiva necessita ancora di molto lavoro, limitarsi a prendere rimbalzi non è una scusante e per diventare una superstella serve anche quella.

Alla difesa da migliorare necessariamente però Jokic associa propensione altruistica non riscontrabile in nessun altro top player NBA.

https://www.youtube.com/watch?v=WDf_biaKF4w

 

https://www.youtube.com/watch?v=uuvwQB-jpgA

Chi ha fatto il salto di qualità, forse prima di quanto atteso è Jamal Murray, classica combo guard che molti scout giudicavano non avere le caratteristiche di un play, e nemmeno la stazza di una guardia. Invece L’ex Kentucky al terzo anno nella lega ha avuto una crescita impressionante, che lo ha reso il miglior marcatore della squadra.

Tutte le voci statistiche sono in crescita, a parte la percentuale da tre, comprensibile visto che penetra maggiormente e gestisce più palloni, spesso decisivi. Inoltre giocare con un lungo come Jokic che garantisce 7,6 (!!!) assista a gara, toglie parecchia pressione dal tuo play ed in alcuni momenti del gioco, trasforma proprio il serbo in play con due guardie pronte a punire i raddoppi, il che rende i Nuggets difficilmente giocabile per molti vista la completezza di Jokic in attacco e le soluzioni multiple di tiratori a supporto.

Juancho Hernangomez e Monte Morris sono due giocatori che hanno superato le più rosee aspettative, con lo spagnolo che sembra finalmente pronto per dare quello che ci si aspettava, viaggiando con un sontuoso 43% dall’arco, mentre Morris è l’ennesima scommessa vinta, ed in 25 minuti a partita viaggia col 44% da tre, in un team che tira con un ottimo 35% di squadra.

Un altro giocatore che sta facendo il salto di qualità è Malik Beasley che ha saputo sfruttare lo spazio per dimostrare il suo valore, tirando da tre col 40% abbondante, e fresco di career high nella prima partita del 2019 con 23 punti ai miei derelitti Knicks.

Il 2019 come si preannuncia?

Il rientro di Millsap sarà graduale perché l’ex Atlanta è un giocatore fondamentale per Denver, non tanto in attacco dove si è adeguato al gioco di Malone che vede Jokic come facilitatore dell’attacco, quanto in fase difensiva. Millsap nonostante viaggi per le 34 primavere è un giocatore con altissimo QI e bada al bene della squadra prima che al suo, il che si traduce in adattamento in fase offensiva ed abnegazione in quella difensiva, facendo da collante ai ragazzini (meno di 23 anni di media) del quintetto titolare, e sopperendo ad alcune lacune che Jokic ancora dimostra.

Harris andrà gestito senza fretta, nel mentre coach Malone potrà alternare Craig quando servirà più difesa e Beasley quando servirà più produzione offensiva, con lo stesso Morris a portare la palla. Interessante notare come i Nuggets con due centri in campo (Jokic e Plumlee) siano meno efficaci in difesa, mentre migliorino con un solo centro e alternativamente Millsap o Hernangomez.

Curioso questo episodio nell’ultima partita con i Knicks dove Plumlee spinge Beasley, che secondo lui doveva raddoppiare Kornet invece di inseguire l’ex Mudiay, che nel mentre infila Plumlee stesso e Jokic.

https://www.youtube.com/watch?v=aC_-4qfSdjw

Se Trey Lyles dovesse migliorare e rendere per quanto ci si aspettava quando lo si è preso cedendo i diritti di Mitchell al draft, allora queste pepite potrebbero davvero abbagliare.

Inoltre rimane da capire se vedremo o meno in campo Isaiah Thomas, che potrebbe essere un ulteriore freccia nell’arco di questo team di giovani terribili.

Ciò che rende belli da vedere questi Nuggets è come giochino di squadra (primi nella speciale classifica delle clutch wins con 16 vittorie, secondi nella lega per assist dietro i Warriors, terzi come punti derivanti da una seconda opportunità in attacco, sesti come +/-)

Lo stesso coach Malone ha dimostrato di sapersi adattare, cambiando alcuni aspetti del suo sistema, cercando di smussare al tempo stesso quelli che erano dei difetti strutturali. La tendenza a non mantenere fluido il gioco e chiamare molti time out nelle fasi iniziali del match, salvo poi averne pochi alla fine delle partite, è stata una delle più grandi critiche rivolte al tecnico di newyorkese.

Un punto di forza, vuoi per le qualità del roster, vuoi per le sue attitudini di allenatore è quello di non aver impostato le rotazioni su ruoli predefiniti, garantendo un buon gioco di squadra ma allo stesso tempo ottimizzando le qualità dei singoli.

Vale quanto già detto per Murray o Barton, liberi da compiti di playmaking grazie alla presenza di un lungo con mani sartoriali come Jokic, o ad un veterano come Millsap, che ha saputo calarsi in un ruolo meno da protagonista in attacco rispetto ai tempi di Atlanta o Utah. Ciononostante lo stesso Malone ammette la sua tendenza a chiamare troppo spesso dei giochi, togliendo fluidità al gioco e creatività ai suoi giocatori.

Rispetto ai suoi diretti concorrenti che hanno ottenuto estensioni del contratto, Malone è in discussione per il mancato approdo ai play off, nonostante la costante crescita. L’obiettivo è decisamente alla portata di Denver quest’anno. Lo stesso presidente ha chiaramente detto alla stampa che in caso di mancata qualificazione per la post season ci saranno conseguenze, ossia il licenziamento di Malone.

A meno di disastri epocali finalmente Denver respirerà aria di play off ed i suoi giovani potranno farsi le ossa anche in quel frangente, con la possibilità concreta di fare strada. Molto dipenderà anche dagli avversari in un ovest dove gli equilibri cambiano velocemente e la concorrenza è spietata.

Il prossimo anno ci sarà da negoziare il contratto di Murray, ma Denver avrà anche le scelte al draft (prime protette dalla 1 alla 12 dal 2019 al 2024, dei Nets dalla 13 alla 30), e sappiamo che Connelly potrebbe ancora fare la differenza.

Tifosi Nuggets è tempo di sorridere, le pepite sono tornate.

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