Puntata prenatalizia di 7for7, nella quale il sottoscritto si trasformerà magicamente in Grinch con il malvagio scopo di rovinare ai vostri occhi l’idilliaca visione della NBA come campionato più bello del mondo. Il tutto grazie ad un brillante compendio fatto di:

– infrazioni sesquipedali che Michael Jackson levati
– proposte per gare di velocità tra dragster umani
– certificati di nascita taroccati con il bianchetto
– terribili malocchi che terrorizzano grandi e piccini

Sicuro dell’ampio gradimento che riceverà la mia iniziativa, vi porgo anticipatamente i miei non-cordiali auguri.

 

LUNEDÌ 17 DICEMBRE – THE BEARDWALK

Della brutta partenza di stagione degli Houston Rockets abbiamo già parlato diverse volte. Schemi offensivi che sembravano essere di colpo diventati inefficienti, difesa nettamente peggiorata dalla partenza di Mbah a Moute e Ariza, CP3 in decisa difficoltà (e ora anche infortunato) nonostante il faraonico rinnovo contrattuale, etc. Tutte cose già lette e rilette, ma negli ultimi giorni la franchigia texana pare aver ritrovato parte del suo flow per issarsi ad un decoroso record di 17 vinte e 15 perseO meglio, diciamo soprattutto che James Harden sembra aver ripreso a macinare quel basket che nella scorsa stagione lo aveva portato fino al titolo di MVP, perché effettivamente buona parte di questa parziale rinascita di Houston va associata di diritto al nome della barba più famosa della NBA. 

Dopo aver gettato al vento, complice una straordinaria prestazione in the clutch da parte del veteranissimo (forse) Luka Doncic, una vittoria ormai quasi conquistata contro i Dallas Mavericks, i Rockets hanno infatti inanellato una serie di cinque vittorie consecutive contro Portland, Lakers, Memphis, Utah e Wizards. In queste gare il tassametro di Harden si è fermato rispettivamente a quota 29, 50 (con tripla doppia), 32 (altra tripla doppia), 47 e 35 punti. Devastante fatturato che Harden ha ammassato anche grazie ad una pioggia di tiri liberi (73 in totale nelle cinque gare sopracitate), non sempre però conquistati in modo cristallino. È infatti ormai nota a tutti la sua capacità di lucrare tiri liberi infilandosi sotto le braccia del difensore o buttandosi addosso all’avversario che abbia osato sollevarsi incautamente dal parquet per abboccare ad una sua finta. Altrettanto celebre è il suo step-back, effettuato ad una velocità tale da rendere spesso difficile agli arbitri il compito di verificare eventuali infrazioni di passi.

Nella partita di lunedì notte abbiamo però toccato l’apice, quando il povero Ricky Rubio si è visto fischiare un fallo per un contatto sul braccio di Harden avvenuto in seguito ad un double-step-back che, con tutto il rispetto possibile per quelli vestiti in grigio, avrebbe sanzionato anche mia nonna con la cataratta. Il tutto ha generato l’ormai ovvio diluvio di salaci commenti sui social network, tra i quali scelgo questo del geniale utente indonesiano di Twitter, @andikamajaya, al quale verrà presto comunicata l’introduzione ad honorem nella redazione di 7for7.

#genio

Honorable Mention of the Night. Taj Gibson che tenta di stoppare l’avversario utilizzando la sua stessa scarpa. Purtroppo per lui non ci è riuscito (la stoppata è arrivata dal suo compagno Karl Anthony Towns) ed il taglio è stato quindi inevitabile. Maybe next time, Taj!

MARTEDÌ 18 DICEMBRE – PRACTICING LOGO SHOTS

La domanda è ampiamente di attualità: il tiro da tre punti è diventato troppo semplice? Le percentuali complessive in realtà non raccontano questo, perché l’attuale 35,2% con il quale i giocatori della NBA convertono complessivamente il tiro dalla distanza è più o meno in linea con le medie degli ultimi vent’anni (tra l’altro sempre piuttosto stabili). Quello che è certo è il tiro da tre sia diventata un’opzione estremamente diffusa, se è vero (ed è vero) che la stragrande maggioranza delle squadre ne fa un uso assolutamente impensabile fino a pochi anni fa. Gli oltre 31 tentativi di media per squadra a partita rappresentano il picco di una tendenza all’aumento che in pratica non ha mai registrato inversioni di tendenza nella storia della NBA.

Si va dai 40 e oltre tentativi a sera di Rockets e Bucks fino a scendere ai 23/24 di Pacers e Spurs, che peraltro sono la squadra che li realizza con la percentuale più alta (quasi il quaranta per cento). Il tutto con gran fastidio di molti ma in particolare proprio di Gregg Popovich, che ha più volte dichiarato di odiare questo tiro “accusandolo” di aver rovinato lo spirito del gioco. Non saprei sinceramente dire se in meglio o in peggio (sempre che ci sia qualcuno in grado di esprimere un giudizio di merito sull’evoluzione di uno sport), certamente il basket è enormemente cambiato negli ultimi anni in seguito a questa dilagante tendenza a tirare sempre più da lontano.

Se per un semplice calcolo matematico è ovvio come un tiro da tre punti segnato con il 40% sia decisamente più vantaggioso di un tiro da 2 segnato con il 50% (1,2 punti potenziali per tiro contro 1,0), la vera rivoluzione copernicana non ha riguardato tanto il valore numerico del tiro di per sé stesso quanto le diverse spaziature che ha generato sul parquet. Avere quattro o cinque giocatori in grado di essere pericolosi oltre l’arco libera spazio a centro area per le penetrazioni in 1vs1 e impedisce ai difensori in aiuto di convergere sull’uomo che punta al ferro. La domanda successiva quindi è questa: è possibile evolvere ulteriormente il gioco creando una linea per il tiro da quattro punti? Adam Silver è già stato interrogato diverse volte a riguardo e ha ammesso che la Lega sta valutando la cosa (anche se non pare particolarmente entusiasta dell’idea), ma una reale introduzione resta a mio modo di vedere difficile e di certo non applicabile a breve termine.

Nel frattempo però pare che, secondo un report della ESPN, diverse squadre stiano già allenando questo tipo di tiro, il cosiddetto logo shot. Nella fattispecie pare che i Milwakee Bucks, i Brooklyn Nets, i Chicago Bulls e gli Atlanta Hawks siano tra le squadre che si allenano abitualmente con una linea supplementare dipinta sul parquet ad un paio di metri di distanza da quella dei canonici 7 metri e 25. In particolare, il rookie Trae Young ha dichiarato di allenarsi con grande interesse e divertimento a questa soluzione… anche se magari gli andrebbe fatto notare che con il suo attuale 25% scarso da tre ci sarebbero altri esercizi a cui dedicarsi prima di fare pratica con i tiri dal parcheggio.

In ogni caso, il giorno in cui questa modifica del regolamento dovesse effettivamente arrivare sarà purtroppo troppo tardi per essere apprezzata da Antoine Walker, l’ala ex Celtics che circa vent’anni fa alla domanda di un giornalista che gli chiese come mai tirasse così tanto da tre punti (scagliava circa 600 triple a stagione, più di quanto all’epoca facessero complessivamente una buona parte delle franchigie dell’intera Lega) rispose: “Perché non esiste il tiro da quattro”. D’altra parte lui era soprannominato The Genius!

https://www.youtube.com/watch?v=Cs0aO46i4yo

Per non dimenticare chi oggi sarebbe ospite fisso di questa rubrica. Ci manchi ‘Toine.

Honorable Mention of the Night. Una curiosa statistica riferisce che LeBron James avrebbe tentato 1.850 schiacciate in carriera e venendo stoppato solo 9 volte, di cui una bellissima da Jarret Allen proprio ieri notte. NOVE stoppate subite su MILLEOTTOCENTOCINQUANTA schiacciate. Ci dev’essere sicuramente un errore…

 

MERCOLEDÌ 19 DICEMBRE – THE FASTEST MAN ON THE COURT

“Sono più veloce di John Wall. Sono più veloce di Russell Westbrook. Con la palla in mano sono decisamente il giocatore più veloce dell’intera Lega.” Parole e musica di De’Aaron Fox, razzente play dei Sacramento Kings che si sta rendendo protagonista di un ottimo secondo anno e che è una delle principali ragioni della buona partenza della franchigia californiana, per la prima volta titolare di un record positivo in periodo natalizio dai tempi di Giulio Cesare. Indubbiamente il buon De’Aaron (ma come cavolo li scelgono i nomi gli americani?) è decisamente uno dei più rapidi giocatori sui 28 metri che si possono trovare nell’NBA. Le sue caratteristiche sono decisamente funzionali nel sistema di gioco dei suddetti Kings, che dall’avvento di Coach Joerger hanno sposato indissolubilmente la causa del “corri e tira” facendo contropiede praticamente ad ogni possesso, anche da canestro subito.

Anche i due giocatori citati da Fox, Westbrook e Wall, sono dei discreti missili nelle azioni nord/sud, che cercano spesso di catturare il rimbalzo difensivo proprio per condurre il capovolgimento di fronte e arrivare in pochi secondi fino al ferro avversario (Westbrook a volte lo fa anche per accumulare compulsivamente triple doppie, ma non stiamo troppo a sottilizzare). Un sondaggio promosso dal sito Ranker.com posiziona il numero 0 dei Thunder in vetta alla classifica dei giocatori più veloci in circolazione nella NBA di oggi, con Fox/ Wall subito dietro e Walker, Oladipo, Mitchell, Irving ad inseguire a debita distanza nelle valutazioni degli appassionati.

Noi di 7for7 crediamo che al posto della noiosissima Skill Challenge dell’All Star Game sarebbe molto più interessante organizzare una sfida in stile dragster per mettere a confronto questi centometristi della palla a spicchi, magari infilando nel lotto dei partenti anche giocatori strutturalmente molto diversi come LeBron o Giannis, sicuramente meno esplosivi di Fox e soci ma con falcate (il greco in particolare) in grado di dimezzare i passi necessari per il tragitto canestro-canestro. Proveremo quindi ad inoltrare la proposta direttamente al nostro amico d’infanzia Adam Silver, fiduciosi di ricevere da lui una pronta e positiva risposta. Per i vostri ringraziamenti ci risentiamo a breve.

https://www.youtube.com/watch?v=cuDfdfwXgC4

Evidentemente qualcuno deve aver raccontato all’iper-competitivo Westbrook della dichiarazione di Fox

Honorable Mention of the Night. Jahill Okafor, ex terza scelta assoluta del Draft 2015, per una notte è risorto magicamente dalle sue ceneri per piazzare 17 punti in 13 minuti nella partita dei suoi New Orleans Pelicans contro i Milwakee Bucks. Partita ovviamente persa (si sa che Okafor è l’antitesi del giocatore utile per vincere partite di basket) ma non si può avere sempre tutto dalla vita.

 

GIOVEDÌ 20 DICEMBRE – WHAT’S MY AGE AGAIN

Ho sempre considerato la storia di Eriberto/Luciano una delle cose più divertenti (o tristi, fate un po’ voi) mai accadute nella storia recente dello sport italiano. Per i non informati, siamo nel 2002 e un calciatore di nome Eriberto da Conceiçao Silvaha ha appena concluso la sua seconda stagione al Chievo Verona e sta per firmare il trasferimento alla Lazio. Il ragazzo è molto promettente, ha appena 23 anni e risulta nato il 21 gennaio 1979. Piccolo intoppo: nel corso delle verifiche legali il club capitolino appura che il giocatore non ha 23 anni ma 26 (sic) e che non si chiama nemmeno Eriberto bensì Luciano Siqueira de Oliveira (strasic). In pratica un sedicente procuratore brasiliano (da far invidia alla coppia Bergonzoni-Giginho) aveva taroccato il suo profilo anagrafico, “rubando” documenti e generalità ad un contadino di Rio de Janeiro per cercare di renderlo più appetibile agli scout internazionali. Dopo l’ovvia squalifica Eribert… pardon Luciano, il calciatore tornerà in campo con la maglia del Bologna e arriverà fino all’Inter, ma senza più tornare ai livelli di rendimento espressi nel corso della sua prima esperienza veronese.

In NBA non siamo ancora arrivati (per fortuna) ad una situazione simile ma in questi giorni ha tenuto banco la questione dell’età di Buddy Hield. In un’intervista alla Fox prima della partita dei suoi Kings contro i Minnesota Timberwolves Bobby si è dichiarato felice di festeggiare il suo 26esimo compleanno. Peccato solo che i giornalisti avessero davanti la cartella stampa che come data di nascita del giocatore presentava 1993 anzichè 1992. Dopo alcune verifiche è stato appurato che tale errore era presente su praticamente tutti i siti di informazione americani e qualcuno ha pensato ad un clamoroso inciucio, ma la storia si è subito sgonfiata e Hield ha dichiarato “Sul mio passaporto c’è scritto 1992, così come sulla patente. Questi sono i documenti che ho consegnato alla dirigenza di Sacramento, non è colpa mia se la gente continua a credere a quello che legge su Wikipedia.” Solo un banale equivoco quindi, ma chissà come mai quando si parla dei Sacramento Kings si pensa subito a qualche possibile pasticcio…

Oggi questi meme sono ingenerosi con i progressi fatti da Hield, ma all’epoca ne vennero fuori un’infinità

Honorable Mention of the Night. il recruting di Anthony Davis comincia a salire di colpi: in meno di 24 ore sono arrivati sia l’invito di Giannis Antetokounmpo “Come to the Bucks, man” che l’endorsement di LBJ ad una possibile trade dei Lakers per arrivare ad AD “That would be amazing, like, duh. That would be incredible.” Ma ho idea che siamo ancora appena all’inizio…

 

VENERDÌ 21 DICEMBRE – DJANGO UNCHAINED RELOADED

Negli anni ’90 il grande Michael Jordan ha sempre evitato di farsi coinvolgere in questioni extra-cestistiche seguendo il mantra “Anche i Repubblicani comprano le scarpe”. Negli ultimi anni invece molti grandi atleti USA hanno approfittato della visibilità data dai loro successi sportivi per supportare importanti cause politiche e sociali come la lotta al razzismo o la parità di diritti per le donne. Se il primo nome che viene in mente è ovviamente quello di Colin Kaepernick, che per il suo rifiuto ad alzarsi in piedi sulle note dell’inno americano ha perso il posto in squadra e ogni residua possibilità di proseguire la sua carriera nella NFL, solo per rimanere nella NBA ci sono state parole importanti da parte di gente come Steve Kerr, Gregg Popovich, Steph Curry, Dwayne Wade, Carmelo Anthony, Chris Paul.

Ma tra tutti questi James è stato sicuramente quello le cui dichiarazioni hanno fatto più rumore. In particolare le sue frasi polemiche su Donald Trump (definito sostanzialmente da James come “divisivo”) gli sono valse il famoso invito fatto dalla giornalista della Fox Laura Ingraham a “Stare zitto e pensare a giocare”, oltre ad alcuni tweet al vetriolo da parte dello stesso Presidente degli Stati Uniti che ha classificato LBJ come “stupido” (sic). Il suo contributo all’uguaglianza sociale e al problema del razzismo è andato oltre alle semplici parole e James ha recentemente fondato una scuola pubblica nella sua nativa Akron, oltre ad aver prodotto recentemente un documentario proprio dal titolo Shut up and dribble che racconta l’impatto sociale dei giocatori NBA nel corso della sua storia, dalle lotte per i diritti civili degli afroamericani combattute da Bill Russell e Kareem Abdul Jabbar fino ai giorni nostri.

Ieri James si è espresso molto duramente contro i proprietari bianchi della NFL, da lui accusati di avere una “mentalità da schiavisti” per cui sono loro a decidere cosa i giocatori possono fare o dire, come se fossimo ancora nel Sud degli anni ’60. LeBron ha detto invece che nella NBA questo non accade, anche grazie al lavoro del Commissioner Adam Silver che secondo lui “stimola ogni giocatore ad esprimere la sua opinione sempre e comunque, a prescindere dal fatto di essere d’accordo o meno”. Come sempre, pochi peli sulla lingua per LBJ…

Piuttosto chiaro il Presid… ehm, LeBron James

Honorable Mention of the Night. DeMarcus Cousins sembra essere sempre più vicino al ritorno in campo e nel corso di un allenamento 1vs1 ne ha dato piena dimostrazione schiacciando sulla testa di Kevin Durant, con annesso taunting a corredo della giocata. Permaloso com’è KD avrà gradito probabilmente il giusto ma ancor meno gradiranno gli avversari quando DMC tornerà ufficialmente in campo e contribuirà a rendere i Warriors ancor più ingiocabili di quanto lo siano stati in questi ultimi due anni.

 

SABATO 22 DICEMBRE – FANTASTIC COURSES AND WHERE TO FIND THEM

Premetto di non essere assolutamente superstizioso. Ho un approccio tendenzialmente molto logico alle cose e le famose “coincidenze” tendo ad attribuirle ad una semplice probabilità matematica. Però anche il mio incrollabile empirismo ogni tanto ha dei cedimenti. Soprattutto per la cosiddetta Kardashian Curse, di cui vi ho già parlato in un precedente episodio di 7for7 e che nel mondo dei giocatori NBA ha già fatto più danni dell’uragano Katrina. In sostanza, qualunque atleta venga accostato per un periodo più o meno lungo ad una delle sorellone subisce un tracollo prestazionale pari alla crisi di Wall Street del 1929.

Si pensava che ormai tutti avessero mangiato la foglia, ma a quanto pare Ben Simmons ha deciso che il modo migliore per tirare lo sciacquone sulla sua promettente carriera fosse cominciare a frequentare Kendall Jenner, sorellastra da parte di madre delle gorgoni Kim, Kloè e Kourtney. Perlomeno la Kendall ha dalla sua una indiscutibile avvenenza fisica (siamo su un livello decisamente superiore alle altre tre) che ne ha fatto una delle supermodels più apprezzate del pianeta, ma il rischio di un ulteriore fungo atomico è comunque molto elevato e forse al posto suo non ce la saremmo sentita di rischiare. Ben Simmons ha dichiarato di ritenere ridicole le storie relative alla Kardashian Curse, preghiamo per lui che abbia ragione.

A proposito di malocchio, non sia mai che io abbia l’ardire di paragonare questa situazione alla clamorosa sfiga attaccata alle gonne delle diaboliche sorellone, ma pare che la mia squadra del cuore (Dallas) non abbia avuto un grande impatto positivo dal rientro in campo di Dirk Nowitzki. I Mavericks fino ad una decina di giorni fa erano una delle squadre più in forma dell’intera Lega e, guidati dal rookie delle meraviglie Luka Doncic, parevano stabilmente aggrappati ad uno degli otto posti playoff nella sempre più indecifrabile Western Conference. Ma dal rientro di WunderDirk Dallas ha messo in fila una serie di sei sconfitte consecutive (Suns, Kings, Nuggets, Clippers, Warriors e Blazers) con il tedesco che ha fatturato complessivamente 2.2 punti, 1.2 rimbalzi e 0.2 assist di media con un plus-minus di -27 in 40 minuti totali passati sul parquet. Prego che questa preoccupante tendenza possa essere smentita a breve perché Dirk è il mio giocatore preferito e odio vederlo in queste condizioni, ma come giornalista serio (ma dove?) sono purtroppo costretto a riportare i fatti nella loro cruda realtà.

Mai avrei pensato di mettere in un mio articolo una foto di Dirk accanto a quella di una Kardashian. Miracoli di 7for7

Honorable Mention of the Night. Elton Brand, GM dei Philadelphia 76ers, ha dichiarato di non essere in grado di dire se Markelle Fultz tornerà in campo in questa stagione. Ma va?

 

DOMENICA 23 DICEMBRE – HALLELUKA (AGAIN)

Scusate per la brevità del post ma su questo qui ormai ho finito le parole. Ah, se questa roba non è riuscita a sconfiggere la Nowitzki Curse inizio ad avere decisamente paura…

https://www.youtube.com/watch?v=0F2XO78Qr60

Speechless.

Honorable Mention of the Night. Steph Curry ha recapitato i suoi personalissimi auguri di Natale ai Los Angeles Clippers. Che magari ne avrebbero fatto volentieri a meno…

 

Anche per questo episodio è tutto gente, un buon Natale a tutti e se non ci rivediamo spero sia per colpa vostra! Jorghes out.

2 thoughts on “7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×10)

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