Iniziamo col dire che in ogni competizione sportiva agonistica a seguito di una rivoluzione ci vuole sempre tempo affinché il nuovo meccanismo venga oliato e assorbito da tutti i soggetti interessati.
Spieghiamo pure che la parola pazienza non è però di casa in NBA specialmente in una franchigia che da quando si è trasferita da Seattle in Oklahoma (2008) ha sempre potuto contare su un cast di prima grandezza, di numerosi viaggi ai playoff e di stagioni da vera contender per il titolo di Conference nonché dell’intera Lega. Ma soprattutto è una squadra da sempre abituata ad attuare un tipo di gioco individualista più che corale grazie agli outstanding performers che sono cresciuti nella cantera o quelli successivamente scambiati: dagli MVP Big Three nel triennio dal 2009, al two men show per quattro anni dal 2012 (insieme a Kevin Martin la prima stagione) fino alla incontrastata leadership dei giorni d’oggi di Russell Westbrook, accoppiato nel 2016 a Victor Oladipo prima e Paul George poi, con la parentesi Melo lo scorso anno.
E’ un metodo che ha creato grande spettacolo e giocate a sensazione ma che ha lasciato un’epoca decennale senza i risultati prefissati. Soprattutto si è capito che aggiungere in rosa giocatori forti sulla carta in tutte e due le fasi ma non inserirli in schemi corali provoca esclusività fini a se stesse che in postseason riducono le varianti del gioco e rischiano di sfiancare ed appassire il talento della loro ormai trentenne ultima stella rimasta: il Most Valuable Player 2016-2017!!
Quest’ultima considerazione rispecchia in pieno la scostante passata stagione nella quale gli alti e bassi sono stati all’ordine del giorno per sette mesi. E’ proprio al termine della season in questione che Sam Presti e soci hanno preso quest’estate per la prima volta decisioni radicali nello stile di gioco e nel sistema OKC!!
Per sfruttare RW al massimo per almeno altri 3-4 anni si è cercato di affiancargli giocatori maggiormente predisposti al sacrificio difensivo e che in avanti riuscissero a farlo rifiatare sia come minutaggio che come soluzioni a canestro. Non si è ancora arrivati però ad ottenere quel che voluto e previsto!!
La cessione di Anthony a Houston, servita oltre che per liberare la rosa di un ingaggio estremo e anche per sostituire un solista d’attacco con giocatori di energia ai City Thunder e per aggiungere un po’ di verve ai perfetti e schematici Rockets dello scorso anno, ha scontentato tutte e due le franchigie finora.
Oltre a un record deludente (50% in rimonta comunque dopo lo 0-3 iniziale) i Thunder si ritrovano per la prima volta con un average pessima per punti segnati nonché la peggiore media in trasferta prima della sfida a Washington (101) e non hanno migliorato il loro cruccio nel tiro da fuori (ultimi col 26% da tre e 19° per tentativi). Almeno in difesa l’avg si abbassa di un paio di punti a partita rispetto allo scorso anno (quarta da ottava) ma le statistiche lasciano a desiderare.
Lo stesso leader sempre encomiabile come caricatore e trascinatore per i propri compagni risparmia giusto un paio di minuti sul parquet ma una volta dentro si sobbarca insieme all’ex Pacer la maggior parte delle soluzioni di responsabilità (43 field goals attempts per i due) sfiorando come al solito l’incredibile tripla doppia di media con 26 pts a partita e le usuali incertezze dalla lunga in parte coperte dalle favolose penetrazioni e crossover.
Ovviamente i problemi riscontrati derivano anche dalle defezioni di inizio anno dello stesso capitano che ne hanno rallentato la preparazione privando il team dei suoi servigi nelle prime due uscite. Nonostante questo le cifre da paura per il grandissimo prodotto di UCLA non mancano mai!
Gli infortuni hanno anche tolto l’energia e la ferocia difensiva di Andre Roberson, mastino mordi caviglie degli attacchi avversari, da tempo in procinto di rientrare sul parquet ma che sarà assente nel lineup fino a Dicembre. Si è ripiegato su una coppia di small formata da Schroder e Ferguson ed al ritorno di RW#0 si è preferito mantenere il secondo in quintetto preferendo spesso il primo come play di talento ma a gara in corso.
Il “tedesco” ripaga la fiducia con 14 punti di media ma come tutti ha problemi nelle percentuali al tiro rispetto ai tentativi; i ragazzi di Donovan, prima del viaggio a Capital One, erano al quart’ultimo posto nonostante quasi il maggior numero di tentativi dell’intera lega, più dell’incriminata scorsa stagione: come a dire meno gioco, meno circolazione di palla e più tiri individuali di maggior difficoltà e minor avg.
D’altronde Adams e Noel sono i guardiani dell’area dei tre secondi, ottimi e generosi nel difendere la propria casa ma assenti in soluzioni fuori dal pitturato; così come Patterson e Grant, i sostituti offensivi sia come punti che minutaggio di Melo, hanno iniziato con un penoso 4 su 22 dal profondo prima di “rientrare nei ranghi” nelle quattro W contro Suns, Charlotte, Wizards e Clippers (la più convincente e ricca di speranza)!
I giovani, come preventivabile, hanno un po’ deluso all’inizio: Ferguson e Abrines hanno steccato le partenze. Il ventenne di Tulsa a parte una coraggiosa difesa non è riuscito a sorprendere il coach; lo spagnolo sembra iniziare a carburare nelle ultime uscite ed è stato il migliore con gli Hornets dimostrando di poter essere un vero asso in una delle specialità carenti nella casa (a parte George): il tiro da tre.
Il rookie Diallo, potenzialmente devastante, ha finora impressionato solo per la sua fisicità ma il 75% dei suoi tiri ha faticosamente raggiunto il ferro. Senza Roberson e la sua capacita di forzare il tiro altrui, in modo da ripartire in velocità, Okc ed il suo allenatore, l’ex rampollo dei Florida Gators giunto anche lui in un limbo da dentro o fuori, devono cercare in fretta di studiare un meccanismo più convincente in attacco che non sia solo “azioni fronte a canestro” coinvolgendo la forza bruta di Adams e Noel grazie ai quali le stats a rimbalzo sono addirittura superiori agli anni scorsi, così come le second-chance points.
In difesa l’aggressività e potenza di giocatori arcigni ma longilinei crea quel caos necessario per recuperare la palla e scatenare le ripartenze di Westbrook: i Citizens sono i veri maestri NBA con 11.5 steals a partita.
E’ questa l’arma che Presti e Donovan volevano ad inizio anno con l’acquisizione di Schroder, giocatore non molto differente a RW negli Hawks capace di generare mismatch difensivi e far collassare gli attaccanti altrui per poter ripartire ed arrivare al rim avversario. Cose che con Anthony si sognavano!!
Certo è un percorso “rivoluzionario” come detto all’inizio che ha bisogno di tempo! Se George, Russell e l’ex Atlanta, potenzialmente letali, rappresentano la sicurezza e certezza su entrambi i lati del parquet, con l’assenza prolungata di Roberson bisogna attingere all’enorme elettricità giovanile creata dall’ottimo GM ma che investe di responsabilità matricole o comunque ragazzi talentuosi ed inesperti (la media età è passata da 28.2 a 25.6).
L’head coach deve dimostrare anch’egli di essere nella fase decisiva della sua carriera “rischiando” l’inimmaginabile rendendo abili ma con molti oneri i “nuovi” sui quali investire un tipo di gioco diverso rispetto allo scorso anno, nel quale l’incapacità di segnare un possesso offensivo organizzato era evidente.
Ciò che ha caratterizzato l’attacco di OKC la passata stagione è stata la mancanza di strategie da parte di Donovan: sembrava che i Thunder improvvisassero ogni volta che scendevano in campo. L’intera tattica è stata costruita sulla sua difesa, creando facili opportunità nell’altra metà campo.
Continuare su questa rotta vorrebbe dire rimpiangere Carmelo Anthony; per questo a costo di sacrificare anche altre settimane di tempo ed altre sconfitte bisogna agire subito. Le capacità collettive sono enormi: velocità, aggressività e talento innato nel recupero palla. La Northwest poi è sulla carta la Division che potrebbe permettere il maggior numero di esperimenti senza perdere di vista il primato.
Cambiare schema d’attacco, lavorare sul nuovo, sulla freschezza e forza dinamica per dare a Westbrook altri anni di dominio, per cercare quella fisicità offensiva che magari un giorno potrebbe sviluppare altri MVP nonché avvicinarsi alle vette per ora irraggiungibili della Baia di San Francisco: questi gli obiettivi molto ambiziosi che si pongono i Thunder.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.