La mia passione per i Celtics risale ormai ad oltre 10 anni fa.
Quando nel 2007 arrivai a Boston, tutte le squadre locali erano ai vertici. I Patriots di Brady e Moss e la loro stagione “quasi” perfetta (imbattuti fino al Super Bowl contro i Giants), i Red Sox con la vittoria finale nella World Series.
E tuttavia, la marcia trionfale dei Celtics di Pierce (SF), Garnett (PW), Allen (SG) e Rondo (PG) nell’estate del 2008 è decisamente quella che è rimasta più impressa nei miei ricordi. La vittoria convincente contro un giovane Lebron nelle semifinali di Conference e quella battaglia così avvincente nelle finali contro Kobe mi hanno fatto innamorare dei “Green” di Boston ed appassionarmi alla NBA nella sua totalità.
La compagine di Pierce e Garnett era poi andata molto vicina al bis nell’estate del 2010. Avanti 3-2 nelle finali contro i Lakers, finirono per perderle 4-3 in un game 7 che ancora brucia come se fosse accaduto ieri. Dopo quella sconfitta scottante il sentimento comune era quello di una squadra vecchia diretta verso il rebuilding.
Nell’estate del 2013 Danny Ainge chiude uno dei trade più ridicoli della storia dell’NBA. Pierce (35 anni) e Garnett (37 anni) ormai pronti al ritiro ai Brooklyn Nets in cambio dei first round pick 2014, 2016 e 2018, con il diritto di scambiare pick con i Nets nel 2017.
È doveroso guardare ora a quel trade e inchinarsi al GM Danny Ainge. Quei pick sono risultati in Jaylen Brown, Jason Tatum e Kyrie Irving via trade con Cleveland. Di nuovo, diciamolo lentamente: Brown, Tatum e Kyrie.
Riguardo a quella trade, quando ne parlo con i miei amici, mi piace scherzare prendendomi parte del merito. Nel mese di Dicembre 2012 mi trovavo a Roma per trascorrere le vacanze natalizie con la mia famiglia.
Come accade spesso quando torno nella capitale, se la Roma gioca in casa sono il primo in fila all’Olimpico. In quella occasione era Roma-Milan (finita 4-2 per la Roma) e io mi trovavo in Monte Mario. Senza andare per le lunghe, un paio di volte a Boston mi ero trovato per caso a scambiare due chiacchiere con James Pallotta, presidente della Roma.
Lo vedo in Monte Mario e lo vado a salutare. Pallotta, non vedendo l’ora di trovare qualcuno con cui poter scambiare due chiacchiere in inglese, mi saluta e cominciamo a parlare. Una cosa non proprio nota a tutti è che James Pallotta, pur non essendone l’azionista di maggioranza, è decisamente coinvolto nella proprietà dei Celtics.
Una frase che mi disse la prima volta che l’ho conosciuto nella “Little Italy” di Boston (quartiere Northend) fu “I own the Celtics with a couple of buddies”, che si traduce più o meno in “io e un paio di amici siamo i proprietari dei Celtics”.
Vero o no, appena mi rivede in Montemario mi comincia a parlare dei Celtics, sbandierando come Pierce fosse in serie positiva e come nell’ultima partita avesse messo a segno un “triple double”. Io, mentre mi tesseva le lodi di un trentacinquenne, gli ripetevo: “he is old”, “come on man, he is old”.
Era evidente come solo 6 mesi prima, la dirigenza fosse ancora sull’onda di Pierce e Garnett. Purtroppo (o per fortuna) la performance di Pierce e Garnett crollarono nella seconda metà di quella stagione e nel Luglio 2013 Ainge chiude la rapina del secolo con i Brooklyn Nets. Mi piace fantasticare e pensare che quella sera all’Olimpico ho contribuito a convincere la presidenza dei Celtics a cedere Pierce e Garnett!
Ovviamente, dopo quella trade, i Celtics entrano nel purgatorio del rebuilding. Inizialmente si pensava ad una squadra con Rondo capitano e pedina centrale. Tuttavia le scarse qualità di leadership di Rondo (per essere gentili nei suoi confronti) costringono Ainge a rivedere il piano.
Rondo viene spedito a Dallas in cambio di un paio di pick che vanno arricchire il tesoretto che Ainge stava accumulando pazientemente. Giocatori piuttosto mediocri vanno e vengono per qualche stagione, tuttavia la filosofia dei Celtics, di una società forte e strutturata, si manifesta nell’ingaggio di un allenatore giovanissimo e promettente in Brad Stevens.
Anche in quella occasione i Celtics continuano a costruire per il futuro, aggiungendo un altro pick risultato dal trade del coach Doc Rivers ai Clippers.
Ainge e i Celtics attendono il momento giusto per mettere a frutto il tesoro di pick accumulato. La stampa in quel periodo aveva criticato a più riprese il GM per la presunta mancanza di audacia nell’eseguire una o più trade che avrebbero riportato i “Green” ai vertici.
La verità è che i Celtics ci hanno provato ad acquisire free agent di spicco, tuttavia Boston non era in quel periodo una destinazione di interesse. Il “no” più recente fu quello di Kevin Durant nell’estate 2016. L’unico free agent che Ainge riesce a portare a Boston è Al Horford (al costo di un contratto “max”), un giocatore utile ma probabilmente non all’altezza del suo ingaggio.
È tuttavia attraverso il draft che Ainge riesce a trasformare i Celtics in una destinazione dove un giocatore free agent può pensare di accasarsi e vincere un titolo.
Prima Smart (PG), cagnaccio difensivo e tutto cuore, con un tiro da dimenticare ma che aiuta sempre la squadra nei momenti difficili (ad esempio la partita in casa con i Rockets in cui negli ultimi secondi aveva indotto il barba James Harden a due falli in attacco ribaltando il risultato).
Poi Jaylen Brown (SF), che va ricordato, fu fischiato la notte del draft dai tifosi dei Celtics presenti al TD Garden che osservavano il draft sui maxischermi. Brown è un prodigio atletico che sta lentamente affinando la tecnica, con un buon tiro da 3 punti e decisamente capace di andare a canestro nei momenti in cui i tiri dalla distanza non vogliono entrare.
Ma il big bang Angie lo compie nel draft dello scorso anno. I Celtics vincono la lotteria del draft e si ritrovano con la prima pick assoluta (uno dei pick della trade con i Nets).
Celtics primi, Lakers secondi, 76ers terzi. Tutti gli esperti davano Markelle Fultz (PG) come ovvia prima scelta. Ainge tuttavia a pochi giorni dal draft scambia il primo pick con i Philadelphia 76ers in cambio del loro terzo pick e di un futuro first round pick.
Il resto ė storia: i 76ers scelgono Fultz, i Lakers scelgono Lonzo Ball (PG) come ampiamente preannunciato, Ainge sceglie il 19-enne Jayson Tatum (SF).
Fultz nella sua prima stagione gioca poco o niente, il tiro peggiora anzichè migliorare e nei playoff non si vede. Tatum al contrario ha un bel tiro, va a canestro contro chiunque – vedi il dunk nelle finali su Lebron – e gioca tantissimo sia durante la stagione che nei playoffs e, con Kyrie fuori per infortunio, diventa il giocatore offensivo più importante dei Celtics.
Tatum finisce la sua prima stagione con 80 partite giocate, una media di 14 punti a partita e oltre il 43% di centri da 3 punti diventando pedina intoccabile dei Celtics e degno erede di Paul Pierce. Danny Ainge ancora una volta brilla nel ruolo di General Manager, leggendo alla perfezione le intenzioni dei 76ers su Fultz e dei Lakers su Lonzo e compie un’altra delle sue rapine assicurandosi il miglior giocatore del draft e ricevendo allo stesso tempo il pick dei Sacramento Kings del prossimo anno dai 76ers.
Nel mercato estivo del 2017 Ainge riesce ad ingaggiare Gordon Hayward (SF) per un contratto “max” di 4 anni. Successivamente, riesce a chiudere la trade dell’anno con Cleveland, scambiando un infortunato Isaiah Tomas (PG), un altro gregario come Jae Crowder (SF) e uno dei pick dei Brooklyn Nets per Kyrie Irving.
Isaiah era così malandato (anca) che l’affare era sul punto di saltare quando lo staff medico di Cleveland riesce a visionare la sua cartella medica. In quella occasione Ainge gioca di astuzia rendendo pubblica la trade immediatamente, mettendo Cleveland all’angolo.
L’affare si chiude con i Celtics “costretti” ad aggiungere il proprio 2nd round pick di quest’anno. Riesaminando quella trade, ancora una vittoria netta per Ainge: Crowder non combina nulla di buono a Cleveland, dimostrando anche come Stevens riesca a spremere il meglio dai propri giocatori; Isaiah non riesce a rientrare fino a Gennaio, e quando rientra non è neanche lontanamente ai livelli pre-infortunio; infine, il pick dei Nets risulta essere l’ottava scelta, non proprio ciò che sperava la dirigenza dei Cavs.
E ovviamente sull’altro piatto della bilancia Kyrie Irving. Kyrie è uno di quei giocatori la cui presenza trasforma una squadra ed ha certamente trasformato i Celtics.
Ha un palleggio impeccabile che crea spazio per uno jump-shot letale sia da media che lunga distanza, ha l’abilità di andare a canestro come e quando vuole e sopratutto è “clutch”, ovvero ha quella capacità intangibile di riuscire a produrre in attacco negli ultimi minuti della partita quando il canestro diventa minuscolo.
Non c’è dubbio che Kyrie Irving con la sua presenza ha istantaneamente riportato i Celtics nel club delle squadre che contano. Ainge in quel frangente lavora anche per aggiungere seconde linee di tutto riguardo come Morris (SF), Baynes (C) e Theis (PF), che nel corso della stagione hanno contribuito al successo dei Green.
Nonostante tutte le mosse azzeccate di Ainge, nella stagione 2017/18 la sventura si abbatte sui Celtics.
Dopo 5 minuti nella prima partita della stagione contro i Cavs, Gordon Hayward va giù con un infortunio che è difficile da guardare sugli schermi. Giocatori di entrambe le squadre con le mani tra i capelli e frattura netta della caviglia.
Stagione finita senza che fosse mai iniziata, ed un lungo e duro periodo per Gordon tra interventi chirurgici, riabilitazione e fisioterapia. Tutt’ora non sappiamo ancora se Hayward sarà disponibile all’inizio della prossima stagione e probabilmente la “ruggine” si farà sentire per un paio di mesi una volta rientrato in squadra.
Tutti a quel punto davano la stagione dei Celtics finita. Eppure i Celts reagiscono e mostrano carattere, e dopo un inizio di stagione shock e due sconfitte, i Green ne vincono 16 di fila. Molte di queste vittorie hanno un copione fisso: Celtics sotto in doppia cifra dopo due quarti e rimonta di cuore nella ripresa.
Kyrie Irving si dimostra essere quel fuoriclasse consumato che tutti si aspettavano e Tatum fa sorridere subito Danny Ainge (in molti durante l’estate lo avevano criticato per il “trade down” da Fultz a Tatum). Per quanto l’infortunio di Hayward sia stato un duro colpo per la squadra, Tatum ne ha certamente beneficiato, diventato titolare da subito ed accumulando minuti di gioco e tanta esperienza.
Il presunto colpo del KO arriva poco prima dei playoffs quando Kyrie, alle prese da mesi con un ginocchio dolorante, decide di gettare la spugna ed operarsi per rimuovere viti e filo metallico che erano stati impiegati per riparare la rotula fratturata anni addietro nelle prime finali contro Golden State.
Tuttavia, Stevens ed i Celtics dimostrano nuovamente di essere una squadra compatta e piena di risorse. Terry Rozier e Marcus Smart fanno bene e i Green arrivano quasi alle finali, sprecando un vantaggio di 2-0 nelle finali di Conference contro Lebron.
La stagione finisce con il classico sentimento del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno: da un lato il rammarico per quello che questa stagione poteva essere con Hayward e Kyrie in campo nei playoffs e una Eastern Conference mai così fiacca. Dall’altro tanto ottimismo per il futuro e la gran voglia di iniziare la prossima stagione e vedere Kyrie e Hayward giocare assieme a Brown e Tatum con un anno in più di esperienza.
Danny Angie nel frattempo acquisisce come 27° scelta nel draft 2018 Robert Williams, un giocatore di stazza, eccellente in difesa, nel prendere i rimbalzi, e capace di giocare vicino a canestro: il classico “rim protector”.
Williams doveva originariamente far parte del draft dello scorso anno e le predizioni lo mettevano nella top 10. Tuttavia decide di ritornare a giocare nel college (Texas A&M), dove inizia la sua stagione in ritardo per via di una sospensione per una vaga “violazione della policy della università”.
Anche nel draft 2018 Williams lo si anticipava nella top 15, tuttavia molte squadre lo evitano per via di alcuni scouting report in cui se ne parla come un giocatore pigro, altalenante e con qualche problemino “off the field” – vedi la sospensione ad inizio stagione.
Resta il fatto che i Celtics acquisiscono un giocatore il cui talento va ben oltre il 27° posto nel draft e che va anche a soddisfare una esigenza reale di “big” nella rosa dei Green. Con Baynes e Monroe free agent infatti, i Celtics dovranno certamente muoversi nel mercato estivo per aggiungere stazza alla rosa e certamente Williams è un passo concreto in questa direzione. Inoltre i Celtics non spendono risorse (futuri draft pick) per salire nel draft, lasciando la porta aperta per un possibile block buster trade nel mercato estivo.
Con il mercato free agent alle porte (inizierà ufficialmente il primo Luglio), Ainge ha ora davanti a sè un’estate tutt’altro che semplice. Marcus Smart è un “restricted free-agent”, ovvero può ricevere un ingaggio da un’altra squadra con la clausola che i Celtics possono offrirgli lo stesso contratto e tenerlo a Boston.
A questo punto è probabile che Smart riceva un’offerta troppo alta per i Celtics. Altre voci di corridoio vedono i Celtics in corsa per Kawhi Leonard (SF), che sarebbe effettivamente un giocatore in affitto per un anno, viste le sue dichiarazioni esplicite di voler andare a giocare a Los Angeles.
Vista la natura temporanea di Leonard, i Celtics potrebbero chiudere l’affare con gli Spurs ad un prezzo modesto (ad esempio Rozier e un pick futuro). Ma il tormentone dell’estate per i Celtics è un Kyrie Irving che dichiara apertamente la sua incertezza nel rifirmare con i Celtics. Kyrie è sotto contratto per un altro anno, dopodichè dovrà decidere la sua prossima destinazione.
Alcune voci indicano la volontà del giocatore di tornare nella sua città di origine – New York – e giocare per i Knicks. Tifosi e addetti ai lavori cominciano ad ipotizzare un possibile trade di Kyrie. Personalmente, vorrei Irving con i Celtics la prossima stagione.
La squadra così costituita è bella da vedere, diverte ed ha ottime possibilità di arrivare alle finali, e se così fosse, Kyrie potrebbe convincersi a restare a Boston con una squadra giovane ed ai vertici piuttosto che una situazione instabile dal punto di vista societario come quella dei Knicks. Staremo a vedere come la situazione si evolve, nel frattempo Ainge può godersi i meritati cori “MVP, MVP”.