Il metronomo della vita, si sa, è il tempo. Secondi, minuti e ore che si susseguono impartendo un ritmo preciso alle nostre giornate, senza il quale, probabilmente, saremmo smarriti.
Sembra incredibile, ma un concetto eterno e immutabile come il tempo non avrebbe alcun senso se l’uomo non avesse inventato l’orologio, un’arma dal doppio taglio.
A volte corre veloce, rendendoci nervosi e obbligandoci a dedicare meno attenzione alle faccende che più ci stanno a cuore, altre volte sembra immobile, trasformando le mattinate, i pomeriggi e le serate in lunghe ed estenuanti attese.
Per nostra fortuna, tutto sommato, ci sono momenti in cui le lancette si fermano su numeri che hanno il potere di illuminare sorrisi e far brillare gli occhi. C’è l’ora del tè, quella della partita o della serie tv preferita, quella della ricreazione a scuola.
Ognuno, in cuor suo, sa con esattezza quando il tempo diventa al contempo amico e spalla, complice e alleato. In Oregon, nell’estremo nord-ovest degli Stati Uniti d’America, solo un’ora mette tutti d’accordo, quella di Dame. It’s Dame time!
No, il pezzo non sarà solo su Damian Lillard, per quanto possa esserne considerato il protagonista principale, ma sui Portland Trail Blazers nella loro totalità, una delle realtà più sorprendenti di questa stagione.
Da rammarico a mina vagante, da eterni incompiuti a primi tra i “normali” ad ovest. Cos’è successo? Se mai ci fosse domanda più complessa si prega di segnalarlo.
Il caso Blazers merita un’analisi accurata, degna di uno Sherlock Holmes d’annali, per tanti motivi. Incredibile è il giusto aggettivo per descrivere come il destino di un gruppo di giovani mai esploso sia svoltato in maniera tanto evidente nel giro di pochi mesi.
Il potenziale è in incubatrice da diversi anni, ma le promesse non sono mai state mantenute. Puntualmente, ogni ottobre, ci si chiede dove possano arrivare, prospettando scenari che si rivelano poi essere privi di consistenza.
Qualche apparizione al primo turno di post-season, due semifinali di conference perse e poco altro. Un bottino decisamente scarno per chi aveva programmato un futuro ricco di soddisfazioni. Che sia la volta buona?
A 10 giorni scarsi dallo start dei playoff la squadra allenata da Terry Stotts è terza ad ovest con un record di 48-29 equivalente al quinto migliore della lega.
Dalla notte del 14 febbraio, l’ultima prima della pausa per l’All-Star Game, quando al Moda Center è crollata Golden State, i Blazers hanno intrapreso un ruolino di marcia devastante, collezionando 17 vittorie su 20 partite disputate, proiettandosi alle spalle di Houston e della franchigia californiana.
I segreti del successo, ormai di dominio pubblico, sono diversi e complementari. Se c’è un ingrediente che si sovrappone agli altri, quello non può che essere la solidità difensiva, vero punto di forza di Portland.
Sono 45.3 i rimbalzi catturati a serata (4° miglior dato NBA), di cui 35.4 in difesa. Il dominio sotto canestro è la conditio sine qua non per una fase di protezione del ferro eccellente, peculiarità evidenziata dai soli 103.2 punti di media concessi a partita. Meglio di loro solo Spurs, Jazz, Celtics e Heat.
Fondamentale è l’apporto fisico e tecnico del trittico di lunghi schierato da coach Stotts, composto da Harkless, Aminu e Nurkic. Gli ultimi due in ordine di citazione rappresentano l’asso nella manica dei pionieri d’Oregon, padroni della zona del ferro e ottimi interpreti offensivi.
Il centro bosniaco ha nelle mani una quantità di punti potenzialmente altissima, benchè esuli dal prototipo di pivot moderno. La media è eloquente, 14.2/8.6, senza adoperare il tiro dalla lunga distanza.
Chi, invece, è riuscito a costruirsi un solido ed efficace attacco da oltre l’arco è l’ala grande nigeriana. Al Farouq Aminu è ormai veterano della specialità, garantendo ai propri compagni molteplici soluzioni offensive e svelando, di conseguenza, un altro punto chiave dell’ascesa di Portland: il supporting cast.
Se le stelle non avessero un cielo da illuminare, difficilmente verrebbero notate. Il mistero del curioso caso dell’ascesa dei Portland Trail Blazers trova la sua risposta migliore nella funzionalità del gruppo di attori non protagonisti. Turner, Napier, Connaughton e Collins, insieme ai già citati Harkless, Aminu e Nurkic, con il tipico lavoro sporco di chi non ha accesso al palcoscenico dalla porta principale, hanno il compito di esaltare quelle peculiarità proprie delle due guardie loro fedeli compagne che, diversamente, resterebbero parzialmente sospese in un limbo scomodo e sconveniente.
CJ McCollum e Damian Lillard sono la punta di diamante di un gruppo compatto e coeso, una delle coppie più produttive della NBA. Il primo, dopo stagioni di rodaggio, è diventato un giocatore completo, solido e intelligente. Il secondo è semplicemente meraviglioso.
L’ex Lehigh University viaggia a quota 21.3, il numero 0 a 26.6, trasformando in oro qualsiasi cosa transiti dalle sue parti, come una sorta di re Mida 2.0.
“Sto giocando la migliore pallacanestro della mia carriera”. Parole che provengono direttamente dalla fonte più attendibile di tutte.
Lillard ne è cosciente, sa di avere alzato l’asticella della competitività, è consapevole di essersi caricato sulle spalle il peso di una città intera e adesso, sul più bello, non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Il quinto posto nella classifica marcatori è solo il pretesto per parlare di Dame come di uno dei cestisti più decisivi della lega.
La point guard nata ad Oakland è molto di più, il leader tecnico e carismatico che trascina la flotta verso l’obiettivo ultimo, consola, carica e decide a suo piacimento le sorti di una partita, come accaduto allo Staples Center il 10 marzo contro i Lakers, quando negli ultimi due minuti le sue mani hanno scoccato 4 triple vincenti consecutive, ribaltando il risultato.
A meno di imprevedibili cataclismi, i Portland Trail Blazers , una volta incrociate Houston e Golden State, dovranno dire arrivederci alle possibiltà di coronare il sogno proibito. Arrivederci, per l’appunto, magari già all’anno prossimo, con una dose di esperienza maggiore e la stessa base di talento sconfinato.