Come un lampo nella notte e senza che ci fossero state particolare avvisaglie, nella notte tra lunedì e martedì Clippers e Pistons hanno finalizzato una blockbuster trade che ha spedito in Michigan l’ex All Star della franchigia californiana, assieme a Willie Reed e Brice Johnson, in cambio di Tobias Harris + Avery Bradley + Boban Marjanovic + due scelte al draft (una al primo giro e una al secondo).
Dopo la girandola di reazioni provenienti da tutto il mondo della NBA, tra cui alcune piuttosto “dure”, proviamo ad analizzare a mente fredda lo scambio per valutarne gli impatti e le motivazioni per entrambe le parti in causa.
LO SCAMBIO VISTO DAI DETROIT PISTONS
Con l’arrivo di Blake Griffin i Pistons proveranno a costruire con lui e Drummond la loro personale versione delle Twin Towers, sperando che vada a finire meglio rispetto a quanto accaduto a New Orleans.
Griffin è un All Star e a Detroit serviva proprio una figura come la sua. Non è un mistero infatti che anche il miglior inizio di stagione da tanti anni a questa parte non abbia portato Detroit sotto i riflettori e soprattutto non abbia invogliato particolarmente i suoi abitanti a recarsi alla Little Cesar Arena. Un appeal che manca ormai da parecchio tempo, non solo per gli spettatori ma anche per i giocatori, visto che da molti anni nessun free agent di rilievo prende nemmeno in considerazione l’idea di trasferirsi nel Michigan per giocare a basket. Griffin spezza quindi una specie di maledizione, anche se lo fa ad un costo piuttosto salato.
Il prezzo da pagare per usufruire dei suoi servigi è infatti un contratto che porterà nel 2022 Detroit a sborsare 38 milioni per un’ala che per quella data sarà un 34enne con alle spalle una lunga storia di infortuni a schiena, ginocchio, quadricipite, mano (dannati magazzinieri) e probabilmente ancora qualcos’altro. Ora, uno dei problemi a vivere nella stessa era di LBJ è che magari uno fa i confronti e pensa che si possa essere il migliore giocatore del mondo anche a 34 anni, ma purtroppo la regola non vale per i normali esseri umani e difficilmente lo sarà per un fisico martoriato come quello di Blake.
In compenso, Griffin diventa immediatamente il nuovo volto della franchigia e potrebbe rendere la spiaggia di Detroit (?) più attraente per altri giocatori di prima fascia, se non ci fosse un piccolissimo dettaglio: per i prossimi due anni Detroit non avrà nessuna possibilità di operare sul mercato dei free agent.
Se infatti controlliamo il salary cap di Detroit possiamo notare che fino al 2020 Detroit si potrà permettere al massimo di acquistare qualche pacchetto di patatine (e nemmeno di quelle buone). Gridano soprattutto vendetta i contratti di Reggie Jackson, Jon Leuer e di… Josh Smith, che non gioca una partita in maglia Pistons dal Dicembre 2014 ma che è a libro paga per oltre 16 milioni. Beh, capolavoro (cit).
Dal punto di vista della chimica partiamo dal presupposto che non c’è molto da salvare in quanto mostrato nelle ultime partite (8 sconfitte consecutive prima della vittoria della scorsa notte contro i Cavs) e la qualità che i ragazzi di Stan Van Gundy avevano messo in campo nella prima parte della stagione pare svanita. I motivi, senza entrare nei dettagli, sono l’assenza per infortunio di Reggie Jackson (solista sì ma mortifero nei momenti finali delle partite) e soprattutto la crescita delle difese avversarie, che hanno capito meglio come arginare il gioco della squadra del Michigan.
Guardando giocare Detroit balza immediatamente all’occhio come non sia fornita di giocatori in grado di giocare in post basso: il più temibile era Harris, che però è un’ala piccola che in post può sfruttare la sua superiorità fisica ma che preferisce operare da dietro l’arco del tiro da tre (peraltro con ottimi risultati). L’alternativa è il post basso di Ish Smith, che però sarebbe il playmaker, che se non trova il passaggio al termine dell’azione spesso va a giocarsi un uno-contro-uno spalle a canestro (ma con scarsi risultati). Il lungo Drummond, fresco di convocazione all’All Star Game dopo l’infortunio a John Wall, invece ha doti decisamente mediocri in questa situazione ed è quindi proprio qui che Griffin può fare particolarmente comodo a Detroit, a patto che Dre impari a muoversi negli spazi giusti.
Non è particolarmente abituato a farlo, in quanto nella sua carriera l’ultimo vero lungo con cui ha fatto coppia è stato Greg Monroe, ma succedeva anni fa e non con entusiasmanti risultati. Lato Griffin invece non penso ci saranno particolari problemi: il talento è innegabile e il compagno di merende Jordan era molto simile a Drummond, sia per pregi (rimbalzi, alley-hoop) che per difetti (mancanza di pericolosità a più di 1 metro dal ferro). Anzi, Dre è un passatore decisamente superiore e la combo, almeno offensivamente, potrebbe funzionare bene.
Van Gundy dovrà sicuramente aggiornare il suo playbook e dare con continuità la palla alla sua power forward, mentre prima il gioco rimaneva incentrato sulla sua SF in anno di grazia. Le conclusioni di Harris verranno in toto prese da Griffin, uno scambio di testimone decisamente valido per ogni tifoso Pistons. Kennard gioverà di maggiore e strameritato spazio ed affronterà una bella prova di maturità – strano a dirsi per uno che è pro da pochi mesi – con la partenza di Bradley.
Già, Bradley. Gran giocatore e super difensore, intelligente sul gioco con e senza palla, ma in scadenza di contratto. Se il campionato fosse finito in questo momento Detroit non sarebbe riuscito a firmarlo nemmeno per tutto l’oro del mondo. Meritava un contesto che lo valorizzasse di più e vedremo come riuscirà ad integrarsi nella squadra di Coach Doc Rivers, a meno che non venga nuovamente scambiato prima della deadline (Boston?).
Alla fine dei conti, il saldo della trade per Detroit è al momento da considerarsi positivo. Se i Pistons metteranno in moto la macchina del marketing e riusciranno nel valorizzare meglio la loro franchigia, potranno cominciare a riempire la Little Caesar Arena e fare finalmente di Detroit una meta ambita per il futuro di qualche grosso free agent.
LO SCAMBIO VISTO DAI LOS ANGELES CLIPPERS
I Clippers con questa mossa aprono ufficialmente il loro periodo di ricostruzione, liberandosi del mega-contratto di Griffin (peraltro appena firmato la scorsa estate) e aprendo il campo anche ad altre possibili cessioni (Jordan? Williams?) da qui alla trade deadline.
Anche il salary cap dei Clippers non sarà particolarmente flessibile nella prossima stagione ma la mossa di Jerry West (c’è puzza della sua mano ad un chilometro di distanza) potrebbe come detto non essere l’ultima e in ogni caso potrà permettere un totale rebuilding a partire dalla stagione 2019-2020.
La cessione di Griffin rappresenta in ogni caso un deciso cambio di rotta, perchè fino a pochi mesi fa Blake veniva salutato come il volto futuro della franchigia e dopo il suo faraonico rinnovo al massimo contrattuale il volto dell’atleta veniva messo su una t-shirt celebrativa a fianco di quelli di Martin Luther King, Mandela, Lincoln, Kennedy, Obama, Ali, Gandhi e Einstein (ma perchè poi?).
Il post-Paul ai Clippers prevedeva che Griffin prendesse le redini della squadra sia tecnicamente che emotivamente, ma i primi output di questo new deal non sono stati particolarmente incoraggianti. Il nuovo infortunio di Blake al ginocchio, che lo ha lasciato ai box per diverse settimane anche in questa stagione, è stato il campanello d’allarme definitivo che ha spinto la dirigenza a cliccare sul bottone del reset e a far partire il rebuilding.
Dopo un tentativo abbastanza velleitario con i Timberwolves per tentare di arrivare a Karl Anthony Towns, la controparte migliore per scambiare Griffin è stata identificata nei Detroit Pistons, che hanno mandato in California un pacchetto tutto sommato interessante.
Tobias Harris è un ottimo giocatore, magari non una star ma una solida ala piccola di 25 anni che ogni stagione sembra aggiungere qualcosa al suo bagaglio tecnico. Il suo arrivo sposterà il rientrante Danilo Gallinari ad operare principalmente come ala grande, dove si trova sicuramente più a suo agio, formando con DeAndre Jordan (perlomeno finchè resterà in maglia Clippers) un frontcourt probabilmente più equilibrato.
Anche Avery Bradley sarebbe potenzialmente un giocatore utile alla causa ed è un pretoriano di Coach Doc Rivers, ma il suo contratto scade il 30 giugno e con ogni probabilità non sarà rinnovato, mentre Boban Marianovic è un giocatore di culto che però difficilmente troverà molto spazio anche a Los Angeles.
Il piatto pregiato della trade però sono probabilmente le scelte al draft, in particolare quella al primo giro. Pur essendo protetta 1-4 per le prossime tre stagioni, la scelta potrebbe garantire un giocatore da lotteria già nel prossimo draft, in caso i Pistons non raggiungessero i playoff.
Questo è quanto Los Angeles ha ottenuto nello scambiare il giocatore che più di ogni altro (sì, ancora più di Paul) ha rappresentato il momento d’oro di una franchigia che per decenni è stata additata come la barzelletta della Lega e che invece negli ultimi anni è stata una presenza fissa nei piani alti della super-competitiva Western Conference.
É troppo? É troppo poco? Giudicare completamente questa trade per i Clippers è impossibile fino a quando non avremo capito le prossime mosse della franchigia. Al momento tutti i giocatori sono da considerarsi sul mercato, a partire da Jordan e Williams (ma anche Bradley) che hanno sicuramente ammiratori in giro per la NBA e che sentiranno i loro nomi accostati a decine di possibili trade da qui alla deadline dell’8 Febbraio.
In conclusione, come sempre accade nella NBA le operazioni di questa portata andrebbero valutate su un orizzonte temporale di almeno due-tre anni, altrimenti si rischia di “pesare” semplicemente i giocatori sulla base delle loro statistiche perdendo di vista lo scenario complessivo. Quella che al momento può sembrare una trade squilibrata può trasformarsi da un momento all’altro in una win-win situation oppure in un disastro totale in grado di affossare il futuro di entrambe le parti.
Complimenti per l’analisi. Personalmente credo che ci abbiano guadagnato nettamente i Pistons, che si prendono un giocatore completo, forse non più esplosivo come qualche anno fa, ma molto più maturo e intelligente. Molti non condivideranno, ma per me Blake ha un QI cestistico di prim’ordine. Due pecche insidiose: la tendenza agli infortuni e qualche “colpo di matto” di troppo.