Terza settimana dell’anno e terzo appuntamento con 7for7, rieccomi a prendere il testimone da Giorgio per raccontarvi altri sette giorni di NBA. Siamo in un periodo di attesa e nervi scoperti, ci avviciniamo a grandi passi verso All Star Break e trade deadline, e si iniziano a fare i primi conti su chi, in primavera, sarà ancora in corsa per giocarsi il titolo mentre le big, piano piano, scoprono le carte. Sarà colpa di questa tensione nell’aria, ma se lo scorso episodio si apriva con la clothesline di Isaiah Thomas su Wiggins, in questa settimana abbiamo assistito a un’intera compilation di botte. Let’s go!

LUNEDÌ 15 GENNAIO – L’ARTE DELLA GUERRA

 

Interrogato sulla baruffa negli spogliatoi dei Clippers, Chris Paul ha detto di non saperne niente e si è presentato così agli ufficiali

 

Settimana impegnativa per gli Houston Rockets. Il rientro di James Harden rilancia gli uomini di Mike D’Antoni in piena corsa per il primo posto a ovest, ma l’evento scatenante è il rendez-vous coi Clippers che segna anche la prima di Chris Paul nel suo Staples Center da avversario.

L’accoglienza dei tifosi è mista, quella degli ex-compagni invece è inviperita. Blake Griffin gioca in maniera più ruvida del solito e sembra intenzionato a risolvere qualche conto in sospeso con Paul.

La partita si fa spigolosa e frustrante per Houston, che incassa i parziali dei modesti Clippers senza possibilità di reagire; nel frattempo Austin Rivers e Patrick Beverley, che non sono esattamente Nelson Mandela e Gandhi, pur costretti in panchina dagli infortuni punzecchiano gli avversarsi per 48 minuti filati. Tra le fila di Houston gli animi più caldi sono quelli di Gerald Green e Trevor Ariza, che infatti conclude le schermaglie rimediando un espulsione, proprio in compagnia di Griffin.

Questo ciò che accade sul campo, ma il bello viene dopo, col basket che si mischia alle fake news per regalarci la storia semi-vera più bella dell’anno. Chris Paul, si sa, è un playmaker dall’intelletto sopraffino. Da qui a mettere in pratica le proprie doti strategiche anche in campo militare, il passo è breve. Secondo la vulgata di Twitter, Paul elabora un piano d’attacco degno degli insegnamenti di Sun-Tzu.

Inviato Clint Capela a bussare allo spogliatoio dei Clippers a mo’ di cavallo di Troia, l’Ulisse Chris Paul radunava l’Achille Ariza e il Patroclo Gerald Green per una spedizione punitiva, con Zeus Harden a operare da barbuto mediatore. L’intento era quello di cogliere Austin Rivers di sopresa, approfittando del diversivo offerto da Capela e da un fantomatico passaggio segreto tra i corridoi dello Staples, che nemmeno tra le mura di Grande Inverno.

Una seconda versione della storia, anch’essa apprezzabile, vedeva l’ingenuo Capela bussare alla porta dei Clippers perché gli altri avevano iniziato a fare a botte senza invitarlo. La realtà dei fatti si è rivelata un po’ meno entusiasmante e il tutto si è concluso con la sospensione di Green e Ariza, ma a noi poco importa: le leggende dei poeti nascono così.

MARTEDÌ 16 GENNAIO – ULTIMATE FIGHTING CHAMPIONSHIP

 

La prima regola del Fight Club: non attaccare briga con uno slavo o potresti ritrovarti in una presa da ju-jitsu

 

Per chi si lamenta che l’NBA degli anni ’10 si è fatta troppo soft, la settimana appena trascorsa ha offerto numerosi spunti per saziare la nostalgia di trash talking e azzuffate. Martedì tocca al veterano Arron Afflalo, che per emergere dall’anonimato della stagione dei Magic sceglie di mulinare i pugni col bianco sbagliato. Dopo un clinch sotto canestro, Afflalo accorcia le distanze con un jab e poi carica il montante a testa bassa.

Nemanja Bjelica, tuttavia, non teme lo stand-up game dell’americano, evita l’affondo à la Muhammad Ali e poi lo immobilizza con una guillottine choke ben eseguita. Per poco Afflalo non cede con il tap-out, ma sulla sirena di fine round gli arbitri intervengono a separarli. La vittoria ai punti di Bjelica è palese, ma per non saper né leggere né scrivere i grigi spediscono tutti e due sotto la doccia. In favore di Afflalo va detto che c’erano due categorie di peso tra lui e il serbo; quando si stancherà di migrare tra un cattivo team e l’altro, però, gli serviranno ore e ore di sparring per puntare al titolo dei pesi medi.

Menzione d’onore della giornata: Anthony Davis bissa la prestazione monstre in casa dei Knicks passando da un Garden all’altro. Contro Boston fa 45 + 16 nella vittoria dei Pelicans al supplementare.

MERCOLEDÌ 17 GENNAIO – PROVACI ANCORA, KAWHI

 

Il rientro di Leonard non è andato come speravano i tifosi Spurs, ci sarà da pazientare. Ma San Antonio è la solita macchina e non molla i piani alti della conference

 

Mercoledì è la giornata che presenta il conto per tutti i confronti fisici di inizio settimana. Ironia della sorte, però, gli infortuni che lampeggiano tra le breaking news hanno poco a che vedere con scontri di gioco. Il rookie dei Warriors Jordan Bell atterra male da un salto a canestro, si teme per il ginocchio che si piega a un angolo innaturale, ma pare che il prodotto di Oregon abbia doti gommose e danni severi ai legamenti sono, per fortuna, scongiurati.

Nella stessa sera un simile destino capita al rookie dei Lakers Kyle Kuzma che abbandona il confronto coi Thunder per un colpo alla mano; si rivelerà essere una semplice slogatura del dito, ma i Lakers hanno vissuto attimi di panico all’idea di perdere il proprio giocatore più caldo.

La notizia del giorno arriva però da fuori campo, ed è la conferma di quanto si era già intuito. Kawhi Leonard abortisce il rientro in maglia Spurs e ritorna ai box a tempo indefinito, per risolvere definitivamente l’infortunio muscolare che lo tormenta ormai da diversi mesi, il più strano che coach Popovich abbia mai visto. Nonostante qualche buona prestazione, non servivano occhi critici per accorgersi che il Kawhi versione 2017/2018 aveva un paio di marce in meno rispetto al solito, poco esplosivo e per niente elastico.

Per non interrompere la striscia, anche mercoledì ci presenta la giusta dose di violenza. Lauri Markkanen si guadagna i favori dei fan più annoiati dal dominio di Golden State quando stoppa Curry e gli restituisce il pallone sulla faccia: involontario, ma bello. Nella stessa partita, vinta ovviamente dai Warriors, Kris Dunn si stampa di muso sul parquet rimediando due denti rotti e una commozione cerebrale.

Fatality

 

GIOVEDÌ 18 GENNAIO – JOEL EMBIID, EROE DELLA FRIENDZONE

 

https://www.youtube.com/watch?v=7nDfeHBP_xY

Reverse-friendzonare Rihanna (anche se a distanza di 4 anni)? Check. Ha detto tutto lui. Un’ultima cosa. Trust the process

 

La formula dell’All Star Game, lo sappiamo, è cambiata e tutti si chiedono se basterà questo dettaglio a risollevare l’interesse intorno a un evento in netto declino. L’esito delle votazioni, bilanciate tra pubblico, stampa e giocatori, è ufficiale. I due capitani sono LeBron James, quattordicesima apparizione consecutiva, e Steph Curry. A loro spetta l’onore di scegliersi i compagni, come si fa al campetto, uno alla volta. Già le chiacchiere intorno alle possibili selezioni stuzzicano l’appetito per la sfida di Los Angeles.

Quanto conteranno le simpatie personali, e quanto invece i capitani si mostreranno politically correct? Est e ovest si mischieranno in maniera omogenea? LeBron si riappacificherà con Irving o lancerà un messaggio del tipo: questi sono i compagni che voglio a roster per la prossima stagione? Purtroppo il tutto avverrà a porte chiuse, e l’ordine di scelta resterà segreto.

In attesa delle riserve, elette dai coach, il pool è il seguente: Kyrie Irving, Demar Derozan, Joel Embiid, Giannis Antetokounmpo, James Harden, Kevin Durant, Anthony Davis, Demarcus Cousins. Spicca il nome di Joel Embiid, seconda stagione da professionista e prima convocazione. Anni fa, quando si faceva le ossa sui social network in attesa di debuttare sul campo, lanciò qualche esca a Rihanna tramite Twitter, e la risposta della popstar fu secca: ne riparliamo quando sarai un All Star. Detto, fatto.

Che pensa Embiid della faccenda, adesso? La sua risposta a Kristen Ledlow, che lo intervista a bordocampo dopo la vittoria sui Celtics, è la perfetta quarta di copertina per un manuale su come affrontare la friendzone a testa alta: “non mi ha considerato allora, perché dovrei tornare a cercarla io adesso?”

 VENERDÌ 19 GENNAIO – BOOKER VS MURRAY

 

https://www.youtube.com/watch?v=XcBFMwi5lgM

Fare trenta punti ad allacciata in una squadra di medio-bassa classifica è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo

 

L’NBA vive anche di matchup poco attraenti come quello tra Phoenix e Denver. I Suns vagano a fondo classifica per l’ennesima stagione, con una nidiata di pick alte che iniziano a invecchiare senza aver ancora realizzato il potenziale atteso (Alex Len) e altre che faticano a emergere nonostante le scarse ambizioni della squadra (Josh Jackson). Risolta la querelle con Eric Bledsoe, Phoenix è a tutti gli effetti il regno di Devin Booker, tra le guardie più pure rimaste in circolazione, realizzatore dallo stile elegante, alfa e omega di qualsiasi progetto i Suns abbiano in mente.

Denver naviga in acque migliori e forse quest’anno riuscirà infine a capitalizzare gli investimenti e centrare i playoff, complice il calo delle concorrenti. L’idea tattica è poco chiara, con troppi lunghi che sgomitano intorno a Jokic (mentre Millsasp riabilita la spalla, è emerso anche il nuovo acquisto Trey Lyles) e pochi punti fermi tra gli esterni, dove il piatto del giorno è sempre la minestra riscaldata del duo Chandler-Barton. Il gioiello più pregiato della collezione è Jamal Murray, canadese al secondo anno da Kentucky. Difficile inquadrarne il ruolo in campo, con poca versatilità abbinata a buona stazza, ma le sue prestazioni di quest’anno sono convincenti.

I due danno vita a un bel duello che monopolizza gli highlights della giornata, e si divertono pure loro a rubarsi e imitarsi le esultanze. Triple, schiacciate nel traffico e slalom nel pitturato conclusi in acrobazia. Il tabellino dice 30 punti per entrambi. Vince Phoenix a quota 108, in una partita piacevole da seguire senza troppi pensieri.

 SABATO 20 GENNAIO – SFIDA AD ALTA QUOTA

 

https://www.youtube.com/watch?v=a05RbUqTc3A

Efficaci, innovativi, belli da vedere, quadrati, con starpower da vendere. Che siano i Rockets la vera alternativa agli Warriors?

 

Vestito elegante e sfida di gran gala al Toyota Center, possibile antipasto delle finali di conference. I Rockets vogliono mostrare a Golden State che fanno sul serio. Se Steve Kerr, come d’abitudine, non si fida a scoprire le carte in regular season, Mike D’Antoni soffia nelle vele dei suoi per una partenza da +10 nel primo quarto. Il record dei Rockets è ancora più impressionante se consideriamo che, a causa di infortuni, raramente hanno schierato il roster completo. Contro i Warriors, ad esempio, devono fare a meno di Ariza e Green, squalificati dopo i fatti di lunedì, riabbracciando però in quintetto il prezioso Mbah a Moute.

Ma quando Harden, Paul e Capela scendono insieme in campo, Houston totalizza un record di 17-0. Avete capito bene, nessuna sconfitta. Nemmeno Golden State è in grado di rompere la striscia. Gli uomini di Kerr ci provano, rimontano e operano il sorpasso nell’ultimo parziale sulla scia del solito, onnipotente Kevin Durant. Ma poi D’Antoni pesca il jolly PJ Tucker con una tripla dall’angolo e James Harden mette la firma sulla vittoria: tripla step back in faccia a Steph Curry. Il barba sta ancora lavorando per recuperare al 100%, i suoi 22 punti non sono certo la miglior prestazione stagionale, ma intanto c’è un Chris Paul superlusso da 33 punti, 11 rimbalzi e 7 assist.

Non so voi, ma qui abbiamo già l’acquolina per una serie da almeno sei partite in post-season.

 DOMENICA 21 GENNAIO –  ARIA DI CAMBIAMENTO IN OHIO

 

DeAndre Jordan: sarà abbastanza per accontentare LeBron? Si dice che abbia richiesto alla dirigenza un Olajuwon del ’95 o un Karl Malone del ’98

 

Il rendimento dei Cleveland Cavaliers è in picchiata. A cavallo tra 2017 e 2018 hanno imboccato la peggiore losing streak della stagione (3-7 nelle ultime dieci) e a differenza di quanto accaduto un mese prima, quando LeBron James riportò di peso la squadra sopra il 50%, stavolta nemmeno il Re sembra avere benzina a sufficienza per invertire la marcia. I tracolli dei Cavs assumono contorni inquietanti, come giusto una sera fa contro i Thunder: uno degli attacchi meno prolifici della lega in grado di segnare 148 punti alla Q.

Quando si parla di ranking difensivo e di punti concessi, si raschia il fondo del barile: i Cavs sono rispettivamente ventottesimi e ventiseiesimi nella lega. Il momento peggiore di Cleveland coincide con l’ingresso nella lineup di Isaiah Thomas: un caso, ma fino a un certo punto.

Se era lecito aspettarsi un po’ di ruggine da parte di un giocatore al rientro da un lungo infortunio, non conforta notare la scarsa intesa maturata finora tra lui e i compagni. C’è chi ha definito questi Cavs un manipolo di ottimi role players senza una precisa identità di squadra, eccettuato LeBron; gli innesti estivi di Wade e Rose non incrementano il fatturato, e nemmeno le nuove soluzioni tattiche di coach Lue, volte allo small ball, funzionano con costanza.

Che sia il momento per il GM Koby Altman di prendere di nuovo in mano il telefono e imbastire una trade? Non sarebbe la prima volta che i Cavs muovono pezzi importanti nel mercato di gennaio. L’obiettivo principale sembra essere DeAndre Jordan, in scadenza coi Clippers, che se ne libererebbero volentieri per avviare il rebuilding ma pretendono in cambio una scelta alta al prossimo draft, quella che Cleveland ha ricevuto da Brooklyn. Altman nicchia; privandosene, rinuncerebbe anche al piano B qualora LeBron, che finora non ha offerto indizi nemmeno alla dirigenza sulle sue intenzioni, decidesse di esplorare la free agency a luglio.

C’è da chiedersi quanto il gioco valga la candela, ovvero quanto DeAndre Jordan sposti gli equilibri in una squadra che deve trovare il modo di risolvere l’enigma Warriors senza farsi interrompere dagli agguerriti Celtics e Raptors. È un centro dinamico, più forte fisicamente e più decisivo a rimbalzo di Tristan Thompson, buon fit per LeBron James con la sua capacità di orbitare nei pressi del ferro e convertire i lob in canestri.

 

E con questa sono 7 storie NBA per 7 giorni di basket. Vi lascio nelle abili mani di Giorgio Barbareschi che si prenderà cura dell’episodio di lunedì prossimo di 7for7. Un saluto, e casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte.

One thought on “7for7 La settimana in NBA (Ep.3)

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