Inauguriamo la nuova rubrica di Play.it USA, un appuntamento settimanale con il mondo NBA che vi accompagnerà per ogni lunedì da qui alla fine della stagione (e oltre).
Seven for seven, cioè sette spunti di riflessione per sette giorni, pescati tra notizie, tweet, avvenimenti dentro e fuori dal campo: perché non sia mai detto che vi lasciamo a secco di argomenti. Per chi vuole saperne di più, come sempre, ci sono i consueti approfondimenti della redazione.
Dietro alla tastiera si alterneranno il sottoscritto, Andrea Cassini, e il buon Giorgio Barbareschi che prenderà il timone lunedì prossimo.
Cominciamo con la prima puntata!
Lunedì 1 gennaio – AIR CANADA 2.0
https://www.youtube.com/watch?v=fgvg785UaD8
Ai Milwaukee Bucks devono essere andati di traverso zampone e lenticchie, perché nel giro di una settimana hanno rimediato due scoppole dai Toronto Raptors.
A dimostrazione della rinnovata verve dell’attacco di coach Dwayne Casey, nella prima partita dell’anno il tabellone raggiunge quota 131 – nella seconda vittoria saranno invece 129. Buona parte del merito va a Demar Derozan, che registra un career high da 52 punti: incidentalmente, è anche il massimo mai segnato da un giocatore dei Raptors, superando l’asticella fissata da Vince Carter a 51.
Su Derozan si ripete da anni la stessa cantilena: attaccante di razza, ma uscito da una NBA vecchia di dieci anni. In effetti il midrange jumper resta il suo marchio di fabbrica, una scelta sempre più rara, ma da quest’anno ha raffinato la mira nei long twos (47%, frutto di una selezione dei tiri più ragionata) e soprattutto ha implementato il tiro dall’arco in volumi significativi.
Ne lancia 3.2 a partita e ha già eguagliato i tentativi dello scorso anno; soprattutto, li converte in canestro con un buon 36.8%. Se ci aggiungiamo la solita efficacia nelle penetrazioni al ferro e la tendenza a guadagnarsi falli (13/13 dalla lunetta contro i Bucks), possiamo assegnare un nome al protagonista del rilancio dei Raptors.
Ma forse i meriti maggiori vanno a Dwayne Casey, capace di ridare linfa a una squadra che in molti davano per bollita cambiando veste a un attacco farraginoso. Quest’anno Toronto gioca a ritmi più veloci, moderni: è terza per punti segnati e offensive rating, decima per pace (era ventiquattresima nel 2017).
Quel che più conta è che i Raptors sono in piena corsa per il primato nella Eastern Conference, davanti ai Cavs. L’obiettivo è non cedere le armi ai playoff, quando ogni avversario di Derozan e soci sembra diventare una bestia nera.
Martedì 2 gennaio – Buona la prima per IT
Nell’ultima stagione a Boston Isaiah Thomas si era guadagnato il soprannome di “King in the fourth” per la sua efficacia nell’ultimo parziale di gioco, e per restare in tema fantasy il suo esordio in maglia Cavs poteva intitolarsi “Il ritorno del Re”: se non fosse che in Ohio il regnante ce l’hanno già, e porta sulle spalle il numero 23.
Fermo da maggio per un problema all’anca, Thomas contribuisce al successo contro Portland con 17 punti in 18 minuti, uscendo dalla panchina. Il suo entusiasmo, manco a dirlo, è alle stelle; peccato che salti la partita successiva, un back to back, ma riscuote comunque l’ovazione del pubblico di Boston. Cleveland ci ha abituato a stagioni che assomigliano a corse sull’ottovolante, per poi inserire il pilota automatico dopo l’All Star break: a questo giro però, complici gli infortuni e le miserie di una vita senza Kyrie, i bassi sono stati particolarmente bassi e il carico sul groppone di James, particolarmente pesante.
C’è bisogno come il pane di un realizzatore esplosivo come IT, uno che sappia anche portare il pallone agevolando King James nell’armare le braccia della solita batteria di tiratori. Per certi versi, si può dire che la stagione dei Cleveland Cavs comincia qui: che sia l’ultima rincorsa al titolo, e l’ultima di LeBron in wine & gold?
Mercoledì 3 gennaio – La versione di Kyrie
Che l’ottima condotta di Kyrie Irving in questi primi mesi in maglia Celtics non vi tragga in inganno: per quanto reciti la parte del docile uomo squadra, compiacendo coach Brad Stevens, resta matto come un cavallo.
O per dirla in maniera più diplomatica, come glissano i suoi compagni di spogliatoio quando interrogati sull’argomento, è un interesting guy con opinioni singolari. Ricordiamoci che nel corso del 2017 ha dichiarato che la terra è piatta, ha ritrattato dicendo che stava facendo il troll coi media e poi ha ri-ritrattato aggiungendo che, secondo le sue ricerche, non esistono foto credibili della terra vista dallo spazio.
La sua vicenda del trasferimento a Boston è similmente fumosa. Dopo la sua richiesta di trade, piombata come un fulmine a ciel sereno, e un’estate di frizioni via twitter con gli ex-compagni, tutto si era risolto con la riappacifazione tra Kyrie e LeBron.
Poi, alla vigilia del secondo confronto stagionale tra le due squadre, Irving si lascia scivolare tra le dita una bomba a mano. Sostiene che ha richiesto la trade perché gli alti papaveri dei Cavs lo stavano silurando, LeBron e il suo agente Rich Paul in prima linea, con l’intento di spedirlo a Phoenix per arrivare a Eric Bledsoe acquisendo anche Paul George da Indiana.
Considerando anche le frecciate a Tyronn Lue – Irving si è detto entusiasta di giocare finalmente per un allenatore “intellettuale” come Stevens -, viene da pensare che l’ascia di guerra non sia del tutto sepolta. Intanto, Boston domina la partita e vince 102-88, ma i Cavs, forse per non scoprire le carte in vista dei playoff, hanno preso la sfida sottogamba.
Giovedì 4 gennaio – Per un paio di scarpe
La stagione 2017/2018 ha già trovato la sua redemption story da film americano. Il protagonista è Gerald Green, un passato da campione dello Slam Dunk Contest e un presente da disoccupato, dopo alcune annate da journeyman in giro per la lega. Il pacchetto esterni degli Houston Rockets ha la spia della riserva accesa, e per sostituire l’infortunato Mbah-a-Moute si firma al volo Gerald Green durante la trasferta a Boston. Si trovava già in zona, per fare visita alla figlioletta, e con un preavviso di poche ore è già negli spogliatoi del Garden. Non si è portato dietro le scarpe, però: Trevor Ariza gli presta un paio delle sue.
Rientrato in Texas con la squadra, e recuperate le proprie calzature, Green si guadagna un contratto fino a fine stagione grazie a prestazioni di tutto rispetto: 18 punti contro Washington, 27 contro Orlando e 29 contro Golden State, quando coach D’Antoni lo impiega sul parquet per ben 33 minuti. Il felice matrimonio dimostra sia la duttilità di Green che la bontà del sistema dei Rockets: se giochi in maniera ordinata, tiri da tre e sei atletico nel pitturato, non ti serve altro che un paio di scarpe. La favola è ancora più a lieto fine per Green, che è nativo di Houston e ha festeggiato con un’acconciatura ad hoc la possibilità di competere con la squadra di casa.
Venerdì 5 gennaio – All Star Manu
https://www.youtube.com/watch?v=h27g3ivoswM
Su queste pagine a giugno titolavamo “Ultimo tango a San Antonio”, con un doveroso punto interrogativo in attesa che Emanuel David Ginobili da Bahìa Blanca decidesse se appendere le scarpe al chiodo. Il ritiro pareva cosa fatta, dopo l’eliminazione degli Spurs in finale di conference, ma ci sbagliavamo noi con tutti gli altri menagrami.
Con 40 anni sulla carta d’identità l’argentino è il giocatore più anziano della NBA ma sta vivendo una stagione sopra le righe, con qualche schiacciata che riavvolge il nastro del tempo e un paio di buzzer beater da antologia. Contro Phoenix segna 21 punti, imitando il coetaneo (o vista l’età, sarebbe meglio dire coevo?) Vince Carter. A fine partita coach Popovich si dichiara convinto che Manu si abbeveri quotidianamente alla fontana della giovinezza. Attenzione: nei primi spogli delle votazioni per l’All Star Game Ginobili è al numero 10 nella Western Conference. La partita delle stelle sarebbe un bel palcoscenico per un premio alla carriera: sempre che prima o poi si decida davvero a smettere.
Nota a margine. Nella settimana Ginobili è protagonista, non colpevole, di una giocata che si candida per lo Shaqtin’ a fool dell’anno. La palla va a canestro su un lob, Beasley fa finta di nulla e parte in contropiede, gli arbitri non si accorgono di niente, Manu protesta, Popovich ride. Tutto molto bello.
Nota a margine 2. Coi 26 di domenica notte, Manu diventa il primo quarantenne con due prestazioni da 20 punti consecutive, uscendo dalla panchina.
Sabato 6 gennaio – Lo chef torna ai fornelli
Com’è che facevano i Warriors a vincere prima che arrivasse Kevin Durant? Steph Curry ha avuto la premura di ricordarlo ai più smemorati. Due partite senza KD, ma zero problemi per Golden State che continua a scaldare i motori in vista dei playoff. Costretto ai box per quasi un mese da un fastidio alla caviglia, lo chef aveva accumulato una certa voglia di giocare a pallacanestro.
Il rientro contro Memphis è roba da antologia, 38 punti con 10-13 dalla lunga distanza, poi ne aggiunge 32 contro Dallas e 29 nella sfida diretta coi Rockets – privi di James Harden e di qualsiasi velleità agonistica.
Il meglio, però, se lo lascia per la notte dell’Epifania. Sul calendario c’è il confronto coi Clippers, una volta rivali, adesso un lazzaretto che stenta ad arrivare a fine stagione. Ma a Steph basta inquadrare il canestro per trovare le motivazioni: in soli 29 minuti di gioco accumula 45 punti, sciorinando tutte le triple del menu. Un paio, dal palleggio in transizione, sono da leccarsi i baffi.
Domenica 7 gennaio – LaVar Ball vs Luke Walton
Temporaneamente di stanza in Lituania per scortare i figli LiAngelo e LaMelo nella loro “avventura professionistica”, LaVar Ball non perde l’occasione per far parlare di sè. Alla ESPN hanno capito che dovunque si muova papà Ball fa notizia, e si fanno trovare sempre pronti con un microfono a portata di mano. Stavolta LaVar se l’è presa con Luke Walton, coach dei Lakers, reo di non saper allenare il figlio Lonzo ed essersi inimicato l’intera squadra.
Ai suoi occhi Lonzo appare addirittura “disgustato” dalle idee di Walton, ma niente paura: LaVar ha la ricetta per il successo. Basterà defenestrare l’allenatore, sostituirlo con qualcuno di più adatto (lui stesso, per esempio, che per modestia però non si propone), smobilitare mezza squadra per fare posto al contratto da free agent di LeBron James e offrirgli come supporting cast la triade Lonzo-LiAngelo-LaMelo più “qualche giocatore che sappia catturare rimbalzi”.
Per questa settimana è tutto, appuntamento tra sette giorni con l’episodio 2. See ya!
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
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