Secondo il vocabolario Treccani, per processo si intende “modo di procedere, metodo per raggiungere un determinato scopo”: ciò sottintende un prima ed un dopo, e nel caso di Joel Embiid e dei Philadelphia 76ers, questo “dopo” sembra già essere arrivato.
Un soprannome può essere affibbiato ad una persona a volte in modo completamente casuale, a volte no: quando un giocatore viene riconosciuto per il suo nickname, probabilmente questo gli calza perfettamente, lasciando poco spazio all’immaginazione ogni qualvolta ci interroghiamo sul perché venga chiamato in tale modo.
In un mondo di Re, di Chef, di Barbe, di Verità e di Risposte, spicca un soprannome completamente diverso: “The Process”. Forse ad una prima vista ciò potrebbe sembrare eccessivo, in quanto di giocatori che da soli riescono a tracciare il solco fra il “prima” e “dopo” di cui parlavo in precedenza non ne esistono molti: Joel Embiid è uno di loro.
Immaginate di essere abitanti della città dell’amore fraterno e di seguire con passione le squadre del posto: gli ultimi anni non sono stati sicuramente facili in quanto i 76ers per ben tre stagioni non sono riusciti a vincere più di 20 partite -mettendoci in mezzo pure la più lunga striscia di sconfitte consecutive della storia NBA, ben 28 nel 2015-, gli Eagles non vincono una partita ai playoff dal 2008, i Phillies non raggiungono la postseason dal 2011, stesso anno in cui i Flyers vinsero la loro ultima serie playoff.
Credere in qualcosa, sperare che la situazione svolti clamorosamente può risultare tanto, troppo complicato.
Ciò che rende lo sport americano unico è che dopo una stagione disastrosa c’è la possibilità di voltare immediatamente pagina con il draft, ma ciò per i ‘Sixers non è quasi mai sembrato possibile: Carter-Williams, Noel e Okafor non sono riusciti a dare la tanto agognata svolta, e in questo caso continuare a crederci diventa pressoché impossibile.
Non nel caso di Joel Embiid.
Trascende le abilità umane pensare a quanto Embiid possa ancora crescere, in quanto stiamo dopo tutto parlando di un giocatore che è sceso in campo solamente in 28 occasioni nella carriera universitaria e che ha assaggiato il campo NBA poco più di 40 volte: non ci sarebbe nulla di strano se le medie di suddetto cestista girassero attorno ai 10 punti e 5 rimbalzi a partita, assolutamente.
Ma non è così.
Dopo due infiniti anni costellati di operazioni e fisioterapia, il 2016 ci ha finalmente messo davanti agli occhi, anche se per 31 misere partite, cosa questo gigantesco camerunese sia in grado di fare: in poco più di 25 minuti a partita, da rookie, The Process è stato capace di mettere a segno 20 punti e di acciuffare quasi 8 rimbalzi a partita, tirando col il 46% abbondante dal campo e con un surreale 36.6% dalla lunga distanza. Due metri e tredici: Dio benedica la moderna NBA.
Rivelandosi perennemente un mismatch per lo sciagurato incaricato di marcarlo, Embiid è riuscito a fare qualcosa di ben più importante ed impensabile: restituire entusiasmo e fiducia in una fan base per lunghi anni presa in giro, ripetutamente delusa e sbeffeggiata dall’incompetenza del front office.
Nel 2015 il Wells Fargo Center era l’arena con la più bassa percentuale di pubblico presente -non credo di dover spiegarvi il perché- con un deprimente 68.6% di posti occupati: nella scorsa stagione tale percentuale si è alzata fino all’85.3%, e pure in questo caso lascio a voi il compito di dedurre come ciò sia possibile.
Quest’anno? Solo Chicago ha tenuto una media spettatori più alta dei 20678 presenti alle partite casalinghe dei ‘Sixers: gli effetti del Processo.
L’inizio di stagione dell’ex Kansas è stato fenomenale a dir poco.
Giocando solamente 29 minuti a partita il buon Joel sta facendo registrare medie assurde: il suo 23+11 ci permette di paragonarlo a Shaquille O’Neal, il centro più dominante della nostra generazione, ma a differenza di “The Diesel” il range di The Process è pressoché illimitato, in quanto sa essere efficace da sotto tanto quanto lo è dai cinque metri.
Certo, qualcuno potrebbe farmi presente che per esempio anche Karl Anthony-Towns fa registrare numeri simili, ma fra questi due giocatori c’è una differenza, la stessa differenza che separa Embiid da chiunque: oltre ad essere implacabile in attacco, è pure uno dei migliori rim protector della lega, e per rendersi conto di ciò non servono particolari statistiche, basta semplicemente guardare una partita di Philadelphia.
Il totale dominio a Los Angeles prima contro i Clippers e poi contro i Lakers ha spostato tutto il focus mediatico sul numero 21, poiché il suo impatto non si limita a cifre stratosferiche -78 punti e 31 rimbalzi in due partite- e basta, va molto più in là: contro i Clippers ha costretto DeAndre Jordan e Willie Reed ad uscire per falli entrando nella loro testa e si sa, quando un giocatore non è sereno ed è animato da bollenti spiriti di vendetta, probabilmente non giocherà la sua migliore partita.
Prima ti umilia in campo con un repertorio potenzialmente infinito -euro step, fade away, ganci ed un uso del piede perno da rendere fiero Olajuwon- e poi, dopo il fischio finale si prende pure il tempo di trollarti sul web.
Siamo nel 2017, la rivoluzione social ha ormai mutato profondamente il nostro modo di esporci e di relazionarci ed in NBA nessuno sa usare i social meglio di Embiid: a causa di un beef estivo con Lavar Ball, il nostro buon Gioele dopo averne messi 46 contro i Lakers ha avuto la premura di postare su Instagram una foto in cui lo si vede sovrastare Lonzo Ball, mettendo come localizzazione di tale foto un piccolo paesino iraniano nella provincia di Fars.
Il nome di questo paesino? Lavar.
Non vorrei mai vivere in un mondo in cui le gesta sui social sono più importanti di quanto mostrato in campo, ma è innegabile che al giorno d’oggi bisogna essere in grado anche di curare questo aspetto e non esiste giocatore NBA, NFL, MLB o NHL migliore di Embiid in questo: ciò lo si era inteso da subito, quando appena entrato nella lega ebbe l’idea prima di stuzzicare LeBron durante la decision 2.0 e poi di invitare a cena Rihanna.
Stiamo parlando di due delle personalità più influenti degli Stati Uniti d’America, mica bruscolini.
Se doveste costruire da zero la vostra franchigia NBA, da chi partireste? Io probabilmente, incrociando le dita che riesca a restare in salute, da Embiid, in quanto non esiste un’altra superstar così giovane su cui costruire le proprie fortune in campo e fuori: sorriso, simpatia ed umorismo uniti ad un’eccellenza cestistica senza precedenti rendono The Process uno dei giocatori su cui è più facile monetizzare dell’intero panorama NBA, e ciò è facilmente verificabile riguardando i numeri di presenze al palazzetto.
Ovviamente i Philadelphia 76ers non sono solamente Joel Embiid, non voglio assolutamente mancare di rispetto al prodigioso Ben Simmons, ma quanto fatto in poco più di 40 partite è a dir poco impressionante: forse il titolo non lo vinceranno, forse la magia svanirà ad un certo punto, ma finché possiamo godiamoci ogni singolo istante di questa favola che il 21 ci sta regalando tanto in campo quanto su Instagram.
Dopo tutto, scusate la ripetizione, quanti giocatori sono visti come un processo in grado di cambiare così radicalmente il destino di una franchigia?
Non ci resta che guardare, chiedere un favore al nostro Dio di turno affinché riesca a giocare centinaia di partite consecutive e goderci un qualcosa senza precedenti e, parafrasando i CCR, chiedere ai nostri figli fra una decina di anni “Have you ever seen Embiid?”
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango male. Ora mi trovate su https://matiofubol.substack.com/
Complimenti Mattia, ennesimo bell’articolo pubblicato su play.it!
Sei una risorsa preziosa per il sito, continua così :-)
Poi se non ricordo male tifi Formaggini, il che non fa mai male ;-)
Troppo gentile!
Tifo per quelli che domenica hanno battuto i formaggini, quindi … :D
Se rimane sano.
E se gioca da centro.
E se si concentra sul gioco del basket più che sul diventare un’icona.
Allora può avere una grande carriera. Olajuwon-like, quello che Shaquille lo portava a scuola.
Per il momento in questi aspetti è piuttosto deficitario.