Il vento sta certamente cambiando direzione nella Southwest Division, da tempo abituata a proporre almeno quattro squadre molto competitive ad Ovest e costantemente papabili per un buon piazzamento nella griglia dei playoff.

Nell’era dei superteam rimangono difatti solamente due di quelle quattro forze giudicabili quali assolute protagoniste del prossimo campionato, e stiamo chiaramente parlando di Houston e San Antonio, la prima in cerca dell’ultimo salto di qualità per pensare in grande, la seconda eterna contendente per il titolo nonostante l’età avanzante dei suoi protagonisti principali dall’alto di un sistema vincente ed un coach impareggiabile.

Ed è qui che la situazione si spezza. Verrebbe da dire che per logiche di amalgama i New Orleans Pelicans potrebbero essere considerati idonei per la terza piazza divisionale, se non altro perché sussiste parecchia curiosità nel vedere Davis e Cousins all’opera per la prima volta dopo aver affrontato un training camp assieme, e capire se l’oramai lunga tradizione non vincente della franchigia possa finalmente essere interrotta fornendo seri indizi che il futuro può essere roseo, il tutto dovendo gestire la pressione della free agency di Cousins a fine anno.

Restano Memphis e Dallas, due square consistenti nel recente passato ma oggi in ricostruzione. I Grizzlies hanno perso pezzi importanti dell’era grit’n’grind, e le colonne portanti di squadra, Conley e Gasol, non sono più verdissime; i Mavs sono irrimediabilmente legati alla prorompente figura di Dirk Nowitzki, oramai pronto a passare simbolicamente la torcia a colui che promette di far pagare a caro prezzo tutte le persone che l’hanno snobbato al Draft 2017, quel Dennis Smith Jr. che lotterà arduamente per vincere il premio di matricola dell’anno e su cui poggiano tutte le speranze per una rapida risalita della squadra di Mark Cuban.

DALLAS MAVERICKS

Starting five: Dennis Smith Jr., Wesley Matthews, Harrison Barnes, Dirk Nowitzki, Nerlens Noel.

Rotazioni: Devin Harris, Seth Curry, Dorian Finney-Smith, Dwight Powell, Salah Mejri.

Coach: Rick Carlisle

Dennis Smith Jr. è la nuova faccia della franchigia a Dallas.

Punti di forza: pur avendo faticato notevolmente a mettere assieme una produzione offensiva rispettabile, i Mavs ripartono dal quarto posto assoluto per punti concessi di media a partita – un soffio sopra i 100 – certamente una base solida su cui cominciare a ricostruire confidando in una stagione possibilmente meno invasa dagli infortuni.

L’arrivo a stagione in corso di Nerlens Noel ha certamente contribuito ad una protezione migliore del cesto avendo aggiunto un rimbalzista/stoppatore molto dinamico che il roster non possedeva, il quale avrà la possibilità e la motivazione di dimostrare tutto quello che vale su un banco di prova costituito dall’accordo annuale con cui trascorrerà il suo primo – ed a Dallas sperano non unico – campionato intero in città.

La selezione di Dennis Smith Jr., pronto a far pagare a carissimo prezzo ogni concatenamento d’eventi che l’ha fatto scivolare alla posizione numero 9 dell’ultimo Draft, potrebbe costituire una delle migliori cose mai successe a Dallas sin dai tempi del buon vecchio Dirk, in quanto il rookie da North Carolina State promette un backcourt da vere scintille grazie alle spiccate doti atletiche ed un talento naturale di alta caratura, poggiando sin d’ora i primi blocchi del nuovo corso della franchigia. I Mavs hanno disperatamente bisogno di segnare di più e di aumentare i loro ritmi offensivi, due problemi che Smith potrebbe risolvere con un solo colpo di spugna grazie alla capacità di andare a canestro in maniera aggressiva e fisica, alla sua freschezza ed al suo bruciante primo passo.

Punti di debolezza: l’inesperienza generale del roster gioca a sfavore della franchigia, dato che gli elementi più significativi della formazione che hanno a lungo respirato l’aria della postseason – su tutti il venerabile tedescone – sono pure coloro che per ragioni fisiologiche non sono più determinanti come un tempo. Per quanto in possesso di straordinarie doti naturali Smith dovrà imparare a gestire una squadra a livello professionistico, un esercizio che non si perfeziona certo dal giorno alla notte, dovendo passare forzatamente per un percorso fatto di errori da cui trarre lezioni positive e dare il via ad una maturazione graduale.

La composizione del roster pone molte domande cui fornire una risposta, il tasso di talento non è altissimo e molti giocatori devono provare di poter crescere ulteriormente. Harrison Barnes è chiamato a contribuire a tutto tondo per dimostrare di valere il max contract firmato l’anno scorso e di meritarsi lo spotlight all’esterno del contesto di Golden State, Seth Curry e Yogi Ferrell devono entrambi fornire conferme dopo aver rappresentato una piacevolissima sorpresa a torneo scorso in svolgimento. E’ una situazione che riassume un roster poco profondo – con la sola esclusione del settore guardie – non certo all’altezza di poter competere con le squadre più possenti di una Conference oggi ancor più complessa a livello competitivo.

Analisi: sarà un’annata di transizione, poco ma sicuro, ma se non altro i Mavericks hanno riscontrato in Smith il profilo del giocatore che potrà sostituire Dirk Nowitzki quale faccia della franchigia del futuro. Lavorare con prospettive concrete a disposizione è molto differente rispetto al preparare il terreno per il ritiro di un sicuro Hall Of Famer, Smith giunge nel luogo ideale nel momento più opportuno per sé e per la squadra, pronto a misurarsi e diventare il leader del nuovo corso disponendo di compagni giovani e dotati di margini di crescita, e potendo contemporaneamente usufruire dei preziosi consigli di chi ha alzato un trofeo molto ben conosciuto giusto un paio di volte.

Sarà una stagione non facile da gestire perché le vittorie, come l’anno scorso, faticheranno ad arrivare e Dallas con tutta probabilità non si qualificherà ai playoff per il secondo anno consecutivo, un qualcosa che non accade da diciassette stagioni tanto per comprendere il tasso di continuità mantenuto della franchigia. La bella notizia è rappresentata dai presupposti, perché proprio da qui si partirà a costruire il nucleo che tra qualche anno potrebbe ritornare a scrivere risultati di rilevanza, dato che i tratti di un gruppo come quello composto da Smith, Barnes, Curry e – si spera – Noel risultano davvero intriganti.

Record 2016/2017: 33-49

Previsione record 2017/2018: 35-47

HOUSTON ROCKETS

Starting five: Chris Paul, James Harden, Trevor Ariza, Ryan Anderson, Clint Capela.

Rotazioni: Isaiah Taylor, Eric Gordon, P.J. Tucker, Luc Richard Mbah-A-Moute, Nené Hilario.

Coach: Mike D’Antoni

La nuova coppia delle meraviglie di Houston si appresta a rincorrere Golden State.

Punti di forza: crediamo possano esserci poche discussioni nel decidere quale sia il punto vitale dei Rockets, in quanto la trade che ha portato a Houston Chris Paul va istantaneamente a formare un backcourt da favola.

James Harden è reduce da una stagione dove ha ulteriormente migliorato la qualità del proprio gioco trascinando di forza la squadra ad un risultato difficile da ottenere con una sola vera superstar a roster, compilando un campionato che solo le grandi imprese di Russell Westbrook hanno reso meno stupefacente di ciò che è effettivamente stato. Harden ha fatto fruttare al meglio il nuovo ruolo cucitogli addosso da Mike D’Antoni mantenendo intatta la sua produzione offensiva, rendendosi nel contempo responsabile del miglioramento nella circolazione di palla, guidando la Nba con 11.2 assistenze a serata.

La presenza di Paul, oltre ad aggiungere un’agognata seconda stella su cui poter contare nei momenti più importanti della stagione, avrà il determinante beneficio di risparmiare minuti preziosi ad un Harden giunto letteralmente spremuto nelle forze ai playoff. In attesa di vedere le prime partite ufficiali e capire definitivamente come D’Antoni deciderà di distribuire le presenze dei due in campo, i Rockets sanno di aver colmato una delle loro esigenze più urgenti, quella di trovarsi un Harden più riposato senza che i ritmi di squadra calino durante le sue pause in panchina, un aspetto sul quale si possono ora dormire sonni tranquilli grazie alla saggia gestione che un generale esperto delle qualità di Paul può garantire.

Infine il tiro da tre, l’anima della filosofia offensiva di D’Antoni. A Houston continueranno a piovere triple – nel 2016 più di quaranta tentativi a partita e record per tentativi in singola stagione – tenendo conto del fatto che la presenza di Paul andrà certamente a creare maggiori attenzioni garantendo in determinate circostanze una libera visione del canestro al tiratore di turno. Mettere in ritmo una batteria di tiratori perimetrali come Ariza, Anderson e Gordon – senza contare i contributi diretti di Harden e Paul – equivale al costruire i parziali decisivi con cui Houston può spaccare le partite in due.

Punti di debolezza: l’operazione-Paul ha presentato un conto salato per la panchina, che oggi risulta accorciata e poco profonda. I Rockets hanno perso l’anima della loro difesa, Patrick Beverley, un possibile sesto uomo dell’anno come Lou Williams e due giovani in crescita come Dekker e Harrell, impoverendo la rotazione di ali. Il settore lunghi non è adeguatamente profondo e punta moltissimo su un Nené che non arretra di un millimetro quando c’è da lottare ma che a 35 anni non ha più di una quindicina di minuti di qualità da poter spendere su al parquet, fatto che potrebbe costringere a stravolgimenti tattici in tutte quelle occasioni in cui Clint Capela dovesse patire problemi di falli.

Per quanto i risultati ottenuti da D’Antoni siano stati dignitosi durante la scorsa stagione, la difesa non è la specialità di casa. Harden non ha fatto vedere nulla di differente rispetto alle stagioni passate, è e resta un giocatore che ha bisogno di risparmiarsi per poi votare tutte le energie alla parte offensiva, Ryan Anderson ha dimostrato – in particolar modo nei playoff – di essere il punto più debole di squadra in quanto facilmente attaccabile in post, e l’assenza di un cagnaccio come Beverley farà mancare l’elemento di equilibrio sia tattico che mentale che il buon Patrick ha sempre fornito.

Analisi: nonostante l’argomento-Melo abbia tenuto banco per tutta l’estate con l’epilogo che tutti conosciamo, anche senza la terza superstar i Rockets sono una squadra di vertice della Lega, destinata a recitare un ruolo importante in un Ovest carico di talento come non mai. Daryl Morey ha come sempre fatto del suo meglio per allestire una squadra competitiva cercando di colmare la distanza nei riguardi dell’eccellenza di Golden State, costruendo un backcourt di primissimo livello e fornendo il roster di giocatori versatili (P.J. Tucker, Richard Mbah-A-Moute) in grado di reggere i cambi difensivi, un elemento chiave per poter contrastare contendenti come i Warriors.

La questione, vista in prospettiva, è quella degli ultimi tre anni – in due dei quali i Rockets hanno sorpassato le aspettative di inizio anno – dato che l’unità di misura con cui ci si andrà a confrontare sarà sempre la stessa. Il primo statement andrà fatto direttamente a livello divisionale cercando di vincere l’annosa concorrenza degli Spurs a maggior ragione dopo l’eliminazione dalla postseason passata, ma solo il confronto con i Campioni in carica ed agguerritissimo Ovest potrà determinare il progresso di Houston verso il salto di qualità richiesto per diventare una seria pretendente al titolo. Le premesse – Melo o non Melo – ci sono comunque.

Record 2016/2017: 55-27

Previsione record 2017/2018: 61-21

MEMPHIS GRIZZLIES

Starting five: Mike Conley, Tyreke Evans, Chandler Parsons, JaMychal Green, Marc Gasol.

Rotazioni: Andrew Harrison, Wayne Selden, James Ennis III, Ivan Rabb, Brandan Wright.

Coach: David Fizdale

Gasol pare suggerire a Conley: “siamo rimasti noi, dobbiamo cavarcela da soli…”.

Punti di forza: l’asse Mike Conley-Marc Gasol è una combinazione di comprovata efficienza. Lo spagnolo ha ulteriormente innalzato il livello del suo gioco aggiungendo il tiro da oltre l’arco al suo già ricco arsenale, raggiungendo il massimo in carriera per media punti con 19.5 durante il torneo scorso e fornendo una nuova dimensione all’attacco, forzando il marcatore di turno a preoccuparsi del suo stazionamento sul perimetro oltre che a difendere il già ottimo gioco in post, il tutto fornendo la miglior protezione del canestro possibile dall’altra parte del campo.

Così come lo è Gasol, Conley è un clutch player affidabile ed è fresco del raggiungimento di nuovi picchi offensivi, avendo ritoccato verso l’alto di ben cinque punti di media il suo precedente miglior risultato offensivo di sempre toccando i 20.5 punti a gara, l’esperienza ed i tratti emotivi consentono ai Grizzlies di poter contare su un giocatore in grado di gestire situazioni di pressione, di segnare il tiro decisivo o crearlo a beneficio di un compagno, un particolare che può fare molta differenza nelle partite punto a punto.

Punti di debolezza: dietro alle due star del roster c’è il vuoto, con troppi nodi da sciogliere. Il primo riguarda senza dubbio Chandler Parsons, che occupa una grossa fetta del salary cap ed è reduce dalla terza stagione consecutiva chiusa in anticipo a causa di un’operazione al menisco, una cronologia infortunistica assai preoccupante che getta serie ombre su colui che sarebbe dovuto essere il terzo violino di squadra e che con tutta probabilità è destinato a non tornare più quello di Houston.

Il secondo è invece concernente il gruppo di giocatori firmati per rimpiazzare le numerose partenze, ed il folto schieramento di giovani di belle speranze chiamati a combattere contro squadre dotate di maggior talento. Tyreke Evans ha patito non pochi problemi alle ginocchia, Mario Chalmers rientra dalla rottura del tendine d’Achille, Ben McLemore sta recuperando dalla frattura del quinto metatarso ed in ogni caso è uno di quei giocatori chiamati a dimostrare – in un ambiente differente rispetto al precedente – di poter raggiungere il proprio potenziale, non esattamente un automatismo. Giocatori come JaMychal Green, Wayne Selden e James Ennis godranno di un maggior minutaggio rispetto al 2016, ed avranno molto da dimostrare.

Analisi: i Grizzlies devono fare i conti con la loro realtà di squadra borderline, ovvero costantemente capace di navigare tra le 40 e le 50 vittorie, che nella Western Conference significa tuttavia posizionarsi tra la quinta e l’ottava posizione nella griglia-playoff. Purtroppo, nel momento stesso in cui la squadra ha voltato pagina salutando pezzi-chiave dei suoi recenti successi come Randolph, Carter ed Allen, l’Ovest ha notevolmente rinforzato la qualità delle concorrenti lasciando Memphis a sperare di lottare per l’ultima piazza disponibile per la postseason.

Sarà un campionato assai significativo, perché se le certezze passano inequivocabilmente da Gasol e Conley, molte sono le scommesse da vincere. Al di là della tenuta fisica di Parsons e del peso del suo contratto, gran parte del lavoro di coach Fizdale sarà mirato alla crescita dei tanti elementi inesperti che il roster propone, cercando nel frattempo di comprendere se i free agenti firmati in estate possano veramente usufruire nell’aria fresca del Tennessee per lasciarsi i problemi del passato alle spalle e compiere il definitivo salto di qualità. Il problema è che mentre a Memphis si tenterà di sciogliere questi dubbi, molte altre squadre in lotta per gli ultimi posti-playoff ad Ovest potrebbero sorpassare con facilità questi Grizzlies.

Record 2016/2017: 43-39

Previsione record 2017/2018: 39-43

NEW ORLEANS PELICANS

Starting five: Rajon Rondo, Jrue Holiday, Dante Cunningham, Anthony Davis, DeMarcus Cousins.

Rotazioni: Ian Clark, E’Tauwn Moore, Solomon Hill, Check Diallo, Alexis Ajinca.

Coach: Alvin Gentry

Le twin towers avranno una stagione intera per migliorare la loro amalgama.

Punti di forza: la qualità principale dei Pelicans è tutto sommato ovvia, ed è rappresentata dalla qualità del materiale umano che possono proporre sotto canestro. Si riparte dalla coppia di torri formata da Anthony Davis e DeMarcus Cousins e dal potenziale di crescita intuibile a seguito delle 17 partite già disputate assieme l’anno passato, le quali sono state accuratamente studiate dallo staff per riuscire a proseguire su un percorso che sulla carta è certamente intrigante.

Sul potenziale offensivo c’è assai poco di cui disquisire, abbiamo una cinquantina di punti di media pronti da servire sul piatto oltre ad un possibile dominio a rimbalzo, senza contare che la versatilità di due lunghi con quelle caratteristiche permette notevoli squilibri di marcatura grazie anche al 35% che Cousins può esibire quando realizza da oltre l’arco. La profondità della batteria è inoltre garantita dalla presenza di Alexis Ajinca.

I Pelicans sono altresì ben attrezzati nel settore guardie. Jrue Holiday – confidando nella fortuna – pare aver consegnato definitivamente al passato la sua storia d’infortuni e si è confermato quale giocatore assai consistente, capace di tirare bene sostanzialmente da ogni posizione e distribuire adeguatamente i palloni. E’Tauwn Moore sarà utile per migliorare le spaziature – uno dei difetti di squadra – grazie al suo 37% da tre, ci sarà sicuramente di che divertirsi a guardare Rajon Rondo lanciare lob a destra e manca per le voraci bocche da fuoco di cui sopra, e Ian Clark potrà dimostrare ciò che vale su una più ampia scala, dato che avrà un minutaggio certamente superiore rispetto all’esperienza con la maglia di Golden State.

Punti di debolezza: la profondità del roster può essere messa a repentaglio dal rischio-infortuni, come la storia recente insegna. Solomon Hill partirà dai box mirando ad un rientro non precedente al mese di febbraio, costringendo coach Gentry ad improvvisare una nuova rotazione che andrà certamente a comprendere il già citato Moore, il neo-arrivato Tony Allen, e giocatori di fascia secondaria come Darius Miller, dai margini di miglioramento limitati, e Dante Cunningham, che può soffrire il maggior tasso atletico di molti degli avversari che dovrà affrontare.

Rimane da non sottovalutare ogni possibile mutamento nella chimica di una squadra che si dovrà muovere con estrema cautela, non dimentichiamo che gli amiconi Cousins e Rondo possiedono due teste calde ed altrettanti caratteri ingestibili, per cui c’è sempre da sperare che a New Orleans non si crei una potenziale situazione di frustrazione qualora le aspettative di crescita non dovessero venire rispettate, perché lo spogliatoio potrebbe essere a rischio ed in gioco c’è il futuro in loco – oltre che di Cousins – pure di Davis.

Analisi: storia insegna che l’amalgama compie autentici miracoli. Ogni indicatore punta quindi verso l’alto per una franchigia che ha vinto solamente 32 partite di media nelle ultime sei stagioni, ivi comprendendo il 7-10 collezionato dal momento in cui Cousins è giunto in questa sua nuova destinazione. Un training camp trascorso con un’ossatura di squadra più definita non può che essere di beneficio per una situazione dove già si possiede il lusso di schierare una coppia di lunghi dal talento ineguagliabile, che permette ai Pelicans di puntare moltissimo sulla versatilità tanto offensivamente che dal lato prettamente difensivo.

Ci sono tanti se da considerare, ma qualora dovesse funzionare tutto come deve e la salute dei singoli verrà preservata, a New Orleans pare legittimo innalzare le attese verso una lotta per gli ultimi posti disponibili per la postseason ad Ovest, ponendo finalmente termine agli infiniti periodi di transizione che hanno sin troppo affossato il morale di questa squadra e della sua indiscussa superstar.

Record 2016/2017: 34-48

Previsione record 2017/2018: 42-40

SAN ANTONIO SPURS

Starting five: Tony Parker, Danny Green, Kawhi Leonard, LaMarcus Aldridge, Pau Gasol.

Rotazioni: Patty Mills, Manu Ginobili, Rudy Gay, Davis Bertans, Joffrey Lauvergne.

Coach: Gregg Popovich

Kawhi Leonard attende di potersi giocare la rivincita contro Golden State.

Punti di forza: negli ultimi anni Kawhi Leonard si è dimostrato essere maturo e responsabile nel vestire il ruolo di nuova faccia della franchigia e durante la stagione scorsa ha dimostrato di possedere tutte le qualità adatte per prendersi cura del lascito di Tim Duncan, diventando la stella indiscussa della squadra e mostrando nuovi segni di crescita. Reduce da un campionato nel quale ha fatto registrare nuovi massimi in carriera per media punti (25.5) e media assist (3.5), Leonard è stabilmente materiale da top 5 della Lega, determinante come sempre tanto nel rendere impossibile la vita al miglior attaccante avversario quanto nel segnare i tiri decisivi.

Per quanto appaia superfluo ricordarlo, gli Spurs possiedono la miglior organizzazione che una squadra Nba possa desiderare, fatto avvalorato da una stabilità che ha permesso ben venti qualificazioni consecutive ai playoff  ed i noti cinque titoli. L’assenza di Tony Parker fino a gennaio peserà senza dubbio, ma la squadra è talmente completa, esperta e ben allenata da sconsigliare di scommetterle contro, oltre al fatto che l’aggiunta di Rudy Gay permette di aggiungere uno scorer di qualità in grado di togliere pressione da Leonard ed Aldridge.

Punti di debolezza: “we have no precedent” aveva risposto Manu Ginobili al gionalista che gli poneva la spinosa questione di come la squadra avrebbe affrontato il resto dei playoff senza Tony Parker, e la controprova rimane tracciabile solamente in parte. Dejounte Murray si è fatto avanti con coraggio terminando un paio di gare in doppia cifra per punti grazie alla capacità di attaccare il canestro, ma non possediamo un’estesa percezione di come sarà la squadra senza Parker dato che la serie contro Golden State è terminata nel momento stesso in cui si è infortunato anche Leonard, aumentando troppo il divario tra le compagini. Murray, assieme al ri-firmato Patty Mills, dovrà traghettare lo spot di point guard fino al rientro del francese, un compito non facile se proiettato per due mesi e mezzo abbondanti.

Oltre a ciò è necessario considerare che i giocatori di maggior talento a roster – escludendo Leonard – non sono agili ed atletici come un tempo per ovvie ragioni anagrafiche, in particolare un settore lunghi che poggia le proprie speranze su veterani come Aldridge e Gasol, i quali dovranno confrontarsi con i pari ruolo maggiormente rapidi e versatili di quest’ultima generazione. Visto il bisogno di centellinare le forze in ottica playoff, i tanti giovani a roster dovranno dimostrare di poter reggere il tipo di competizione che gli Spurs frequentano da due decenni, e la loro inesperienza potrebbe incidere sull’andamento della stagione.

Analisi: le quotazioni di San Antonio appaiono in lieve flessione per una semplice logica di mercato, nel senso che parecchie contendenti al titolo si sono notevolmente rinforzate per cercare di accorciare le distanze nei confronti dei Warriors, mentre gli Spurs hanno sostanzialmente mantenuto la struttura dell’anno passato, aggiungendo solamente un Rudy Gay peraltro convalescente dalla rottura del tendine d’Achille.

Tuttavia, l’analisi della situazione Spurs è questa da qualche anno oramai, sia qui che al di là dell’oceano si è spesso ragionato sul fatto che con un anno in più in sacoccia per gente come Parker, Ginobili e Gasol le probabilità di vincere fossero destinate a diminuire, solo per assistere a nuove cavalcate profonde in postseason grazie anche alle giocate dei grandi veterani. Questa è per molti versi la stessa squadra che avrebbe potuto infastidire Golden State se Leonard fosse rimasto in salute, gli Spurs magari non vinceranno 60 partite e cederanno lo scettro divisionale a Houston, ma ciò che conta è arrivare a giocare nel mese di giugno. E dalle parti di Fort Alamo, una o cosa o due sulla materia specifica le possono ancora insegnare.

Record 2016/2017: 61-21

Previsione record 2017/2018: 56-26

 

 

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