GOLDEN STATE WARRIORS
Quintetto: Stephen Curry (G), Klay Thompson (G), Kevin Durant (F), Draymond Green (F), Zaza Pachulia (C)
Panchina: Andre Iguodala (F), Shaun Livingston (G), David West (F), JaVale McGee (F/C), Nick Young (G), Omri Casspi (F)
Allenatore: Steve Kerr (assistenti: Mike Brown, Ron Adams, Jarron Collins, Willie Green, Chris De Marco, Bruce Fraser)
Punti di forza: i Warriors non sono solamente la squadra più forte tra quelle contemporanee, quanto una delle migliori… di tutti i tempi. Parlano per loro le crude cifre (67, 73 e 67 vittorie nelle ultime tre stagioni) l’argenteria (due titoli e una terza finale, persa negli ultimi due minuti di Gara 7) e il pedigree di Kevin Durant e Steph Curry, riusciti al primo colpo a trovare un’alchimia perfetta in un contesto di squadra che non ammette egoismi.
Coach Steve Kerr (ritrovata la salute) riparte dai suoi punti fermi: tiro da tre, movimento di palla, e una grandissima difesa che si tende a sottostimare. In più, si sono aggiunti Omri Casspi (sarà anche meno tosto di Matt Barnes, ma è ideale per questo tipo di sistema) e Nick Young, che a Oakland spera di ripetere la parabola di redenzione occorsa a JaVale McGee, e sostituisce Ian Clark come guardia di riserva.
Anche giocatori non di primissimo piano come Livingston, Pachulia e West (preziosi in campo e in spogliatoio) sono rimasti, confermando un nucleo ormai consolidato e nel pieno del proprio vigore.
Punti di debolezza: Parliamo di una macchina da guerra perfettamente oliata, costruita con maestria e rafforzata con accortezza, anno dopo anno. Un tempo avremmo certamente puntato il dito contro l’assenza di un big-man capace di giocare spalle a canestro, ma al giorno d’oggi una simile considerazione sarebbe anacronistica.
L’unica squadra che pareva poter impensierire seriamente G-State era San Antonio, ma l’infortunio patito da Kawhi Leonard nel terzo quarto di Gara 1 ci ha privato del piacere di assistere a quella che poteva essere una grande sfida tra i centimetri degli Spurs e la velocità dei Dubs; un confronto che, a sorpresa, stavano vincendo proprio quelli dell’Alamo.
L’addio di Andre Iguodala (andato vicinissimo a firmare per Houston) avrebbe spostato gli equilibri e la chimica di spogliatoio, ma il GM Bob Myers è riuscito a scongiurare la fuga del play occulto dei Warriors, togliendo anche questa speranza alle altre squadre della Western Conference.
Previsione: Golden State si è rinforzata, e quindi dopo tre campagne di Playoffs così lunghe e dispendiose, pensiamo che Steve Kerr gestirà il più possibile i suoi giocatori migliori, approfittando di una panchina profondissima (a proposito, siamo curiosi di vedere McCaw e Looney, attesi ad un’annata solida), e pazienza se il Commish Adam Silver non sarà contentissimo.
Pensiamo che i Warriors si assesteranno attorno ad un record di 64-18, per poi scatenarsi nella post-season. La concorrenza non manca, perché i Rockets di James Harden e Chris Paul sono un’avversaria tutta da scoprire così come i Thunder di Anthony, George e Westbrook, San Antonio non è mai doma e Leonard vorrà rifarsi, mentre ad est c’è la Cleveland di LeBron James (ma anche l’incognita delle condizioni fisiche di Isaiah Thomas) e i nuovi Boston Celtics scalpitano al cancelletto di partenza.
Spodestare questi Warriors sarà un’impresa per titani, e il principale tema della prossima stagione sarà proprio capire se qualcuna di queste franchigie si rivelerà un titano capace di cambiare il corso degli eventi. L’impressione però, è che il leviatano della Baia sia ancora troppo forte per tutti, con un roster senza punti di frattura e uno spogliatoio coeso, dimostratosi fin qui immune alle classiche piaghe delle squadre campioni, e cioè invidie assortite (per i contratti, come quello faraonico appena firmato da Curry) e appagamento per i risultati raggiunti.
LOS ANGELES CLIPPERS
Quintetto: Milos Teodosic (G), Lou Williams (G), Danilo Gallinari (F), Blake Griffin (F), DeAndre Jordan (C)
Panchina: Pat Beverley (G), Austin Rivers (G), Sam Dekker (F), Sindarius Thornwell (G/F), Montrezl Harrell (F/C)
Allenatore: Doc Rivers (assistenti: Sam Cassell, Armond Hill, Brendan O’Connor, Mike Woodson, Patrick Sullivan, John Welch, Dee Brown)
Punti di forza: L’addio di Chris Paul ha rischiato di spazzar via i Clippers dalla cartina dell’NBA che conta, e forse sarebbe finita così, se nel frattempo non fosse occorsa la provvida addizione tra le fila del front-office di un preziosissimo Jerry West. L.A. ha cambiato tre quinti dello starting-five, tramutandosi in una squadra intrigante, con un tetto di rendimento tutto da scoprire.
Gli europei Gallinari e Teodosic saranno i passatori designati, con Griffin a finire, Jordan nel ruolo di bloccante, rim-protector e destinatario dei lob del play ex CSKA; i Clippers arrivano al camp con una panchina sensibilmente migliore, complice lo scambio con i Rockets che ha agevolato il passaggio di Paul in Texas: sono arrivati a Playa Vista il solido veterano Williams, una presenza importante (per tenuta difensiva e approccio) come quella di Beverley, e due giovani in rampa di lancio come Dekker e Harrell.
Punti di debolezza: lo spot di guardia non è più presidiato da JJ Redick, andato a svernare a Philadelphia, e quindi sarà oggetto di contesa tra Austin Rivers e Louis Williams, che però, sembrano entrambi al loro meglio in uscita dal pino.
Doc Rivers potrebbe schierare un quintetto con i suoi due play, Milos Teodosic e Patrick Beverley (che è da sempre un fan di Teodosic, tanto da usarne il nome come pseudonimo al momento di registrarsi negli hotel!) ma è chiaro che Chris Paul ha lasciato un vuoto che si farà sentire e difficilmente sarà colmato “per comitato”.
Anche il nostro Gallo non ha iniziato nel migliore dei modi, fratturandosi una mano per tirare un pugno ad un avversario (potrà scambiare opinioni al riguardo con Blake Griffin, infortunatosi mentre tirava un cazzotto al magazziniere della squadra nell’inverno 2016) ed è storicamente injury-prone.
Per concludere, coach Rivers si trova ad allenare un gruppo eterogeneo, lui che predilige squadre di americani, e non è detto sia l’uomo giusto per sfruttare i pregi di Danilo e Milos (che sono giocatori da sistema, più che da schema), nascondendone i difetti, specie in difesa, dove ci sono tanti centimetri e l’asse Berverley-Jordan costituisce una bella coperta, che però potrebbe essere troppo corta per Teodisic, Gallinari e Griffin.
Previsione: La presenza di Teodosic, maturo regista alla prima esperienza americana, di Gallinari (l’ala piccola che i Clippers aspettavano da anni…) e di Sindarius Thornwell (un rookie che molte squadre si pentiranno d’aver sottovalutato) sono motivi di grande curiosità, e pensiamo che questi Clips abbiano il potenziale per diventare, a modo loro, una squadra di culto, con meno pressione addosso rispetto al passato e la voglia di smentire chi li dà per morti prima ancora di vederli in campo.
Vincere però, è un’altra storia, e riteniamo di poter pronosticare un record di 44-38 che sarà figlio di passaggi entusiasmanti e di brusche frenate. Siamo curiosi di capire quanto spazio avranno alcuni giovani, come l’ala Brice Johnson (scelto nel 2016 e fin qui invisibile), Liggins, Gary Payton II e Jawun Evans, che cercherà di ricavarsi un posto tra Beverley e Teodosic.
Lo stesso Blake Griffin è chiamato ad una stagione che dica una parola chiara sul suo ruolo: è una stella capace di guidare la squadra, un realizzatore affidabile fino in fondo, o un grande giocatore però incapace di fare il franchise-player?
Se le cose dovessero mettersi male, molto probabilmente Rivers perderà quel posto in panchina che ha conservato a lungo a dispetto di risultati insoddisfacenti (non solo e non sempre per colpa sua, naturalmente); anche questo aggiunge pepe al 2017-18 dei Velieri angeleni.
LOS ANGELES LAKERS
Quintetto: Lonzo Ball (G), Kentavious Caldwell-Pope (G), Brandon Ingram (F), Julius Randle (F), Brooke Lopez (C)
Panchina: Kyle Kuzma (F), Jordan Clarkson (G), Larry Nance Jr. (F), Ivica Zubac (C), Tyler Ennis (G)
Allenatore: Luke Walton (assistenti: Brian Shaw, Jud Buechler, Jesse Mermuys, Miles Simon, Mark Madsen, Bian Keefe)
Punti di forza: Magic Johnson e Rob Pelinka hanno cambiato passo e registro rispetto ai loro predecessori, restituendo smalto al decision-making di una franchigia intorpidita. Il nuovo front-office ha trascorso la primavera 2017 analizzando il roster per poi far pulizia a giugno, dando il benservito a D’Angelo Russell, Nick Young, Metta World Peace e Timofey Mozgov.
L’idea è di costruire attorno a Lonzo Ball e al suo stile altruista, circondandolo con giovani cestisti di provata mentalità difensiva, come Josh Hart, Thomas Bryant, Kyle Kuzma (entusiasmante in Summer League), che si aggiungono a Tyler Ennis, e Corey Brewer, secondo la vecchia formula –difesa e contropiede– dello Showtime.
Sono arrivati Caldwell-Pope (contrattone annuale), Lopez e Andrew Bogut (vecchia conoscenza di coach Walton), veterani chiamati al ruolo nel quale Mozgov e Deng (ancora a roster con la targhetta “in vendita” ben in vista) hanno fallito. Inoltre è finalmente pronto lo UCLA Health Training Center, il nuovo quartier generale di cui ci aveva parlato due anni fa Gary Vitti; anche questo aiuterà a proiettare la franchigia nel futuro.
Punti di debolezza: i veterani dei Lakers sono onesti e utili comprimari che però non possono ergersi a leader tecnici di una squadra NBA; viceversa i giovani leoni (Ingram e Ball) cercheranno di prendere per mano la franchigia, ma pagheranno lo scotto della scarsa esperienza a questi livelli. Julius Randle (in condizioni fisiche strepitose), Clarkson e Larry Nance Jr. saranno osservati speciali, perché hanno concluso il loro apprendistato NBA; se il loro rendimento non crescerà, faranno le valige, anche perché Magic e Pelinka puntano l’estate 2018 per rinforzarsi, e lo spazio salariale non sarà mai troppo! Questo gruppo potrà fare passi avanti notevoli rispetto alla mediocrità (anche, se non soprattutto, caratteriale) esposta nelle pessime passate stagioni, ma i ragazzi di Walton cresceranno solo imponendosi piccoli traguardi graduali in termini di disciplina, di assegnamenti individuali, di capacità di giocare 48 minuti con continuità.
Prospettive: con la free agency ’18 sullo sfondo, il presente dei Los Angeles Lakers è quello di una squadra che deve imparare a fare le cose semplici, costruendo una base e una filosofia di gioco (correre, correre, e poi ancora correre) sulla quale eventualmente innestare Paul George o chi per lui. Ci sono buoni giocatori per costruire una difesa perlomeno accettabile (anche se si è scelto di rinunciare a malincuore a Thomas Robinson e soprattutto a Tarick Black, per conclamati limiti offensivi), e la prospettiva dei canestri facili in contropiede aiuterà tutti quanti a flettere un po’ di più le ginocchia.
Però non ci si deve illudere che i limiti esposti negli ultimi due anni scompaiano per magia. Pensiamo che Lonzo Ball e il suo stile altruista e contagioso frutterà molte vittorie in più rispetto al cancerogeno Russell (eppure, apprezzatissimo dal tifo californiano), e quindi un pronostico di 37-45 ci sembra tutto sommato realistico, posto che tanto dipenderà da Brandon Ingram, che può diventare l’ago della bilancia (tanto in positivo quanto in negativo) sia in attacco che in difesa.
Comunque vada, questa stagione sarà uno spartiacque nella carriera di tanti giocatori a roster, che fin qui hanno vivacchiato col “potenziale”, ma ora non hanno più scuse e possono dire addio al minutaggio assicurato. Nessuno pretende la luna, ma ci si aspetta più rigore, professionalità e voglia di sporcarsi le mani, seguendo l’esempio dei vari Ennis, Brewer, Bogut e Caldwell-Pope, la guardia 3&D il cui rendimento sarà cruciale per il buon esito della stagione 2017-18.
SACRAMENTO KINGS
Quintetto: George Hill (G), Buddy Hield (G), Bogdan Bogdanovic (F), Kosta Koufos (F), Willie Cauley-Stein (F/C)
Panchina: Zach Randolph (F), De’Aaron Fox (G), Malachi Richardson (G), Vince Carter (F), Justin Jackson (F), Skal Labissiere (F/C)
Allenatore: Dave Joerger (assistenti: Bryan Gates, Elston Turner, Dan Hartfield, Jason March, Duane Ticknor, Bob Thornton, Larry Lewis)
Punti di forza: Finalmente Divac è riuscito a piazzare una off-season convincente, nella quale ha operato bene in sede di draft (Jackson, Fox, Frank Mason III e Harry Giles sono ottime pesche), puntellandosi con George Hill e qualche veterano di scuola Grizzlies che aiuterà in spogliatoio –oddio, Z-Bo è già riuscito a farsi arrestare per reati legati alla droga, ma soprassediamo!
Il serbo Bogdanovic è un’arma in più in un roster cui serve un po’ di materia grigia, ma nel complesso l’asse play-pivot tra Fox e Cauley-Stein si preannuncia difensivamente entusiasmante, soprattutto nelle mani di coach Joerger. Non saranno tutte rose e fiori, ma finalmente Sac-to ha un impianto futuribile e compatibile con le idee del coaching staff. Tutto starà nel continuare a effettuare la scelta giusta ad ogni bivio (e non è affatto facile).
Punti di debolezza: Questa edizione dei Kings arriverà dove la condurrà De’Aaron Fox, una guardia tostissima dalla mentalità vincente, che però andrà in contro alle difficoltà comuni a tutti i rookie. La panchina non è terribile, ma neppure entusiasmante (ad esempio non ci sono giocatori che cambino ritmo, a meno di togliere dal quintetto Hield, che si porta appresso la scomoda etichetta di “scambiato per Cousins”).
Giles e Jackson aggiungono profondità ma sono esordienti, mentre ci si chiede se Vince Carter riuscirà ad immergersi ancora una volta nella fontana dell’eterna giovinezza. In più, Papagiannis e Labissiere sono potenziali giocatori di rotazione, ma al momento la parola chiave è “potenziali”. Per completare il quadro, i Kings non hanno molto tiro da fuori –eccezion fatta per Hield e Bogdanovic– e questo potrebbe complicare le spaziature offensive.
Prospettive: Abbiamo sottostimato quell’incorreggibile tabagista di Vlade Divac a causa di alcune mosse all’apparenza stravaganti, ma è giusto evidenziare come la dirigenza dei Kings sia riuscita a liberare spazio salariale, accumulando scelte che ha trasformato in buoni prospetti (se poi diventeranno buoni giocatori, dipenderà da tanti fattori, non tutti sotto il dominio della franchigia).
In questo senso, è ovvio che Fox sia il playmaker che tutti aspettavano, e possa in futuro diventare un uomo-franchigia capace di infastidire anche Lonzo Ball e gli odiati Lakers, ma vedremmo di buon occhio l’idea di farlo partire alle spalle di George Hill, per evitare di bruciarlo con una brutta prima stagione.
Sacramento è lungi dall’essere una squadra compiuta, ma ha un buon mix di veterani e giovani da lanciare, sbilanciato in favore di questi ultimi; è una situazione che non produrrà tantissime vittorie nel breve periodo, ma se si ragiona in termini più estesi (cosa certamente non facile per i sostenitori dei Kings, a secco di Playoffs da ben 11 anni) è la strategia giusta per costruire l’ossatura di una formazione ambiziosa, specialmente in un piccolo mercato quale è la capitale della California.
Dovendo fornire un pronostico, azzardiamo un 30-52, nel tentativo di conciliare il notevole potenziale futuro di questo gruppo, con i dolori della crescita che inevitabilmente affronterà, mentre dubitiamo che qualcuno si ritroverà a rimpiangere il sacrifico (pur doloroso) di DeMarcus Cousins, e di certo non quello di Rudy Gay, Ben McLemore o Ty Lawson.
Il carattere blue-collar di questo gruppo potrebbe far scattare nuovamente quella splendida alchimia tra pubblico e squadra che aveva reso la Arco Arena d’inizio millennio uno dei campi più duri sui quali andare a giocare. Chissà che non succeda la stessa cosa al Golden 1 Center?
PHOENIX SUNS
Quintetto: Eric Bledsoe (G), Devin Booker (G), T.J. Warren (F), Marquese Chriss (G/F), Tyson Chandler (C)
Panchina: Josh Jackson (F), Dragan Bender (F/C), Jared Dudley (F), Tyler Ulis (G), Alex Len (C)
Allenatore: Earl Watson (assistenti: Jay Triano, Tyrone Corbin, Nate Bjorkgren, Marlon Garnett, Jason Fraser)
Punti di forza: Alla Talking Stick Resort Arena (che celebrerà i cinquant’anni della franchigia di Robert Sarver) andrà in scena un’edizione dei Phoenix Suns in tono minore, con l’eterno Tyson Chandler in verniciato, e Alex Len (per lui è arrivata la Qualifying Offer) alle sue spalle. Devin Armani Booker è reduce da un 2016-17 a tratti entusiasmante (il famoso settantello rifilato a Boston), ma contraddistinto da troppi passaggi a vuoto, mentre resta da dirimere il rebus del playmaker che completerà il backcourt, col povero Knight ai box per la rottura dei legamenti del ginocchio destro, e Bledsoe, eternamente in predicato di trade e inadatto a coesistere con un altro realizzatore come Booker. Le posizioni di ala sono quelle con più talento, che però va a braccetto con l’inesperienza dei giovani; Chriss, Dragan Bender, Josh Jackson e Warren sono le alternative a disposizione di coach Watson.
Punti di debolezza: Come avete già capito l’età media e l’inconsistenza dei Suns sono in cima alla lista dei difetti di questo gruppo, perché in assenza di chiari titolari e leadership è difficile stabilire ruoli e responsabilità. Per giunta, Tyson Chandler potrebbe essere prossimo ad uno scambio che toglierebbe a Phoenix l’esperienza del big man californiano. Si era aperto uno spiraglio per rimpinguare il roster con la richiesta di trade da parte di Kyrie Irving, ma il GM Ryan McDonough non era disposto a separarsi da Jackson.
Così, non se n’è fatto nulla, ed è un peccato perché Irving avrebbe risolto molti degli equivoci di questo roster, e Josh Jackson ci sembrava onestamente sacrificabile, anche alla luce di un carattere inquieto e levantino. Al netto della tostissima ala da Kansas, Phoenix è rimasta sostanzialmente la stessa dello scorso anno (coach Earl Watson incluso, che non ci è sembrato un drago ma aveva un compito oggettivamente difficile), quindi sarebbe illogico attendersi un esito troppo diverso rispetto a quello (fallimentare) del 2016-17.
Previsione: I Suns hanno troppo talento per fare una stagione da squadra materasso, ma al contempo non andranno molto lontano, a causa dei troppi equivoci tecnici presenti nel roster (da dove devono arrivare i punti? Chi tratterà la palla? Davvero crediamo che il rookie Peters spazierà il campo?) quindi pronostichiamo una Regular Season da 24-58, con magari di mezzo uno scambio alla trade deadline che coinvolga Bledsoe.
L’idea di fondo è di dare minuti ai giovani, senza pensare troppo a vincere e senza cercare aiuto nei veterani (si è proposto anche Stephon Marbury. Dai, non ridete!) come hanno fatto Kings e Lakers, e sarà interessante seguire Phoenix per capire la bontà di questa strategia manageriale che riecheggia in parte la filosofia di Sam Hinkie. Josh Jackson, eccellente atleta e difensore, sarà chiamato sin dal primo giorno a marcare l’esterno più forte degli avversari, nell’intenzione di svilupparlo alla Kawhi Leonard, per intenderci.
Gli facciamo quindi i nostri più sinceri auguri, perché questo ci sembra esattamente il tipo di contesto che invita i giocatori a chiudersi a riccio, rifugiandosi in giocate sicure, che non mettano a repentaglio le cifre a referto, e cioè l’esatto opposto della mentalità di San Antonio. Lo stesso vale per le ali, la cui crescita andrebbe guidata e incanalata da veterani che ne velocizzino la curva d’apprendimento, perché c’è il concreto rischio che all’ennesima sconfitta subentri lo scoramento.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Ciao Francesco, Come stai?
Grandissimo articolo! Un solo appunto sui Clippers: Teodosic, gallinari e gli altri potranno anche dare una buona mano, ma per me non potranno certamente sostituire Paul secondo me!
Non potranno certamente sostituire Chris Paul secondo me, scusa ho sbagliato a scrivere!
Sostituire una stella “per comitato” è sempre molto rischioso, non ci piove, ma al netto delle diverse caratteristiche, sono molto curioso di vedere in campo questa squadra, anche perché dirà qualcosa di significativo sul reale valore di Doc Rivers, le cui quotazioni sono in declino.