Si fa un gran parlare dell’evoluzione dei big men in NBA, categoria che non si riconosce più negli standard di dieci anni fa e che certe squadre, Golden State Warriors in primis, stanno sradicando dal gioco.
Per mantenere la cittadinanza sotto canestro occorre essere specialisti della difesa, sia sul perimetro che nel pitturato, oppure offrire una gamma di opzioni offensive degne di un’ala. È la direzione in cui si muovono Karl-Anthony Towns, Joel Embiid, Kristaps Porzingis, Anthony Davis, anche se le carriere sinora povere di successi faticano a imporre un autentico trend.
Lauri Markkanen è proiettato tra le prime dieci scelte del prossimo draft e promette d’inserirsi da subito in questa progenie. Non solo; ha il potenziale per imprimere un’ulteriore svolta nell’interpretazione del ruolo ridefinendo quello che intendiamo per “lungo tiratore”.
Ma andiamo con ordine. Markkanen, finlandese, è figlio d’arte. Il padre Pekka giocò per Roy Williams a Kansas prima di tornare nei campionati europei. È il terzo del proprio paese a tentare l’avventura in NBA, dopo Erik Murphy e Hanno Mottola, ma il primo a guadagnarsi una chiamata in zona lottery; inutile dire che un suo successo oltreoceano farebbe schizzare alle stelle la popolarità della lega e del basket per intero in un paese di 5 milioni di abitanti che ha poco interesse per la palla a spicchi.
Le prospettive sono ottime, se consideriamo che Markkanen ha già affrontato con risultati insperati il trasferimento dalla seconda serie finlandese agli Arizona Wildcats della PAC-12, da subito trattato come il gioiello nello schieramento di Sean Miller.
Una stagione di tutto rispetto, conclusasi alle Sweet Sixteen del tabellone nazionale, dove Markkanen ha collezionato 15.6 punti di media con oltre 7 rimbalzi in 30 minuti abbondanti. La lunga permanenza media sul parquet già stupisce, perché è raro che un lungo inesperto regga la competizione senza caricarsi di falli.
Markkanen non è un difensore di primo livello, ma è un giocatore intelligente anche nella propria metà campo. Il dato che spicca però è il 42.3% nelle conclusioni dalla distanza, con oltre 4 tentativi a partita. Pur mostrando lampi di azioni in post, tutte da rifinire, il gioco offensivo del finlandese è quello di un’ala piccola.
Esce dai blocchi e mette i piedi a posto in un attimo, ha un rilascio rapido e molto fluido anche in situazioni di scarso equilibrio, non teme i tiri contestati e sa scoccarli anche dal palleggio e in step-back; è inoltre capace di battere il close out partendo in palleggio con entrambe le mani per poi concludere in avvicinamento grazie a dita sensibili e l’appoggio sul tabellone.
Sean Miller non ha esitato un attimo nel dargli fiducia anche come portatore di palla, sfruttandolo nei due ruoli del pick and roll. Ovviamente, con un tiro così preciso, è letale quando si apre per la soluzione pop.
A costo di ripeterci: fidatevi, un sette piedi con un tiro del genere difficilmente l’avete già visto – a meno di considerare tale Kevin Durant. Se sfonderà tra i professionisti, Markkanen potrà riscrivere i confini tracciati da Dirk Nowitzki e sarebbe pertanto significativo se a sceglierlo fossero proprio i Mavericks.
Ma stiamo parlando di un’ala piccola nel corpo di un centro, o di un centro col talento di un’ala piccola? La differenza è sostanziale, su di essa si fonderà il futuro del finlandese.
Il suo spot naturale è quello di 4, ma con le dinamiche dell’NBA contemporanea si ritroverà spesso come giocatore più alto in campo, all’interno di quintetti piccoli. Il suo fisico rispetta, in effetti, i parametri di un centro. 213 centimetri e 103 chili, con buoni margini di crescita in termini di muscolarità, già discreta, e forza pura, per ora non pervenuta.
L’ottimo controllo del corpo che Markkanen mostra in attacco è senz’altro connesso a un fisico atletico, ma Lauri fatica a tradurre le sue abilità sul versante difensivo, anche per un problema tecnico. Quando si trova in marcatura sul perimetro, evenienza che gli capiterà spesso al piano di sopra, la postura è errata, sbilanciata in avanti e i piedi, seppur veloci, si muovono più del necessario.
Gli attaccanti NBA, sia fulminei che potenti, lo metteranno a dura prova. Sotto canestro se la cava meglio ma non è il rim protector che vorresti, e non vanta nemmeno l’esplosività di un Porzingis, utile anche a rimbalzo.
A differenza dello stesso lettone, è probabile che Markkanen abbia bisogno di un periodo di assestamento più lungo per adeguarsi ai ritmi della NBA o i suoi difetti, ben mascherati al livello collegiale, lo porterebbero in pochi minuti lontano dal parquet.
Dallas avrebbe la pazienza di farlo crescere sotto l’ala di Nowitzki in un ideale passaggio di consegne ma ci sono altre squadre, un po’ più frettolose, che hanno messo gli occhi su di lui: i Kings con la pick numero 10, per esempio, o addirittura i Timberwolves con la 7 per costruire un’ambiziosa accoppiata con Towns.
L’impressione è che un giocatore dal talento offensivo di Markkanen, abbinato all’altezza di cui dispone, troverà sempre spazio in una NBA bramosa di stretch four o, perché no, stretch five: magari in uscita dalla panchina, contro quintetti a lui più congeniali.
Ma se il suo gioco dovesse trovare la quadratura – come ha fatto lo stesso Nowitzki, che non è mai stato un difensore eccelso -, staremmo invece parlando di tutt’altro prospetto: uno di quelli in grado di riportare le luci dei riflettori sui big men.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
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