Marco Belinelli è il re delle triple. All’ultimo All Star Game ha sbaragliato la concorrenza di star come Stephen Curry, Damian Lillard, Kevin Love, Kyrie Irving, Joe Johnson e di uno specialista come Arron Afflalo.
In finale ha eliminato il giovane rampante Bradley Beal dei Wizards. Il titolo è suo, la gioa è nostra. Grande Marco, che bella soddisfazione per l’Italia appassionata di NBA.
E’ la prima volta che un italiano vince qualcosa, sia a livello personale che di squadra. Sorvoliamo su Bargnani numero 1 al draft, un altro merito e un altro primato, non conquistato sul campo e peraltro ampiamente svuotato da una carriera deludente.
Si può discutere se sia giusto sparare i botti per una gara semiseria in un All Star Game ma a ben guardare la lista dei campioni passati questo successo ha un valore altissimo.
Il primo fu Larry Bird e, come diceva Peppino con Totò, ho detto tutto. Forse meglio cambiare registro. Si vedano i partecipanti soltanto per quest’anno. Sono nomi di alto lignaggio. Ed hanno perso.
Spulciando bene nell’archivio storico troviamo anche lui, lui si, il più grande di tutti. C’è Michael, certo, MJ. Nel 1990 dovette soccombere, per la prima ed unica volta, ad un suo compagno di squadra che fin lì gli portava la borraccia negli allenamenti, lo specialista Craig Hodges.
Ad oggi quella sua prestazione è la peggiore di sempre, 5 punti miseri. Del resto Michael non conosce mezze misure, il numero 1 di sempre è anche il peggior GM della storia, vedasi Kwame Brown prima scelta assoluta.
Dunque, Larry Bird e Michael prima di Marco. Due ragazzi non proprio passati inosservati. Michael il grande competitivo che fa il peggior score della storia rende l’idea della serietà della gara ?
Nella sua vita non ha mai voluto perdere nemmeno uno shootaround mattutino, figuriamoci nel contesto di un All Star Game davanti ad un pubblico mondiale.
Marco oggi deve solo completare l’opera ed è l’italiano più pronto. Vincere un titolo NBA. Bargnani è nel pantano dei Knicks, Gallinari è infortunato e comunque Denver è ancora immatura, Datome raccoglie le briciole in una squadra futuribile ma non pronta per il grande salto.
Marco è a San Antonio, nella casa dei vicecampioni in carica, nella casa dei Big Three e di coach Popovich. Un’opportunità quasi unica, vista l’età dei suoi compagni di squadra che hanno nelle mani le chiavi di quelle segrete stanze texane.
Non solo è l’unico sulla rampa di lancio, è anche quello che se lo merita di più. E’ risaputo come sia tra tutti e quattro il più appassionato amante del gioco.
Per i suoi coetanei era “bello andare in giro per i colli bolognesi” con la Vespa Special, per Marco nostro da San Giovanni in Persiceto il sogno aveva un indirizzo americano.
Per farlo ha scalato la gerarchia passo dopo passo, iniziando dal campetto sotto casa ai Giardini Margherita di Bologna, nel Rucker Park italiano della città che più respira di basket nella nostra penisola.
Prima la Virtus, poi la Fortitudo, da una sponda all’altra di quel derby favoloso. L’America vede il talento di una guardia purissima, col tiro a posto, con i movimenti veloci, con l’atletismo al punto giusto, completo, deciso, fantasioso, un gioiello nel nostro campionato, un’incognita oltreoceano dove i pari corrono e saltano il doppio.
Ma palla in mano Belinelli ha dimostrato negli anni che la NBA gli compete. Arriva per la prima volta negli USA per il draft, come ha ricordato candidamente in una memorabile intervista con Federico Buffa.
Per un amante del gioco come lui è più del sogno che si realizza, più degli altri, e da quell’intervista mi sta ancora più simpatico.
Inizio difficile nella Baia, dove per tutti è Rocky, per via della somiglianza e di quegli stereotipi che oggi si diradano seguendo il flusso verso l’alto di quel trofeo del 3 point Challenge orgogliosamente nelle sue mani.
Passa a salutare Bargnani a Toronto ma la svolta è a New Orleans e poi in un anno intenso a Chicago favorito dai numerosi infortuni.
Marco non è un tiratore puro. O meglio, non è solo un tiratore, è molto di più. Lo ha capito Popovich, per cui sta giocando 25 minuti di media con ottimi risultati.
Non lo si può giudicare dai numeri, non dalla leadership, nel contesto NBA si è guadagnato ormai la fama di tiratore e questo gli giova per le rigide dinamiche tutte interne alla lega ma è solo il mezzo migliore per emergere.
Mettilo in una squadra forte, magari fallo anche uscire dalla panchina, impartiscili due ordini precisi, tirare e difendere e giudicane l’esito.
Magari non è il mondo ideale, però per lui è la dimensione migliore, non so se possa compiere un ulteriore passo in avanti per una qualsiasi squadra NBA, in questo Gallinari è in pole position per futuro da possibile leader o quasi, ma è l’occasione della vita.
Adesso è nel puzzle perfetto, ha il riconoscimento “ufficiale” di essere il migliore da tre, comunque realisticamente è uno dei migliori, non può sbagliare.
Parafrasando il suo conterraneo Pupi Avati tutti noi ripetiamo quest’anno la stessa domanda di sempre. Ma quando arrivano gli anelli ?
C’è un LeBron o un KD di troppo, siamo quasi all’ultimo assalto per la banda di Pop ma si può fare, non stiano vaneggiando.
Bene, dipenderà anche da Marco, anzi, dipenderà un bel po’ da lui, ricordiamoci ancora gli anni sul groppone di TD e Manu.
Non possiamo ancora festeggiare, sul serio, ma facciamo un po’ il tifo per lui. Già buttarla giù così è una vittoria, non era proprio scontato che un italiano sia nel campo per contribuire alla conquista di un titolo NBA.
Sui colli bolognesi o dovunque, vero Marco, ma quanto deve essere bello andare in giro con un anello al dito…
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”
Belinelli penso abbia stupito un po’ tutti. Ha dimostrato di essere un vincente, uno che nonostante un fisico normale, ha raggiunto un livello mostruoso.
Quando ho letto che partecipera’ alla gara dei 3 punti e poi la sua dichirazione che avrebbe dovuto prepararsi specificamente per questo evento, mi son detto “vedrai che alla fine la vince”.
Perche’ Belinelli e’ cosi: e’ semplicemente il giocatore italiano + cazzuto di tutti i tempi.. In mezzo ai grandi dell’NBA, senza quasi farsi notare, si fa preparare schemi per l’ultimo tiro..
bell’articolo.
“Non lo si può giudicare dai numeri, non dalla leadership, nel contesto NBA si è guadagnato ormai la fama di tiratore e questo gli giova per le rigide dinamiche tutte interne alla lega ma è solo il mezzo migliore per emergere.
Mettilo in una squadra forte, magari fallo anche uscire dalla panchina, impartiscili due ordini precisi, tirare e difendere e giudicane l’esito.”
Ecco, condivido in pieno!