Per il calendario NBA, gennaio coincide col giro di boa della regular season e come ogni anno in questo periodo arrivano i primi bilanci. Si inizia a parlare della grande sorprese, delle delusioni, di quelle squadra che “te l’avevo detto io che sarebbero esplosi” e dei cuori infranti.

A detta di molti una delle grandi delusioni di questa prima parte di stagione sono i Minnesota Timberwolves, e per molti versi è anche vero.

Partiti con il vento dell’hype in poppa i giovanissimi T’Wolves guidati dal nuovo allenatore, il santone Tom Thibodeau, hanno piano piano frenato gli entusiasmi e fatto sorgere dubbi e perplessità sul loro reale valore.

Dopo 41 partita (la metà esatta della regular season) il loro record recita un misero 14-27 ed è farcito da sconfitte davvero brutte, prestazioni sbiadite, confusione e incapacità (quasi) cronica di gestire i momenti delle partite.

Tra le cose più brutte della vita c’è sicuramente il caricare di aspettative eccessive qualcosa che aspettiamo da anni per poi veder arrivare il fatidico giorno e rendersi conto che la realtà è molto diversa, che abbiamo preso una gran cantonata, un poco alla volta.

Ma siamo sicuri che Minnesota sia davvero una delusione? O meglio: siamo sicuri che 41 partite bastino a inquadrare perfettamente la situazione dei T’Wolves tanto da potersi sbilanciare su commenti/possibili cambi/frustrazioni su un progetto così interessante, nonché giovane?

Quello che è più utile fare è un’analisi su questi primi 3 mesi di Minnesota, cercando di capire poi quali strade il front-office (e quindi Thibodeau) potrebbe percorrere e soprattutto se è il caso di iniziare a preoccuparsi davvero.

Effettivamente per adesso di progressi rispetto ad un anno fa se ne sono visti pochi. L’OffRtg della squadra è leggermente migliorato, salendo a 106 punti segnati (su 100 possessi) rispetto ai 104.3 dell’anno scorso, mentre il DefRtg è quasi uguale (107.4 contro i 107.1 di un anno fa).

Minnesota non è migliorata granché neanche in altre voci statistiche, peggiorandone addirittura alcune come la percentuale di canestri assistiti, scesa dal 61.9% della gestione Mitchell al 59.4% di quella Thibs. Insomma nel complesso non bene.

Eppure Minnesota è in grado di giocate di livello assoluto come questa. Prima Dieng stoppa Harden prendendogli il tempo perfettamente, poi Wiggins spinge la transizione lasciando andare una palla tutt’altro che facile per Towns che controlla il corpo meravigliosamente per un sette-piedi e finisce con un colpo di fioretto delicatissimo.

Dove Minnesota sta facendo meglio è a rimbalzo, quarta squadra nella lega per rimbalzi totali catturati col 51.9%, terza in quelli offensivi (27.3%) grazie al grande utilizzo di due lunghi puri e predisposti in questo fondamentale come Towns e Dieng.

Con l’arrivo di Thibodeau si è parlato molto di come l’ex allenatore dei Chicago Bulls avrebbe migliorato la difesa dei T’Wolves, ma per adesso sta incontrando più difficoltà del previsto a trovare una mescola efficace, e forse anche a far digerire i suoi concetti tattici. Indubbiamente occorre più tempo per poter esprimere un giudizio, e soprattutto per poter assimilare bene tutto il necessario, ma per adesso le cose non stanno andando bene.

I T’Wolves concedono un insostenibile 62.7% (quartultimi nella lega) in restricted area e anche nella restante pitturato non vanno meglio, sestultimi col 44% concesso agli avversari.

La stagione di Minnesota è un vero e proprio rebus fatto di incongruenze e difficili soluzioni. Già solamente parlando della difesa dell’area si apre un vaso di Pandora difficile da decodificare.

Infatti sia Towns che Dieng sono buoni rim-protector ma la loro presenza in contemporanea porta spesso Towns a dover difendere lontano dal ferro ― sul perimetro, dove i suoi numeri peggiorano vertiginosamente ― rendendolo meno efficace in aiuto ed impedendogli di planare sopra il ferro a spazzare via tutto. Ma la presenza di Dieng è comunque importante perché quando l’ex-Louisville è a sedere i T’Wolves crollano ad un improponibile 110.1 di DefRtg.

In più spesso gli avversari cercano di portare LaVine e Wiggins vicino a canestro, dove entrambi faticano moltissimo; LaVine addirittura concede ai propri avversari il 12% in più rispetto alle loro medie in stagione, negli ultimi due metri. Inutile dire che è tra i peggiori dell’intera lega.

I numeri difensivi di entrambi sono peggiorati rispetto ad un anno fa ― così come quelli di Towns ― e quando sono in campo contemporaneamente Minnesota in difesa semplicemente collassa. La line-up a tre giocatori con le tre stelle ha tenuto per adesso un terribile 112.1 di DefRtg che semplicemente non è sostenibile.

La mancanza di comunicazione tra Wiggins e Towns, sommata alla riluttanza di quest’ultimo di voler difendere troppo lontano dal ferro generano una tripla piedi per terra per Anderson. La cosa più preoccupante però è la piccola piroetta di Wiggins che sembra quasi disorientarlo per una frazione di secondo, diventando fatale. Un errore di concentrazione in un periodo così delicato della partita (che i T’Wolves avrebbero poi perso al supplementare) non è giustificabile, neanche con la giovane età.

A completare il tutto c’è anche che Minnesota è una squadra molto scostante, in grado di offrire diverse facce (della propria medaglia) di partita in partita, o peggio di quarto in quarto.

Nei primi due quarti i Timberwolves sono una squadra solida, efficace. Il loro OffRtg sale a 110 punti su 100 possessi (addirittura oltre i 112 nel solo primo quarto) e anche la difesa migliora visibilmente (104.6 di efficienza difensiva). Se le partite durassero solo ventiquattro minuti Minnie avrebbe il sesto miglior Net Rating della lega (5.7) dietro solo a Warriors, Spurs, Cavs, Houston e Toronto.

Ma inesorabile arriva il terzo quarto, gelido come il vento del Midwest. In questi dodici minuti la squadra si squaglia come neve al sole fino a raggiungere un disastroso -10 di NetRtg, segnando meno di cento punti (sempre su 100 possessi) e spesso rovinando quanto di buono fatto fino ad allora, visto infatti come molte delle sconfitte sono figlie di questo Terzo Quarto Maledetto.

La giovane età di molti dei componenti del roster, e soprattutto dei giocatori di riferimento ― che non dimentichiamoci due/tre anni fa giocavano ancora al college ―, può aiutare a capire gli sbalzi di tensione, ma a volte sembra come l’emotività della squadra sia ancora troppo fragile e basti davvero poco per spezzarne equilibri e punti di forza.

Quando Minnesota riesce a passare indenne questo periodo, spesso ha avuto comunque problemi nel chiudere le partite, facendosi rimontare o finendo col perdere nei minuti finali in più di un’occasione; peggio, ma non meno frequente, il non saper portare a termine le rimonte.

Nelle quattordici vittorie i T’Wolves sono invece un’altra squadra: controllano meglio area (dove le percentuali crollano dal 44 al 35%) e il perimetro (30% concesso invece del 35 abbondante di media), ma soprattutto diventano la miglior squadra della lega nel contro del mid-range col solo 34.2% concesso. Due squadre totalmente diverse. E lo stesso discorso vale per la metà campo offensiva.

A sinistra la mappa di tiro dei Wolves di questa stagione; a destra invece quella nelle vittorie di Minnesota

In realtà qualche cambiamento in attacco si inizia intravedere rispetto alla passata stagione, quantomeno nelle scelte. La squadra di Thibodeau infatti sta prendendo più triple rispetto ad un anno fa, anche se ancora molte meno rispetto alla media della lega, a discapito di tiri da due (la cui frequenza è scesa dal 79.8 al 72.9%) dal mid-range, i cosiddetti long-2s.

La mappa di tiro però non è ancora delle migliori: Minnie tira pochissimo dagli angoli ― e neanche troppo bene, fuori dalle prime dieci ― e più in generale male da oltre l’arco (un misero 33.2%); non va meglio dentro l’area dove il numero di tiri presi dal mid-range rimane comunque troppo alto (22 tentativi a partita) per una squadra col 40.4% di realizzazione, nonostante la vena ispirata di Dieng, che sui quasi quattro tentativi a partita sta tirando col 50.7% (secondo in tutta la NBA dietro al solo McCollum).

Spesso i giocatori dei T’Wolves si accontentano di questa soluzione ― Wiggins addirittura ne prende oltre i sette a partita ― col risultato di muovere poco le difese avversarie e allargando poco il campo, cosa che sarebbe necessaria per una squadra non sempre affidabile al tiro.

Inutile dire come anche qui ci sia una differenza netta tra prima e seconda frazione di gioco. Gli stessi Timberwolves che nei primi due quarti tirano col quasi 40% da oltre l’arco, scendono al 28 scarso nei restanti due (27.6 addirittura nel Terzo Quarto Maledetto). Il 50% dagli angoli scompare, lasciando spazio ad un povero 39% in area che darebbe poche chance anche a squadre ben più forti.

Da tenere d’occhio in attacco è senza dubbio la situazione di Towns. È vero che è passato dai 18.3 ai 22.3 punti di media a partita ma rispetto alla sua grandissima stagione da rookie ha peggiorato tutte le sue statistiche di tiro; nonostante stia limando, in meglio, il suo gioco ― più tiri da sotto, meno mid-range, più triple, anche dagli angoli ― la sua efficienza è da monitorare.

Così come iniziare a preoccupare la gestione offensiva di Wiggins, con scelte spesso sbagliate ed una mole di gioco che poggia su un jumper dalla media di distanza non sempre affidabile ne eccessivamente punitiva per gli avversari (che infatti spesso glieli lasciano).

LaVine ha quasi raddoppiato la sua produzione da fuori, passando da 3.9 a 6.9 triple tentate a partita con un 41.3% che assomiglia ad un cielo azzurro in un pomeriggio d’inverno. Nella metà campo offensiva forse è proprio lui la notizia migliore della prima parte di stagione.

Per una squadra che fa così poca transizione offensiva e che gioca ad un ritmo molto basso (il PACE è sceso ancora rispetto all’anno scorso, poco sopra i 96 possessi) sarebbe molto importante tirare bene da tre punti, cosa che i Timberwolves non fanno sempre. LaVine è uno dei pochissimi giocatori a roster sopra il 40%, per certi versi l’unico visto lo scarso impiego di Rush, Muhammad e Tyrus Jones e di conseguenza i pochi tiri presi.

https://www.youtube.com/watch?v=roUyYnkIzlw

Tutto l’arsenale offensivo di Zach LaVine

Tra le caratteristiche di Thibodeau c’è quella di alzare (di molto) i minutaggi dei propri giocatori principali, e così sta accadendo anche a Minnesota. Le tre giovani stelle sono tra i primi dieci giocatori della lega per utilizzo ― tutti abbondantemente sopra i 35 minuti di media ― e come detto per adesso non sembrano funzionare troppo bene assieme (-4 di Net Rating).

Lo starting-five è di gran lunga il quintetto più usato con oltre 750 minuti di utilizzo e di spazio per gli altri ad oggi ce n’è stato poco, ma non necessariamente per demeriti. Ad esempio i migliori quintetti difensivi hanno al loro interno Kriss Dunn e Shabazz Muhammad. Il terzetto composto da loro due più Dieng ha fatto registrare un notevole 87.7 di DefRtg seppur in 139 minuti e con loro anche LaVine (85.8 di efficienza difensiva – 18.1 di NetRtg), Wiggins e Towns (72.3 DefRtg – 25.1 NetRtg) sembrano rendere molto meglio.

In nessuno dei quintetti migliori compare Ricky Rubio, per il quale il futuro in Minnesota sembra sempre più incerto: recentemente sono uscite voci sulla volontà di cederlo, ma anche qui ― nonostante bisognerebbe capire chi potrebbe essere intenzionato a prendere il giovane spagnolo, e soprattutto cosa potrebbero avere in cambio i T’Wolves ― occorre prudenza nell’affermare che sia lui la causa di tutti i mali.

Ad esempio: la line-up senza Rubio e con Dunn, candidato a sostituirlo in futuro, ha fatto peggio nei 130 minuti giocati (-6.2 di NetRtg), mentre quella con Jones ha giocato troppo poco (solo trentaquattro minuti) per poterla prendere in considerazione.

Un Jones che però quando è stato utilizzato non ha fatto male, visto che nei 240 minuti con lui in campo Minnesota viaggia vicino ai 110 punti segnati e l’ex-Duke viaggia con un valore di AST/Ratio (16) più alto di quello di Dunn. Così come non hanno fatto male Muhammad o Bjelica, soprattutto in difesa; ciò nonostante si parla spesso di un possibile addio di Muhammad. Insomma un bel groviglio, diciamo così.

Lo spacing di Minnesota migliora sensibilmente quando in campo c’è solo uno tra Dieng e Towns. Qui ad essere determinante è la pericolosità di LaVine nel tiro da fuori che decide di non accontentarsi della prima scelta (from good to great) ma di attaccare il recupero e riaprire per una tripla in ritmo di Bjelica.

La sensazione più immediata è che forse occorrerebbe rimescolare un po’ le carte nel roster di Minnesota, o quanto meno andare a prendersi giocatori in grado di aprire il campo in attacco e poter difendere su diversi tipi di giocatore dall’altra parte; l’impossibilità di Rubio di farsi rispettare sul perimetro uccide spesso lo spacing e se LaVine e Wiggins non possono incidere offensivamente diventa impensabile di poterseli permettere contemporaneamente sul campo. Così come la presenza di Dieng per così tanti minuti impedisce a Towns di potersi muovere liberamente, decidendo lui come comportarsi sui pick-and-roll, vista la riluttanza del centro senegalese di lasciare il pitturato.

Thibodeau sta cercando di capire fino a dove è possibile arrivare con questo core ed è comprensibile il perché stia utilizzando così tanto gli stessi giocatori. Il talento a disposizione è enorme e nessuno avrebbe voglia di liberarsene senza prima aver provato tutto il possibile. Ma la chimica inizia a destare sospetti e forse occorrerà rinunciare a qualche cristallo pregiato in cambio di cemento armato solido per le fondamenta.

Per poter aver un primo quadro completo si dovrà aspettare almeno la fine di questa stagione, di modo da avere dei parametri ancora più precisi su cosa sono (e soprattutto sarebbero) in grado di fare i T’Wolves con questi giovani talenti. Occorre ripetersi su questo punto visto che le tre principali stelle fino a tre anni fa giocavano al college ― due addirittura nel caso di Towns ― e i pochi mesi sotto la guida di un nuovo allenatore. San Antonio non è stata costruita in un giorno.

È dunque ancora troppo presto per esprimere giudizi definitivi, ma qualche suggestione si può iniziare a pensarla. La presenza di una stella più esperta per esempio potrebbe aiutare a far crescere la mentalità della squadra, aiutandola a risolvere il problema degli sbalzi nel corso delle partite.

La stella principale, su cui far ruotare la franchigia, è senza dubbio Karl-Anthony Towns e se Thibs riuscisse ad affiancargli qualcuno in grado di supportarlo senza oscuragli il ruolo di leader sicuramente potrebbe giovare a tutti.

Un nome che si era fatto con insistenza la scorsa estate era quello di Jimmy Butler, che con Thibodeau è esploso e che conosce perfettamente i suoi metodi, nonché sarebbe un fit perfetto per una squadra che ha bisogno di maggior presenza difensiva. I Bulls avevano rifiutato ogni offerta che non comprendesse LaVine all’interno, ma difficilmente i Timberwolves avranno voglia di privarsi di lui.

Nonostante i limiti difensivi Minnesota non può rinunciare all’unico tiratore affidabile in squadra, capace inoltre di poter far valere il suo atletismo sia a rimbalzo che nel portare pressione difensiva (caratteristiche importanti nel basket di Thibodeau) e di poter controllare i ritmi dell’attacco fungendo da playmaker aggiunto.

Qualche pensierino in più si potrebbe fare su Andrew Wiggins, che nonostante sia il secondo realizzatore della squadra potrebbe assomigliare molto a quel cristallo da sacrificare. Intendiamoci: Wiggins è ancora uno dei giovani più interessanti della NBA ed a un fisico longilineo e dinamitardo sta aggiungendo un tiro che rispetto ai suoi inizi nella lega potremmo definire rispettabile.

Era partito fortissimo, soprattutto dalla lunga distanza, anche se poi ha rallentato ma la sua meccanica di tiro sembra effettivamente migliorata. Ma la sua capacità di scelta che sembra preoccupare e per uno dotato di quei mezzi spessi sembra accontentarsi del minimo, sfidando le lune buone al tiro che non sempre arrivano.

In questo gioco a due tra Wiggins e Towns Gallinari decide di passare dietro il blocco, preoccupato più di una possibile penetrazione che di un jumper di Wiggins. Nonostante l’ex prima scelta assoluta dei Cavs abbia iniziato la stagione con un clamoroso 55% da oltre l’arco le difese non si sono riaggiustate molto su di lui, continuando a scommettere sulla fragilità del suo tiro che, nonostante sia migliorato, continua ad essere instabile.

Minnesota potrebbe pensare di farne a meno sacrificandolo sull’altare di un paio di 3&D ma è quasi impossibile che questo accada prima della fine della stagione. Più probabile potrebbe essere la partenza di Rubio visto che ci sono molte squadre alla ricerca di playmaking, ma bisognerebbe prima chiedersi quanto possa valere realmente Rubio nella NBA di oggi ― non poco sia chiaro, ma neanche offerte clamorose.

Liberare più minuti per Dunn potrebbe essere una cosa buona per farlo crescere più rapidamente: come per gli altri giovani talenti anche lui è dotato di un atletismo superiore e nella metà campo difensiva sta già dando prova di sposare bene il gioco di Thibodeau, ma dall’altra parte è ancora troppo acerbo, giocate da circo a parte.

Sarebbe interessante vedere anche più minuti per Bjelica e Muhammad, capaci entrambi di ricoprire entrambi gli spot di forward e ― seppur con caratteristiche diverse ― in grado di dare versatilità (il primo) e fisicità alla difesa. Bjelica non sta tirando benissimo da fuori, il che spesso costringe l’allenatore a doverne fare a meno ma sia lui che Muhammad permettono a Towns di giocare da centro, potendo agire in zone del campo (in entrambe le metà campo) che più gli si confanno.

La presenza di forward duttili potrebbe far decrescere l’utilizzo di Dieng, ad oggi considerato fondamentale; gli scenari che potrebbero aprirsi vanno da una sua partenza ― che non sarebbe consigliabile ― ad un suo impiego ridotto magari uscendo dalla panchina e giocando con le second-unit, sfruttando la sua capacità di difesa del ferro e il suo jumper sempre più solido dal mid-range.

Altra situazione di buono spacing con un solo centro in campo. LaVine è bravo prima a prendere i due blocchi ravvicinati di Bjelica e Dieng, attaccare il recupero e riaprire fuori dove Bjelica trova Muhammad con l’extra pass per una tripla in ritmo dall’angolo.

I T’Wolves potrebbero avere spazio salariale a sufficienza per tentare qualche big nella prossima free agency, o quanto meno per assicurarsi qualche role player migliore di Aldrich e Brandon Rush (nonostante quest’ultimo nei pochi minuti giocati non abbia fatto malissimo), vista la quantità di buoni giocatori che andranno in scadenza quest’estate. Per fare due nomi, che per motivi diversi potrebbe incastrarsi bene nel contesto attuale, Paul Millsap o Otto Porter potrebbero essere strade percorribili.

La strada però è ancora molto lunga, e c’è ancora la seconda parte di stagione da giocare. Stagione che potrebbe ancora finire in tutti i modi per Minnesota visto il livello non irraggiungibile delle pretendenti all’ottavo posto ― in questo momento occupato da Denver ― e soprattutto le sole tre partite di distanza. Considerando anche il calendario non impossibile da qui a prima della pausa per l’All-Star Game è tutto ancora aperto.

E questa è forse la considerazione migliore da fare: si parlerebbe di Delusione Timberwolves se avessero vinto anche solo 4-5 di quelle partite finite punto a punto, o rovinate nel Terzo Maledetto Quarto? Se nonostante tutti i limiti e gli errori ― che innegabilmente ci sono e vanno presi in considerazione ― Minnesota fosse in una posizione di classifica diversa, avremmo davvero la stessa opinione di hype infondato; accetteremmo con lo stesso rammarico quello che per molti inizia ad essere una stagione (ed un progetto) fallimentare?

Forse bisognerebbe ripensare a come vediamo la realtà, a cosa condiziona realmente la nostra capacità di giudizio; ricalibrare la nostra conoscenza secondo valori più concreti, o quantomeno migliori, che ci permettano di vedere le cose sotto un angolazione diversa, magari più vicina (o più competente, decidete voi) alla verità.

Indubbiamente Minnesota sta affrontando più difficoltà di quanto la nostra concezione di mondo perfetto ammettesse all’inizio della stagione ma come per tutte le cose della vita solo il tempo potrà dare un giudizio definitivo, e tre mesi non sono neanche lontanamente sufficienti per poter valutare questa situazione. Lo sono per farne un primo bilancio e per poter iniziare a capire quale sia la strada migliore da percorrere. Per tutto il resto l’appuntamento è per il prossimo giugno, at least.

2 thoughts on “Un primo bilancio dei nuovi T’Wolves

  1. Ultimamente sono in risalita (5 vittorie nelle ultime 7 gare) e, calcolando che a Ovest l’ottava andrà ai playoff con un record ampiamente negativo, non mi stupirei di vederli finalmente ai playoff dopo 12 anni di digiuno (che in Nba, lega dove sono più le squadre che vanno ai playoff che quelle che non ci vanno, è davvero un’era geologica).

    Ci spero, perché sono la mia seconda squadra: come si fa a non provare simpatia per i Timberwolves?!

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