In questo inizio di stagione NBA per certi versi prevedibile – Cavs partiti a razzo sulle ali dell’entusiasmo, Warriors in rodaggio, Thunder un po’ in affanno e Heat in seria difficoltà – una delle più belle sorprese è data dai Los Angeles Lakers, orfani di Kobe ma con un nuovo condottiero in panchina.
Luke Walton, reduce da una prima annata da head-coach part-time da 39 vittorie e solo 4 sconfitte, sembra aver portato nella città degli angeli il suo tocco magico, trasformando nel giro di una estate una compagine senza né capo né coda in una squadra presentabile e piena di entusiasmo.
Player’s coach per eccellenza, amatissimo ad Oakland dove ancora rimpiangono la sua personalità tranquilla e rilassata, un po’ da figlio dei fiori – probabilmente ereditata dal babbo – ha una innata capacità di far sentire a proprio agio i giocatori, nel capirne al volo esigenze e tendenze, in campo e fuori.
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Figlio del grande Bill, lui stesso giocatore di discreto livello per 10 anni nella Lega, ha negli anni dimostrato di avere una intelligenza – cestistica e no – fuori media per il suo mondo, supportata però da un carattere easy ed empatico, dote che lo rende adatto sia a reggere la pressione di una piazza come L.A., sia ad entrare nelle grazie di uno spogliatoio reduce da anni di incomunicabilità con Byron Scott.
Allo stesso modo in cui lo scorso anno è riuscito a motivare la squadra, Dreymond Green su tutti, ad andare a caccia del record di vittorie – tanto che Kerr, al suo rientro, dovette in più occasioni provare a tirare un attimo i remi in barca per evitare di arrivare stremati ai playoffs – così anche quest’anno il roster dei Lakers pare seguirlo ciecamente, autoconvincendosi già dopo poche giornate di non essere più Kobe dipendenti, bensì già competitivi contro qualunque avversario.
Impressionanti i progressi visti finora con D’Angelo Russell, finalmente leader in attacco ed attivo in difesa, e soprattutto Julius Randle, una “finta” ala forte alla Green ma con una maggiore propensione al gioco offensivo e qualche amnesia di troppo in difesa.
Anche il contorno per ora funziona, con Mozgov e Young tornati su buoni livelli, Clarkson e Williams entrambi candidabili per il titolo di sesto uomo dell’anno e Deng a fare da collante. Tutto questo in attesa dell’esplosione del nuovo Kobe, quel Brandon Ingram che in allenamento non ha rivali ma in partita fa – comprensibilmente – ancora un po’ fatica ad imporsi.
I tifosi Lakers, comprensibilmente, hanno già cominciato a sognare, ma il calendario finora è stato molto favorevole mentre adesso inizia un sestetto di partite diciamo impegnative: Spurs-Bulls- Thunder-Warriors-Warriors-Hawks.
Sarà un banco di prova molto importante per una squadra giovane ma che, all’improvviso, sembra aver ritrovato una via ed una speranza per il futuro – speranza che, spiace dirlo, era del tutto mancata negli ultimi anni della carriera di Kobe.
Max Giordan
segue l’NBA dal 1989, naviga in Internet dal 1996.
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