La storia delle Finals 2016 ruoterà per sempre intorno a Lebron James e all’ultimo episodio di una carriera che sta assumendo tratti leggendari.

Protagonista di una delle più grandi prestazioni mai viste nella storia del Gioco con cui ha messo a tacere (per sempre?) chiacchiere e dubbi sulla sua leadership e sulla sua capacità di emergere nei momenti chiave, è riuscito nell’impresa di portare il titolo a Cleveland, 52 anni dopo l’ultimo successo in Ohio.

Solo un anno fa James e quel che rimaneva dei Cavaliers dovettero arrendersi a Golden State. Kyrie Irving salutò dopo gara 1, Kevin Love era già KO dal primo turno: solamente la furia di Lebron, la trance agonistica di Dellavedova, l’energia di Thompson e l’inaspettata presenza scenica del russo Mozgov allungarono una delle serie finali più sbilanciate di sempre fino a gara 6.

Cleveland era arrivata alle porte del paradiso ma, complice un supporting cast non all’altezza, era stata costretta a guardare Curry e soci alzare al cielo il Larry O’Brien trophy.

Quest’anno la musica è stata diversa e, al netto dei difetti di questo roster, i Cavs hanno dimostrato di essere un team profondo che, se in salute, è in grado di supportare al meglio le ambizioni del 23.

L’analisi del supporting cast che ha accompagnato il King nella conquista del suo 3° anello non può non iniziare da Kyrie Irving: la prima scelta 2011, dopo le ultime finals, è ufficialmente entrato nel gotha delle migliori PG della lega.

Nelle ultime 5 partite ha viaggiato a 30 punti, 4 assist e 4 rimbalzi di media, propiziati da giocate sovrannaturali e da crossover letali che hanno messo a dura prova le caviglie dei difensori della Baia.

Ma, a far splendere il talento del prodotto di Duke, sono state soprattutto la sua durezza mentale e la sua capacità di fare le scelte giuste nei momenti decisivi. Nonostante fosse solamente la sua seconda partecipazione ai playoff e la giovane età (classe 1992), ha giocato come un veterano consumato da mille battaglie, elevando il suo gioco fino allo stepback decisivo, di sicuro il tiro più importante della sua carriera e già diventato un instant classic della storia del basket a stelle e strisce.

Il percorso di crescita di Irving, iniziato in estate con il recupero dal grave infortunio al ginocchio patito l’anno passato e culminato nella mamba mentality di gara 7, lo ha lanciato verso l’alto dove l’aria è rarefatta: i Cavs possono guardare al futuro tranquilli e fiduciosi, con Kyrie già eccellente copilota e superstar in divenire pronta a diventare l’uomo franchigia.

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Difficile dire lo stesso per Kevin Love, il giocatore che nei piani del front office avrebbe dovuto condividere con Irving il ruolo di secondo violino della squadra.

Love, tra i più attivi nei festeggiamenti finali, ha giocato dei playoff e delle finali al di sotto delle aspettative in cui il fresco 36enne Richard Jefferson è (quasi) sempre sembrata un’opzione migliore su entrambi i lati del campo.

Ciononostante, ha finito con una gara 7 solida giocata con la garra e l’impegno giusti: finalmente compatibile con Thompson, è riuscito a trovarsi a suo agio nel rovistare nella spazzatura della partita fornendo un vantaggio decisivo a rimbalzo e un insperato contributo positivo nell’asfissiante difesa di squadra predisposta da Tyronn Lue.

Alla fine ha chiuso con 9 punti, 14 rimbalzi, 3 assist e un notevole plus/minus di +19: il lungo da UCLA ha fatto tante cose importanti, dimenticando per quattro quarti difficoltà fisiche, tecniche e ambientali che ne hanno limitato l’impatto in Ohio.

Alla fine però sul titolo c’è anche la sua firma, grazie a quell’ultima azione difensiva su Curry, eroica, coraggiosa e competente in cui ha costretto Steph al mattone finale mostrando tutta la sua voglia di vincere: chissà che anche per lui non sia iniziato il processo di bosh-izzazione.

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Il successo finale lava e purifica tutto, difficoltà personali comprese, ma a mente fredda Cleveland dovrà ragionare sul futuro di questo giocatore che, nonostante una serie e dei playoff difficili, è comunque riuscito a riemergere mostrando grande forza d’animo. Il suo contratto è pesantissimo e degno di una superstar ed è difficile immaginare per lui un futuro da intimidatore d’area e difensore in questa squadra: Love è e rimane un grande attaccante ed un eccellente rimbalzista ed ha senso tenerlo solo riuscendo a integrarlo meglio negli schemi e nel progetto della squadra.

https://www.youtube.com/watch?v=8FlgjWJfLjQ

JR Smith, anche lui alla seconda finale consecutiva, ha iniziato le finals 2016 così come aveva terminato quelle 2015, ovvero sparando a salve (8 punti totali tra gara 1 e 2 a Oakland) e solo successivamente è riuscito a scrollarsi di dosso un po’ di pressione e ha chiuso con almeno 10 punti segnati in ognuno degli ultimi 5 episodi della serie.

In generale, si è dimostrato un uomo utile alla causa e capace di sostituire James e Irving nei rari momenti in cui si sono presi una pausa, come testimonia il minibreak firmato in gara 7 grazie ad un paio di giocate delle sue.

Da allora non ha più indossato una maglietta e ha anche regalato momenti importanti in sala stampa e nei festeggiamenti: in fondo, come ha detto candidamente la figlia Demi, “la più grande impresa di papà è stata quella di non farsi cacciare dalla squadra”!

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Tristan Thompson ha dimostrato, ancora una volta, di essere una macchina da rimbalzo e di valere tanti, se non tutti, i soldi del suo oneroso contratto da 82 milioni di dollari.

Tanti minuti in campo, energia e la capacità di correre molto bene sul campo: un incubo per i rimbalzisti di Golden State. I liberi vanno e vengono ma è stato fondamentale con i suoi blocchi per aprire il campo, puntuale nei tap in, al ferro e in difesa.

Con Bogut fuori, Ezeli inadeguato per questi livelli e Green chiamato a controllare le scorribande di James e Irving nel pitturato, Tristan è stato bravo ad approfittare dei mismatch ed aggredire i ferri: a conti fatti, il terzo uomo più importante del team.

Iman Shumpert non è mai riuscito ad incidere e porta a casa plus/minus molto negativi: confuso e confusionario sia in difesa che in attacco, di lui si ricordano solamente il taglio di capelli e un importante gioco da 4 punti in gara 7. Dellavedova e Mozgov, gli alfieri del Re nella campagna 2015, non sono riusciti a ritrovare la pozione magica e, rotto l’incantesimo, non hanno praticamente mai visto il campo mentre Frye, ai limiti della perfezione contro gli Hawks, è ben presto scomparso dalle rotazioni di Lue e ha visto le finals vicino ai due Jones, l’indemoniato Dahntay e il fedelissimo James.

Richard Jefferson, eterno secondo ed all’ultimo ballo della sua lunga carriera, ha annunciato il ritiro al termine di gara 7, finalmente da vincente. Da subito coinvolto e votato alla causa del King, il glabro RJ ha dato un importante contributo alla causa sia in termini di minuti che di giocate entrando con energia dalla panchina, sostituendo Love nelle lineup in gara 3.

Il basket, per quanto si possa giornalisticamente personalizzare, rimane uno sport di squadra in cui la squadra deve essere brava a far emergere il talento del singolo e viceversa: se è vero che se Lebron non si fosse fatto trovare in forma smagliante (a proposito, sono 12 anni che è in forma smagliante e bisognerebbe applaudirlo anche per questo, non può essere un caso) il contributo dei compagni non sarebbe stato sufficiente, è vero anche che nessuno ha mai vinto da solo, Finals 2015 docet.

One thought on “Focus: il supporting cast dei Cavs

  1. A mio parere , si concretizza 2 vecchie idee: 1)LBJ si conferma il più totale giocatore fino a qui visto in campo, ma ,senza un clutch player a fianco (vedi Wade, Alllen e Irving), negli ultimi 5 minuti di partita non ha la forza fisica di vincerla 2) in ogni serie finale conclusasi a gara 7 da me vista , almeno una partita viene vinta dal supporting cast : GS ha giocato il jolly in gara 1 e nel momento in cui le 2 bocche da fuoco principali hanno mostrato la corda, si sono trovati senza risorse per l’ultimo sprint. Ciò detto , il Re è il meglio che il basket possa offrire per questa e la prossima generazione, un prototipo di quello che sarà il gioco… Anche se dubito che questo gioco sarà apprezzabile per me.

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