Suona la sirena, Golden State espugna la Quicken Loans Arena portandosi avanti 3-1 nella serie. Cleveland sembra rassegnata ad un destino inevitabile e la vittoria degli Warriors in quella gara-4 (la numero 88 in stagione) sembra consacrarne la dominazione inizia nel novembre di due anni fa. Ma come insegna il grande Rudy Tomjanovic “Never undestimate the heart of a champion“. In questo caso sarebbe più opportuno il plurale, perché Kyrie Irving e LeBron James erano ancora ben lontani dall’aver issato bandiera bianca.

Il giorno prima della partita l’attenzione di tutti è stata catturata dalla decisione della Lega di squalificare per un turno Draymond Green dopo l’alterco con James sul finire di gara-4. Tutti sappiamo quanto Green sia condizionante nella macchina-perfetta di Golden State e quanto sia essenziale la sua presenza in campo soprattutto nella metà campo difensiva. Ma tutti sappiamo anche quanto sia difficile giocare alla Oracle Arena dove gli Warriors quest’anno avevano perso, prima di stanotte, soltanto 4 partite tra regular season e playoff; di quanto micidiali siano gli Splash Brothers (rivedersi la partita precedente) e di quanto la fisicità atipica di Barnes e Iguodala sia stata un rebus irrisolvibile per Cleveland – come per chiunque negli ultimi due anni.

 

E mentre la questioneDraymondGreen resta di attualità LeBron, reo di un comportamento poco nobile, viene sommerso di fischi dal pubblico della Oracle fin dal riscaldamento. Golden State inizia fortissimo, come pronosticabile, con intensità e precisione da dietro l’arco ma Cleveland è brava a restare lì con la testa senza subire una mareggiata che avrebbe potuto compromettere la partita.

Golden State continua ad approfittare di una difesa Cavs ancora non sempre lucida sugli switch – il che continua ad essere preoccupante dopo cinque partite – e punisce sistematicamente i cambi in ritardo. Klay Thompson inizia caldissimo ed anche Curry segna le prime due triple tentate, mentre dall’altra parte Cleveland perde la quinta sanguinosa palla dopo un time-out in emergenza di Lue. Ma i Cavs restano in partita grazie a un grande LeBron e soprattutto grazie ad una difesa Warriors da subito apparsa meno soffocante, come in tutte le occasioni in cui Steve Kerr tiene in campo un lungo tra Bogut, Ezeli, Varejao o Speights invece del letale Death Lineup.

Soprattutto però sono le ritrovate percentuali al tiro dei Cavs che balzano agli occhi, dopo che tre giorni prima – come nei primi due episodi della serie – Cleveland aveva finito col non segnare praticamente mai. Il ritorno di un jumper affidabile permette a LeBron di punire la scelta di Golden State di passare dietro sui blocchi e di trovarsi l’area più aperta quando, inevitabilmente, gli Warriors sono costretti a restare più vicini.

 

LeBron – complice l’assenza di Green e del momentaneo riposo concesso ad Iguodala – si prende il centro dell’area dopo un paio di jumper mandati a segno che gli garantiscono più spazio per attaccare. Poi trovarsi McAdoo al ferro rende sicuramente tutto più semplice.

 

Love, nonostante il ritorno in quintetto continua a faticare sui due lati del campo: cercatissimo in difesa dai pick-and-roll e rilegato negli angoli in attacco con il compito di spaziare il campo, aprendo l’area, in attesa di un pallone che non arriva mai. LeBron si fida molto più di Irving – specialmente dopo le ultime due prestazioni – e il giovane play è un giocatore capace di creare una grande mole di gioco ma per farlo ha bisogno di prendersi tanti tiri e fermare molto la palla.

 

Quando però è in serate così puoi soltanto metterti comodo e goderti lo spettacolo. La difesa di Thompson è perfetta, ma semplicemente come dice un grande telecronista italiano ‘grande attacco batte grande difesa sette giorni la settimana’

 

Ma anche in questo caso Irving è in una serata diversa dall’ultima partita in Ohio e segna praticamente tutto quello che gli passa tra le mani, chiudendo una serata al tiro leggendaria da ben 41 punti chiudendo con un irreale 70.8% dal campo. Per trovare un’altra prestazione da 40+ punti e almeno il 70% al tiro bisogna scomodare Wilt Chamberlain, così, tanto per rendersi conto. Irving ha attaccato con decisione il ferro, specialmente quando era preso in marcatura da Curry, ha spaccato la partita con due triple (questa e questa) nel terzo quarto, e ha mostrato una serie di assoli offensivi talmente belli (tipo questo o questo) da sembrare un esercizio di stile, di quelli con cui domini al campetto contro avversari non alla tua altezza.

 

La tripla in transizione per i punti 39,40,41 che ha definitivamente messo fine alle speranze degli Warriors. Dominante.

 

Chi invece è stato alla sua altezza è stato senza dubbio LeBron, che oltre ai numeri – mostruosi con 41 punti, 16 rimbalzi e 7 assist tirando oltre il 50% dal campo e oltre l’80% (!) costruendosi il tiro senza l’assistenza di un compagno – ha giocato con grande intelligenza. Assistito vero dal tiro ritrovato che gli ha permesso anche di prendersi triple in fadeway in momenti cruciali della partita ed aiutato dall’assenza di Green pronto ad aspettarlo a centro area, James ha letto molto meglio le situazioni, attaccando i cambi che gli davano un matchup vantaggioso contro i lunghi e prendendosi la squadra sulle spalle sin dalla palla a due giocando soprattutto una grandissima partita difensiva, la migliore dei playoff, mandando segnali incoraggianti al resto dei compagni.

 

Recupero + Chasedown su Curry + palla in terza fila. High Road Whaat?

 

Nelle Finals, in situazione di Elimination Game, LeBron viaggia a 29.5 punti, 10 rimbalzi e 7.5 assist di media e anche ieri ha dimostrato tutta la sua leadership, spesso criticata da molti. L’assenza di Green ha pesato senza dubbio molto per Golden State, dimostrandone tutta la sua importanza nonché il valore di un giocatore forse non sempre simpatico ma dominante ogni partita di più. Ma soprattutto ha fatto capire – per chi ne aveva ancora bisogno – quanto sia alto il livello del lavoro necessario da svolgere su un giocatore come LeBron James, vista la totale impossibilità di poterlo fermare anche per un difensore d’élite come Iguodala, senza un’intera organizzazione difensiva perfetta fatta di trappole, aiuti e prestazioni atletiche al limite della perfezione.

LeBron ha trovato in Irving un fuoriclasse offensivo ed è stato bravo a soffiare sul fuoco dell’ex-Duke assistendolo nelle triple in transizione, caricando la difesa e fungendo spesso da specchietto illusorio. I due hanno segnato o contribuito alla realizzazione di 98 dei 112 punti finali giocando una prestazione leggendaria nel vero senso della parola (se volete rivedere tutti gli highlights di LeBron James e Kyrie Irving gli trovate qui).

 

Adesso la serie è quantomeno riaperta e si torna in Ohio dove i tifosi dei Cavs sperano che il sempre temibile rigido vento non spenga l’entusiasmo ma soprattutto le polveri incandescenti dei due fuoriclasse. Ritornerà Green – con probabile senso di rivalsa – e con lui anche il Death Lineup, quello vero. Occorre recuperare energie, mentali e fisiche, continuare ad avere un contributo difensivo da parte di Tristan Thompson di questo calibro e soprattutto ritrovare il miglior Love. La difesa degli Warriors avrà sicuramente gli occhi puntati sul 41-duo e considerata l’instabilità del jumper, LeBron specialmente, affidarsi solo ai loro isolamenti potrebbe essere un rischio troppo grande.

2 thoughts on “I Cavs dopo Gara 5: Tirare col cuore

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