E’ inutile nascondersi dietro alla retorica: questa gara-4 è stata un microcosmo di quanta differenza ci sia adesso tra Golden State e qualsiasi altra squadra della Lega, Cleveland Cavaliers inclusi.
Gli Warriors sono la rappresentazione vivente di quello che tutti, filosofeggiando, chiamiamo Basket-Del-Domani con la differenza di giocarlo, e bene, già dalla passata stagione. Il 108-97 con cui i californiani hanno portato la serie sul 3-1 è molto più di una vittoria che mette (quasi) in archivio il secondo anello consecutivo ― nessuna squadra ha mai rimontato nelle Finals in queste condizioni di punteggio (32-0). E’ un manifesto della loro superiorità.
I Cavs, dopo aver messo tutto in campo in gara-3 ed essersi battuti per due quarti e mezzo, hanno finito col cedere all’onnipotenza futurista che questa macchina-perfetta riesce ad imprimere contro ogni squadra, quintetto, avversità tattiche o psicologiche. Sicuramente Cleveland non è esente da colpe, nonostante un primo tempo convincente e combattuto ma nel quale si iniziava ad intravedere l’inizio dell’inevitabile cedimento avvenuto nella ripresa.
Love è tornato a disposizione, ma parte dalla panchina. L’idea del coaching staff di Cleveland è di proseguire con la versatilità di Richard Jefferson, in un ruolo da venerabile maestro atto a lubrificare i nuovi movimenti derivanti dagli aggiustamenti necessari per restare in panchina. Golden State inizia ancora una volta con poca intensità, specialmente nella metà campo difensiva e i Cavs continuano il copione di due giorni prima: attaccare il numero 30.
Steve Kerr ha gettato la maschera molto presto, togliendo Bogut per Iguodala dopo appena quattro minuti e mostrando le vere intenzioni tattiche dei Warriors: tanto Death Lineup, correre ed aprire il campo. Il flusso generato dall’attacco dei giallo-blu è contagioso e tutti e cinque i giocatori si muovono, tagliano, si aprono e chiudono con sincronismi perfetti. Ma i Cavs sono bravi a rimandare indietro i colpi subiti, colpendo l’unico (forse) punto debole di giocare con un quintetto così piccolo: i rimbalzi offensivi. Nel primo quarto Cleveland segna 13 punti da seconda opportunità e i Cavs catturano 14 dei loro 16 rimbalzi offensivi nella prima frazione di gioco, complice un Tristan Thompson scatenato. Gli Warriors continuano imperterriti e Kerr arrivare a scongelare persino McAdoo pur di mantenere inalterato il piano-partita.
Senza la presenza di un centro vero ― oltre a Bogut solo 1:19 per Ezeli in tutto il primo tempo ― diventa più difficile contenere Curry e Thompson come nei primi tre episodi della serie e i due Splash Brothers iniziano ad entrare in ritmo. Ma Cleveland è concentrata, volenterosa. Gioca con l’energia che un pubblico, sempre caloroso e partecipe come quello dell’Ohio, merita. LeBron continua a battersi in difesa senza forzare in attacco, continuando il buon lavoro visto nel secondo tempo di gara-3 contro Green, sfoderando tutta la sua potenza in campo aperto e aiutando tutti in difesa giocando una sorta di “libero” con la possibilità di blizzare chiunque. Anche Irving continua sulla falsa-riga di mercoledì e oltre alle solite straordinarie doti di ball-handling continua ad attaccare il ferro con aggressività, dando più di un problema alla difesa di Kerr. Inoltre l’intensità offensiva gli permette di trovare fiducia anche in difesa dove si batte con più energia e i risultati sono tutti lì da vedere.
Anche l’inizio di Love è perfetto. Entra con cinque minuti sul cronometro del primo quarto e in meno di due minuti colleziona: un tuffo con cui costringe Golden State ad una palla persa, una buonissima difesa contro Barnes ― che conduce ad una transizione offensiva chiusa da James ― e un rimbalzo offensivo dopo la tripla sbagliata da JR Smith. Tutti frutti dell’approccio giusto con cui uscendo dalla panchina sarebbe potuto essere un arma importante nello scacchiere di coach Lue.
Lo stesso JR, nonostante quell’errore, si era reso partecipe di una buona prova, lottando in difesa e segnando i tiri sugli scarichi così vitali per permettere a Cleveland di muovere la difesa degli Warriors, condizione necessaria affinché i tanti isolamenti dei Cavs (ovvero di LeBron e Irving) potessero trovare più spazio per attaccare il canestro.
Ma la vera grandezza degli Warriors risiede nella loro difesa. Il giocare con un quintetto piccolo non impedisce loro di difendere alla grande, trovando in Iguodala e Green ― autori dell’ennesima straordinaria partita sottotraccia ― due scienziati difensivi. Sono loro, principalmente, il motivo per il quale Steve Kerr può permettersi di giocare senza lunghi. Anzi, Golden State nei 93 minuti ― garbage-time escluso ― in cui il Death Lineup è stato in campo nelle prime quattro gare ha totalizzato un plus-minus di + 51 (che diventa -19 con uno tra Bogut, Ezeli, Varejao o Speights in campo). E dall’altra parte il campo diventa ingestibile per la difesa di Cleveland, costretta ad uno sforzo fisico e mentale troppo grande che ha portato al crollo del secondo tempo.
L’uomo che aveva contribuito maggiormente al dominio sotto il tabellone degli Warriors, Tristan Thompson, è stato letteralmente tolto dal campo a forza di giochi a due tra Curry e il suo marcatore costringendo il centro canadese ad uscire dall’area, cosa che non è mai avvenuta.
Lue ha provato diversi quintetti finendo la partita con Jefferson e Frye nel tentativo di aprire il campo in attacco. Cosa che in parte è pure riuscita, ma dall’altra parte Curry ha mostrato il perché l’ex centro degli Orlando Magic non è in grado di reggere il campo in queste Finals ― a patto di un diverso impatto mentale, prima che fisico.
L’intensità è andata scemando e la fatica di una rotazione cortissima si è fatta sentire col proseguo della partita. Inseguire gli esterni di Golden State su tutti i loro movimenti, tagli, finte, scatti è un lavoro sfibrante. Irving ha provato a tenere in partita i suoi (34 punti alla fine col 50% dal campo) ma col passare dei minuti i Cavs sono tornati ad affidarsi a quei jumper che, ad eccezione di gara-3, non sono mai entrati in questa serie. Lui e LeBron hanno totalizzato un 9/27 in situazione di jump-shot che ha finito col uccidere l’attacco dei Cavs, oramai totalmente privo di movimento e buone spaziature.
La squadra ne ha risentito, compresi Love e JR Smith, non riuscendo più ad essere efficace neanche a rimbalzo d’attacco (solamente 2 nei secondi ventiquattro minuti), anzi mostrando il fianco agli avversari e concedendone ben 14 di cui 9 nella ripresa a Golden State. LeBron ha finito molto nervoso, battibeccando sia con Curry che con Green (anche se quest’ultimo non è certo un santo) e nella ripresa invece di guidare i compagni come nella partita precedente ha finito con lo sparire lentamente, chiudendo si con 25 punti, 13 rimbalzi e 9 assist ma tirando malissimo e dando la netta sensazione di inusuale difficoltà contro l’eccellente difesa dei già citati Green-Iguodala.
Chi invece ha tirato bene (benissimo) sono stati gli Warriors, stabilendo il nuovo record di 17 triple segnate in una partita di finale e mostrando spaziature perfette. Il concetto di Good-to-Great d’influenza popovichiana trova nei giocatori di Golden State picchi mai visti prima, impedendo alla difesa dei Cavs di avere una singola possibilità di poter recuperare o contrastare il tiratore. E se puoi vantare i due tiratori più forti (forse) della storia del Gioco i risultati sono questi (o questi, o questi, e si potrebbe andare avanti all’infinito).
Adesso la serie torna ad Oakland e nonostante la storia (32-0) faccia sperare ben poco e il divario tra le due squadre ancora meno, la squadra della terra dei laghi ha il dovere di provarci. Se non altro perché se la serie si dovesse concludere Lunedì quella che attenderebbe i Cavs sarebbe un’estate molto complicata e qualcuno (o più di uno) potrebbero andarsene ― simpatie di LeBron o meno.
Cleveland ha comunque ancora delle carte da giocare, e dispone di uno dei roster migliori della NBA. Quello che serve però, oltre ad una partita perfetta sotto il punto di vista tecnico-tattico, è una partita di grande intensità ed agonismo. Di voglia di difendere forte per 48 minuti contro un avversario che sembra volare per il campo. E forse, statistiche negative o meno, servirà allungare le rotazioni per poter mantenere il solito livello di aggressività. Il basket è un gioco di accoppiamenti è vero, ma è soprattutto un gioco praticato da essere umani e la forza della volontà umana ― nonché il cuore di un campione ― non sono mai da sottovalutare. Ma anche qui, basterà per fermare questa specie di androidi-fenomeni che da due anni tiranneggiano contro chiunque?
Niccolo’ Scarpelli nasce a Firenze (1990) ma appartiene al Deserto del Sonora. Da piccolo soffrivo di insonnia, tipo Al Pacino. Poi ho scoperto gli sport americani e sono peggiorato, proprio come Al Pacino.
Ottimo articolo. Sono d’accordo Nicolò, ma non pensi che anche difensivamente Thompson, Iguodala e Barnes siano delle brutte bestie per Cleveland e che un quintetto piccolo può dare qualche problema a rimbalzo ma consente anche di sorvegliare meglio il perimetro?
In effetti GS ha dimostrato di essere più forte, più pronta, in attacco e in difesa. Pensavo che i Cavs reggessero meglio l’urto, che KIng James mettesse su una gara devastante prima o poi, ma così non è stato e gli Warriors mi sembrano destinati ad un facile(e meritato) titolo bis. Sinceramente non capisco cosa ci fa JR Smith ancora in campo, perchè non usare mai Moskov e qualche altro dubbio sulla condotta del coach di Clev., ma, detto ciò, merito agli Warriors, veramente grande squadra.
Il coach di Cleveland è James, Lue è solo un pupazzo che serve per parlare coi giornalisti (ho sentito tutte le sue interviste a metà partita di questa serie e ripete le stesse 4 fandonie come fosse una segreteria telefonica): questo è il vero guaio. A certi livelli non puoi regalare il piano tattico per intero a una squadra che gioca a memoria.
Concordo, al di là dei singoli, il gioco dei Warriors è a tratti poesia.