48 punti di scarto nelle prime due partite. Questa la misura del dominio che i Warriors stanno esercitando sulla serie contro Cleveland.
E se gara 1 ci aveva fatto storcere il naso, su queste stesse pagine, per l’atipicità della prestazione degli Splash Brothers e l’apporto imprevisto della panchina, in gara 2 ogni cosa torna nei propri ranghi.
Un convincente sforzo corale, dove ognuno mette il proprio mattone, Draymond Green l’unica voce solista: 28 punti con 11/20 dal campo, alcune iniziative personali che a Kerr non sono piaciute (solo Curry e Thompson hanno luce verde per tirare, si è affrettato a ricordare ai media), ma tutto gli si può concedere vista la qualità assoluta delle sue performance.
Gara 2 è una prova di forza che non lascia spazio a obiezioni. I Warriors riprendono il filo del discorso dove l’avevano lasciato, rintuzzano la ritrovata combattività dei Cavs nel primo quarto e, come nella sfida precedente, li sfiancano alla distanza. Cleveland rimonta il primo parziale, non il secondo.
C’è poco da fare contro il delitto perfetto degli uomini di Kerr, che insistono senza variare il registro sulle note positive che avevamo evidenziato in gara 1. Fanno ancora meglio. Nel primo quarto Andrew Bogut pianta la bandiera nel pitturato con quattro stoppate, le penetrazioni al ferro dei Cavs sono scoraggiate e le rotazioni per coprire il tiro da tre ne guadagnano in precisione.
Kerr aveva preparato le dovuto contromosse ai prevedibili aggiustamenti di Tyronn Lue, ma di fronte alla sospetta ignavia del coach dei Cavs è libero di dedicarsi ai dettagli. La palla gira che è un piacere, Green e Andre Iguodala hanno l’ordine di mettere i loro polpastrelli delicati al servizio di Thompson e Curry.
Aspettano che si creino un po’ di spazio sui blocchi, a cronometro inoltrato, poi li servono per rimetterli in ritmo. Klay segna 17 punti, Steph gioca solo 24 minuti tra problemi di falli e garbage time ma si iscrive alla serie muovendo la retina quando conta.
I due Splash Brothers funzionano alla grande come specchietti per le allodole, la coperta di Cleveland è troppo corta per coprire le scorribande del supporting cast in pitturato – i 43 tiri non contestati parlano da soli -, ma vederli depositare la palla in fondo al canestro è sempre uno spettacolo piacevole.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare: se i Cavs affrontano le Finals 2016 al completo, i Warriors paiono più forti, rodati e cattivi dello scorso anno.
Non va comunque dimenticato quel che buona parte della critica di settore sottolineava non più tardi di due settimane fa; Golden State appannata sul piano fisico e con preoccupanti crepe nella tenuta mentale dopo gli overtime contro Portland e le mazzate prese tra capo e collo in Oklahoma.
Tacere dei demeriti di Cleveland sarebbe omertoso. Non affrontano il proverbiale elefante nella stanza, le reazioni emotive alla debacle sono discutibili: “The guys are not discouraged, more pissed than anything” afferma Lue, e viene da chiedersi se una squadra che mira al Larry O’Brien Trophy possa permettersi di essere pissed.
A fronte delle dichiarazioni d’intenti di LeBron James e Tristan Thompson – aumentare il ritmo, concludere meglio – e delle prove di fiducia di coach Lue, nulla è cambiato. Un paio di statistiche per rendere l’idea, anche se basterebbero i 77 miseri punti messi a referto. 17/36 nel pitturato, 5/23 dall’arco, 26-17 di parziale incassato dal quintetto piccolo con James da 5.
Con la serie che si sposta in Ohio, tutto lascia intendere che ai Cavs non basterà fare la faccia cattiva, né un corso accelerato per imparare a difendere sui cambi in due giorni. Dovranno osare con soluzioni tattiche azzardate, quintetti diversi, persino l’extrema ratio del basket operaio che aveva funzionato, a suo modo, lo scorso anno, qualora Lue staccasse la spina dal progetto di giocare in velocità e si decidesse a infangare la faccenda. La domanda, però, sorge spontanea: chi è che prende veramente le decisioni?
Kerr ha il difficile ruolo di tirare il freno dell’entusiasmo. Non facile, con una squadra che procede a lunghi passi sul sentiero per la grandezza assoluta – “siamo meglio dei Lakers dello Showtime”, si pavoneggia Klay Thompson. Evitare il colpo di coda in gara 3 segnerebbe, con tutta probabilità, la fine di una serie che non pare essere nemmeno cominciata.
Steph Curry, invece, tra oggi e domani sarà impensierito da questioni più personali; tipo convincere la mogliettina Ayesha dell’assenza di antefatti dietro all’occhiata malandrina scoccatagli dalla modella Roni Rose. Triple threat.
BONUS TRACK: Esattamente 15 anni fa succedeva questo. Coincidenze? Io non credo.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
Fine terzo quarto: i Warriors 7 su 26 da 3 (oltre a 15 rimbalzi in meno 23 vs 38). Due paroline da Kerr uno se le aspetta. Invece no. Contento lui.
Si dimostra il vero valore di Love: pura zavorra.