Rust vs rest.
La prima, la ruggine, è quella degli Hawks che si presentano alla Quicken Loans Arena dopo sei sfide con Boston, fisiche e combattute.
Il secondo è il riposo, la freschezza dei Cavs che non scendevano sul parquet da più di una settimana dopo essersi sbarazzati dei Pistons con un certo agio.
Tra analisti ed esperti c’è diatriba: meglio una squadra ritemprata nel fisico ma che rischia di presentarsi scarica ai blocchi di partenza o una con le cicatrici e i lividi ma già calda, pronta a dare battaglia?
Gara 1 ha dato ragione ai Cavs ma non senza patemi, mostrando la bontà delle argomentazioni di entrambe le campane.
Cleveland, per l’appunto, parte rilassata, i muscoli sciolti e i tiri che entrano. LeBron James mette in ritmo Kyrie Irving e i 10 punti di distacco sono subito serviti. Dopo i primi due quarti saranno 16 assist su 20 tiri realizzati dal campo.
Gli Hawks, spaesati, si rendono conto di avere di fronte una squadra totalmente diversa dai Celtics e tardano ad aggiustare i meccanismi a cui si erano abituati.
La difesa imperniata sul pitturato, quasi una zona, imbarca acqua sotto i colpi della squadra che tira meglio da 3 in questi playoff. 9 su 21 all’intervallo, tutt’altra cosa che le frecce spuntate scagliate dall’arco di Boston.
Anche la stazza e la fisicità di Cleveland sembra cogliere Atlanta di sorpresa; James macina gioco bulleggiando il difensore in post e Tristan Thompson imbraccia forchetta e coltello e si abbuffa di rimbalzi offensivi.
Solo Kevin Love fatica a iscriversi a referto, Millsap e Horford sono più che capaci di contenerlo sotto canestro, ma James è paziente e insiste a rifornire di palloni il suo lungo. Alla fine avranno ragione i due in wine & gold e Love chiuderà con un paio di canestri nel momento chiave del match e una solida doppia doppia.
Con la difesa che traballa nemmeno l’attacco degli Hawks si accende. Kyle Korver stasera è nella sua versione Ghost. Solo JR Smith sembra in grado di vederlo; lo marca stretto, come Demi Moore nell’omonima pellicola, ma anziché modellare vasi d’argilla si preoccupa di non concedergli tiri facili.
Le altre stelle hanno pessime percentuali al tiro, le lunghe leve di Tristan Thompson disturbano tutto ciò che transita nei pressi del ferro e persino i pigri Irving e Love, per una volta, piegano le ginocchia e abbassano la sbarra del telepass.
Il motore dei Cavs, nonostante tutto, va ancora a bassi giri. Un paio di hustle plays di Thompson nel terzo quarto infiammano l’arena; il ritmo s’impenna, Love si sblocca e il vantaggio sale a 18 punti in un amen.
È qui che Cleveland si assopisce, che si fa sentire quel rest, il troppo riposo che li ha disabituati alla garra. Inseriscono il cruise control e James tiene il volante sull’autostrada deserta, fischietta una canzone di Johnny Cash col gomito fuori dal finestrino, quando di colpo si ritrovano a sbandare.
È una sportiva tedesca che gli taglia la strada. Dennis Schroeder, da Braunschweig con furore, è sceso in campo con la faccia da guerra. Ha tutte le intenzioni di sfruttare questi playoff come trampolino di lancio per un posto da titolare, in Georgia o altrove, e gioca la partita della vita.
Lo lasciano tirare dall’arco, consci di un modesto ruolino di marcia che recita 19%, ma lui stasera segna. Poi si carica e fa a fette la difesa, 27 punti con 20 tiri dal campo per lui.
Kent Bazemore è l’altra metà della strana coppia, 16+12 il suo tabellino; i ben più blasonati compagni seguono il richiamo alle armi e con dieci minuti di eccezionale intensità, a cavallo tra terzo e ultimo quarto, agganciano i Cavs e infine mettono la freccia per superare.
Alla Quicken Loans Arena si suda freddo ma i Big Three calmano gli animi. Irving ricaccia indietro gli Hawks con un paio di giocate di puro talento, Love guadagna cinque preziosi tiri liberi (ma esce con le ossa rotte, nello specifico una spalla e una caviglia, e i suoi acciacchi preoccupano) e James chiude i conti con due rubate e altrettanti canestri nel traffico.
Atlanta riparte dalla fiducia di aver sfiorato il furto con scasso pur senza l’apporto dei suoi giocatori migliori, ma coach Budenholzer ha le mani pienissime.
Ha allestito una pattuglia di forze speciali per alternarsi in marcatura su James, persino Horford si è prestato al sacrificio, ma il dominio che LeBron esercita su quel che accade in campo è talmente naturale da che non sorprende più.
Gli Hawks soffrono i Cavs proprio in quelli che sarebbero i loro punti di forza; l’anno scorso Mozgov e Thompson abusarono dei pari ruolo nel pitturato, quest’anno coach Lue preferisce andare più corto ma il risultato di gara 1 non è stato differente.
Tuttavia, quella del maggio 2015 fu una serie strana, con entrambe le franchigie incerottate, difficile prenderla come paragone. I Cavs comunque proveranno a replicare lo sweep, forti di un gruppo finalmente in salute.
Hanno però una singolare avversione per apporre il sigillo su partite che sarebbero già chiuse, si è visto coi Pistons e si è ripetuto stanotte, forse per smodata sicurezza nei propri mezzi o forse per incoscienza.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.