Nella notte in cui mezza America è incollata alla tv per la première della nuova stagione di Game of Thrones, i telespettatori più sportivi avranno apprezzato l’antipasto offerto da gara 4 al TD Garden; nulla da invidiare a uno show targato HBO in termini di emozioni e suspense, con soltanto un filo di violenza in meno.
I primi quarti finora sono stati decisivi nella serie, la squadra che è scappata via per prima ha sempre vinto la partita. Quello della notte scorsa è stato il più equilibrato, 24-21 per Boston, il migliore auspicio per una gara che prometteva scintille.
C’è una storia che ha incuriosito i media nel prepartita; Jae Crowder che per ritrovare fiducia al tiro (3/18 complessivo da 3) ha fatto le ore piccole in palestra con dedizione degna di un certosino. O di Ray Allen.
Il momento copertina non si fa desiderare; prima azione, tiro dall’arco, swish. Sulla scorta del prodotto di Marquette Boston parte col piede sull’acceleratore e replica le scelte tattiche di gara 3; Turner a portare palla, Isaiah Thomas a fare razzie sugli scarichi, Jerebko a assestare manganellate sotto il ferro.
C’è spazio anche per il redivivo Kelly Olynyk, reduce da un infortunio alla spalla. Atlanta però non ci sta, pur orfana di Jeff Teague che spende in pochi minuti il suo secondo fallo. Mike Budenzholzer si siede in panchina con la faccia del bambino che non vede l’ora di mostrare il compito alla maestra.
Stavolta è lui che ha passato la notte a scervellarsi sulla sciarada propostagli dal collega Stevens, ma ha trovato la soluzione senza barare. Era più semplice del previsto e possiede un nome e un cognome: Paul Millsap.
Imbeccato dai compagni fin dalla palla a due, si sblocca con un paio di giocate in isolamento, si carica a rimbalzo offensivo e poi inizia a perforare il canestro dalla distanza. Con Horford ben contenuto da Amir Johnson e mandato presto a riposare in panchina, il lungo ex-Utah ha licenza di tiro: 26 punti alla sirena e +2 Hawks, nonostante le tante palle perse e i contropiede concessi a Boston.
Quando Atlanta alza il ritmo in difesa l’attacco Celtics si inceppa; pare un’equazione matematica tanto è precisa. Schroeder, al contrario, non entra in campo col piglio del professore. Si prende i fischi del pubblico a viso aperto, ma tira 1/7 e attacca briga con Crowder. Sì, la serie si è accesa.
Gli Hawks però non hanno paura del fuoco e rientrano dagli spogliatoi con l’estintore in mano. L’allungo è immediato, brutale. L’attacco viaggia sul velluto e la difesa ingabbia i Celtics in un tiro al bersaglio dalla lunga. Sembra di rivedere gara 1 e 2 e le percentuali calano in maniera proporzionale.
Il peggiore incubo di Brad Stevens si concretizza, quel calo di tensione che Boston non si può concedere, perché Isaiah Thomas non sarà sempre lì a togliere le castagne dal fuoco. 28 punti per lui alla sirena, ma nel terzo quarto l’ultima scelta del draft 2011 è ben contenuto, gli vietano il midrange game che gli è congeniale.
Quel che succede a cavallo di terzo e quarto parziale ha poco a che fare con gli aspetti prettamente tecnici della pallacanestro, ma rappresenta nondimeno un fantastico spot per lo sport che amiamo.
Boston si entusiasma con un paio di difese arcigne e rimonta 17 punti di puro orgoglio, apparecchiando la tavola per gli ultimi dieci minuti al calor bianco. I giochi offensivi sono saltati. Da una parte Millsap trasmette il suo one man show (45 punti, 11 rimbalzi, 4 stoppate nel suo luccicante tabellino), dall’altra Marcus Smart entra in trance agonistica e sembra uno e trino.
Cattura rimbalzi, difende duro su Millsap, poi si materializza con la palla in mano e segna quattro canestri di fila comprese due triple. Mica male, per uno che in stagione tira col 25%.
Ma dov’è Jeff Teague, si chiede angosciato Reggie Miller in telecronaca? Eccolo. Serata da polveri bagnate al tiro, ma ritorna sul parquet a tre minuti dalla fine giusto in tempo per piazzare due triple di capitale importanza.
Thomas sigla il pareggio in penetrazione a 15 secondi dalla sirena, poi disturba lo stesso Teague sul tentativo di game winner. Altri 5 minuti di pallacanestro, grazie.
La vittoria è questione di dettagli; una disattenzione che lascia Amir Johnson libero nel pitturato, una tripla che si separa dai polpastrelli di Bazemore con due decimi di ritardo, quella di Isaiah Thomas che sigilla l’allungo decisivo.
Sono le 3 di notte, le 9 di sera sulla costa est degli States, è l’ora di sintonizzarsi su Game of Thrones e scoprire se Jon Snow è vivo o morto – tranquilli, niente spoiler.
Per quanto riguarda il destino di Hawks e Celtics, uno sceneggiatore avrebbe già pronto un gran finale in gara 7.
Atlanta ha ritrovato il suo attore protagonista, un Paul Millsap che ha dimostrato di poter far saltare il banco battendo in velocità o in potenza qualsiasi difensore diretto; è il supporting cast che deve battere un colpo, la gara 4 di Korver e Horford è stata fin troppo anonima.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.