Alla Philips Arena si ripete il copione di gara 1 e questa volta il punteggio non mente. Il tentativo di rimonta dei Celtics si spegne sul nascere – l’attacco di Brad Stevens segna appena 72 punti – e gli Hawks non perdono mai la bussola.
Nemmeno Atlanta ha la mira dei giorni migliori, in verità, e la partita si lascia guardare più per l’intensità difensiva che per la spettacolarità delle giocate. Paul Millsap, ad esempio, vive una serata storta e tira con un misero 1-12, Bazemore non gli è da meno e scrive a referto 2-14.
Stavolta però c’è un Kyle Korver che risponde presente alla chiamata alle armi. Ha pochi minuti di autonomia prima di spegnersi, allora li spende tutti nel primo quarto. Esce dagli spogliatoi con le pistole fumanti e il primo, decisivo parziale è quasi tutto suo: 24-3 Atlanta in 8 minuti.
Da lì in poi si eclisserà, coi compagni che lo ignorano e Marcus Smart che gli morde i garetti, ma il solco scavato dalle sue triple è profondo a sufficienza. E dire che gli uomini in verde erano partiti con le idee chiare; la palla gira di più sul perimetro, si creano un paio di tiri smarcati e c’è meno focus sulle penetrazioni di Isaiah Thomas.
Di fronte alla pioggia di palloni nel proprio canestro, però, s’impappinano come la squadra inesperta che, a conti fatti, sono. Brad Stevens è in affanno con le rotazioni, viste le assenze di Olynyk e Bradley – out per tutta la serie -, ma pesca il coniglio dal cilindro con un ispirato Terry Rozier e un ordinato Tyler Zeller.
C’è anche spazio per RJ Hunter, forse troppo dato che il prodotto di Georgia State è palesemente non pronto per il palcoscenico; l’avventatezza del basket socialista di coach Stevens, stavolta, non dà i risultati sperati.
Di riffa o di raffa Boston rimane aggrappata alla partita e approfitta di un calo di tensione da parte degli Hawks, che si limitano a controllare il pitturato andando lunghissimi; Muscala, Mike Scott e Millsap tutti in campo allo stesso tempo. I Celtics rispondono con lo small ball.
Stevens ha fatto i suoi esperimenti ma ha ormai capito che è quella del quintetto piccolo la strada da seguire, lo propone anche in apertura di terzo quarto, mentre Sullinger guarda dalla panchina con l’aria di uno che è già in vacanza. Turner guida l’attacco e Amir Johnson conclude con un paio di giocate di insospettabile qualità nei pressi del ferro.
È lui il faro della squadra in questa fase di partita, un buon punto di partenza per il prosieguo della serie, tiene testa a Al Horford su entrambi i lati del campo. Sembra di vedere concretizzate le critiche inacidite di Tom Heinsohn dopo gara 1: Horford non è un grande giocatore, mettigli un uomo addosso e avrà problemi a segnare. Alla fine dei 48 minuti, però, avrà ragione il dominicano: è il top scorer con 17 punti e 3-4 dall’arco.
Atlanta si è un po’ seduta e l’attacco, orfano di un Korver che si è fatto ectoplasmico, borbotta come un vecchio motore diesel, ma in difesa la truppa di Budenholzer non molla di una spanna.
Proteggono il ferro, se possibile, ancora meglio di gara 1: 15 stoppate di squadra, record di franchigia, con Dikembe Mutonbo che gongola in prima fila sventolando il ditone in favore di telecamera. Soprattutto, concedono appena 2 punti in contropiede, quelli su cui i Celtics avevano costruito la rimonta di gara 1.
Bazemore e Sefolosha (tanti minuti per lui) sono attenti sulle rotazioni e puntellano una difesa che si chiude a tenaglia nel pitturato. L’attacco di Boston proprio non va, quelle poche volte che gli esterni battono l’uomo dal palleggio i compagni non concretizzano i tiri da 3 con spazio (5-28 complessivo), e a Isaiah Thomas non riesce la magia.
O meglio, sembra un prestigiatore che sparisce nel nulla, solo che si dimentica la seconda parte del numero e non ricompare sul palco. Alla sirena avrà raggranellato 16 punti, ma con quasi altrettanti tiri.
Gli Hawks sono semplicemente troppo forti stanotte, anche dal punto di vista mentale. Ricacciano indietro gli avversari nonappena sentono odore della singola cifra di distacco, poi chiudono i conti con un ultimo parziale di grande autorità, Schroeder e ancora Horford a tirare la carriola.
Dal punto di vista tattico gara 2 offre pochi spunti di discussione. Budenholzer non ha motivo di deviare da una strategia che si era dimostrata da subito efficace e ha abbastanza talento a disposizione per compensare a giornate storte al tiro. La difesa, poi, sembra disegnata con cura sartoriale.
L’impressione è che sia il suo collega Stevens quello con la patata bollente in mano, non solo per lo svantaggio nella serie e l’assenza pesantissima di Avery Bradley. Il baraccone si sposta a Beantown e un cambio d’inerza è facilmente pronosticabile, ma dovrà architettare nuove soluzioni se non vuole dipendere da una serata di grazia di Thomas per racimolare un paio di vittorie.
Qualcosa si è già intravisto; quintetti più quadrati, Amir Johnson sugli scudi, attacco meno incentrato sulle penetrazioni dei piccoli. Ora è tempo di giocare a carte scoperte; dall’altra parte, però, gli Hawks potrebbero ancora calare l’asso.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.