Si era pensato che il record di vittorie in Regular Season (73-9, che a leggerlo, sembra impossibile) e un conseguente, umanissimo rilassamento, potesse dare vita ad una serie sulla carta segnata in partenza. Qualcuno, scorrendo le statistiche, aveva ottimisticamente sottolineato come Houston sia la miglior squadra NBA nel recuperare palloni, e come i Warriors, complice il loro stile di gioco, tendano ad avere molti turnovers.

In più, c’era in campo James Harden, reduce da tre serate nelle quali ha segnato rispettivamente 40, 34 e 38 punti, assicurandosi il titolo di Giocatore del Mese di aprile, atteso ad una serie nella quale dimostrare tutto il proprio valore.
In realtà però, di storia ce n’è stata ben poca, e la distanza vista per 82 partite tra queste due formazioni non è magicamente evaporata ai Playoffs.

Houston, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ha tentato di metterla sul piano dell’intimidazione fisica sin dal tip-off, quando, durante gli abbracci di rito, Patrick Beverley pensava bene di assestare una spallata a Steph Curry. Poi, pronti via, cattive percentuali da ambedue le parti, ma 11-4 Golden State, finché a metà primo quarto, Beverley faceva fallo su Curry, i due si allacciano, e Pat completava l’opera tentando d’iniziare una rissa, interrotta prontamente da Danny Crawford, l’arbitro, che assestava salomonicamente un tecnico per parte.

Non fatevi però trarre in inganno, le “gesta” della guardia da Arkansas non sono il prodromo di una partita tosta, e men che meno di un atteggiamento autenticamente pugnace, ma solo pura e semplice frustrazione. Ron Artest innaugurò le Finals 2010 con una specie di presa da lotta libera su Paul Pierce, cosa che Dennis Rodman aveva a suo tempo elevato ad arte. Nel caso di The True Warrior e del Verme, alle sceneggiate seguivano i fatti, mentre in questa circostanza, a fare i fatti è stato Curry, con 16 punti nel primo quarto, più di quelli messi a segno da tutta Houston.

I Rockets hanno continuato a tirare senza mai spostare la difesa (33 soli punti in tutto il primo tempo), e la loro immobilità si trasportava anche nell’altra metà campo, dove i Dubs hanno raramente dovuto ingranare la terza per trovare punti facili, mentre Houston continuava a lamentarsi con gli arbitri, anziché giocare e reagire sul campo alle trattenute sui blocchi di Bogut, finendo anche col concedere 25 second-chance-points.

L’ottima marcatura esibita a turno da Klay Thompson, Livingston, e anche Green, bagnava le polveri a James Harden, costringendolo ad una partita dalla quale non riuscità a ricavare un solo tiro libero, mentre dall’altra parte lo show continuava anche nel secondo quarto, chiuso però con un infortunio patito da Curry, proprio alla caviglia che finì sotto i ferri nel 2012.

Curry tornerà in campo per soli 3 minuti nel secondo tempo, dopo aver segnato 24 punti nel primo, con 8-13 dal campo e 5-7 da tre. Complice l’assenza dell’MVP, la marea è sembrata cambiare, propiziata da una serie di giocate di Corey Brewer (e da 11 delle 15 palle perse complessive di G-State) quando Houston rientrava da -27 fino a -16, ma un parziale a fine terzo quarto ristabiliva le distanze, quando i vari Iguodala (7 assist per lui) e Speights (12 punti), si prendevano il proscenio.

Nel quarto quarto, mentre facevano la loro comparsa sul parquet anche Andrew Goudelock, K.J. MCDaniels, Donatas Motiejunas (che ha ingaggiato un duello rusticano con Draymond Green) Brandon Rush, Ian Clark e Varejao, è diventato chiaro che il ritorno di Steph Curry sarebbe stato superfluo, fino al perentorio 104-78 finale, arrivato senza che Houston conducesse la partita per un singolo possesso.

Gara 2 è in programma per lunedì, e, al momento di scrivere, non è dato sapere se Stephen Curry sarà della partita, posto che il modo in cui sorrideva e scherzava in panchina durante il secondo tempo, ha sicuramente allentato la preoccupazione della Dub-Nation e di coach Steve Kerr.

Beverley, con tutte le sue scenate, non è stato capace di arginare Curry, e ancor meno ha potuto fare il povero Jason Terry, che gli ha solo preso la targa. Marcare il figlio di Dell senza una competente difesa di squadra è impresa impossibile, e difficilmente la formazione allenata da J.B. Bickerstaff riuscirà a risolvere ora tutti i problemi che si trascina da ottobre, e che sono emersi anche in contumacia-Curry.

Se i Rockets pensavano che bastasse tirare un paio di spintoni per spaventare gli Splash Brothers, hanno ricevuto una chiara e univoca risposta, venendo esposti per quel che sono, una squadra assemblata male (e lo diciamo con il massimo rispetto per Morey, consci della difficoltà insite nel costruire un roster NBA), disfunzionale, e chiaramente non tutta sulla stessa pagina, con Howard da una parte, Harden dall’altra, e il “supporting cast” preso nel mezzo.

I Warriors hanno vinto gli ultimi 9 scontri con i Rockets, hanno tenuto i loro avversari al 35.7% da tre (tirando al contempo con il 42.9% dal campo e il 40% dalla lunga distanza), dimostrando di avere un piano-gara sia per Dwight Howard (che ha fatto qualcosa solo nel terzo quarto, complici i problemi di falli), che per Harden, tenuto, come detto, senza tiri liberi, e a 7-19 dal campo, con 2 assist e 6 palle perse, oltre a 4 falli.

La cosa però più impressionante, è che Curry è stato il miglior marcatore di serata giocando solo 19 minuti, e che, nonostante la sua assenza nel secondo tempo, i Warriors abbiano di fatto asfaltato l’avversario, che, di suo, è sembrato credere alla rimonta solo per una manciata di minuti nel terzo quarto, sulla scia delle energie nervose, anziché secondo un preciso piano tattico.

One thought on “I Warriors passeggiano in Gara1

  1. Che non ci fosse gara ce lo potevamo immaginare, ma in questa maniera no! Nel primo tempo harden è stato oscurato, curry ha fatto quello che voleva e con una facilità disarmante, nella baia sperano che l’infortunio non sia niente di grave, io quando l’ho visto uscire sono stato un po’ in ansia….

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