Nei giorni scorsi Play.it USA ha avuto modo di fare due chiacchiere con coach Vincenzo Esposito, capitano coraggioso al timone della Giorgio Tesi Group Pistoia, protagonista di una stagione al di sopra delle aspettative.
Ma gli appassionati di NBA non dimenticano che El Diablo è stato anche il primo italiano a segnare punti nella massima lega professionistica americana, giocando per l’annata 1995/1996 con la divisa dei Toronto Raptors.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Per prima cosa, vorrei chiederti: quanto segui il basket d’oltreoceano? C’è qualche squadra o qualche giocatore che ti interessa particolarmente?
In verità, attualmente non sono un grande fan della NBA. Non la seguo assiduamente, ma mi tengo aggiornato in occasione di grandi eventi e situazioni particolari. Sono più appassionato al basket universitario e al campionato NCAA; mi interessa per via del mio lavoro ma anche per i differenti spunti tecnici che offre.
Una “situazione particolare” che sicuramente non ti sarà sfuggita è la cavalcata dei Golden State Warriors. Stanno attentando al record delle 70 vittorie in stagione e sembrano inarrestabili. Secondo te sono paragonabili a quella squadra, i Bulls di Jordan del 1996? Fin dove possono arrivare?
Ricordo bene quei Chicago Bulls, ho avuto il privilegio di affrontarli in prima persona, sul campo. Credo che i Warriors abbiano tutte le carte in regola per eguagliare quel record.
La squadra gioca molto bene, è ricca di talento e ha due giocatori incredibili che spiccano su tutti gli altri – Stephen Curry e Klay Thompson. Ma per il resto, rispetto a 20 anni fa è tutto cambiato e sarà difficile che ripetano una striscia di successi consecutivi come quei Bulls.
C’è un’economia diversa, gestione diversa e squadre diverse. Tendono a non esistere più le bandiere, la gestione delle superstar è problematica e le squadre cambiano spesso forma per ragioni contrattuali. Con queste condizioni è difficile mantenere la continuità.
Spostiamoci sulla NCAA. Un altro tema caldo è la formazione dei giovani giocatori, che forse diventano professionisti troppo presto. C’è chi sostiene che si punta troppo sul fisico trascurando i fondamentali. Tu, come allenatore, hai a che fare con giocatori appena usciti dalle Università. Hai notato questa tendenza?
È vero, ma è la pallacanestro che è cambiata. Non si tratta di una scelta o di una mancanza dei coach universitari, che fanno benissimo il loro lavoro.
Il basket NBA richiede dei superatleti e la formazione dei giovani rispecchia questa necessità. Lo si vede anche nel basket europeo, di riflesso, in particolare nei campionati nazionali. Soltanto ad altissimi livelli, quelli dell’Eurolega, si assiste a un basket diverso che premia maggiormente la tecnica.
Tra l’altro, puntare sull’atletismo è una scelta conveniente perché accorcia i tempi dello sviluppo di un giocatore; in questo modo diventa un professionista in tempi brevi, mentre per padroneggiare al meglio la tecnica avrebbe bisogno di più anni di lavoro.
Oltre all’atletismo esasperato, si punta sempre più sul tiro da 3 punti. È vero, come sostengono alcuni, che “faccia male” al gioco? E a proposito di contatti tra il basket nostrano e quello americano, è possibile che questa tendenza sia stata influenzata proprio dalla pallacanestro europea?
I lunghi tecnici arrivati dall’Europa hanno sicuramente accelerato questa tendenza, perché offrono più opzioni tattiche rispetto ai giocatori di una volta.
Avere un 6’9 o un 6’10 che tira dall’arco è sicuramente molto diverso dallo schierare sul parquet un lungo come Ben Wallace o Dennis Rodman. In verità, non si tratta di un’innovazione così recente – un esempio fra tutti: Toni Kukoc che aveva un ruolo di tutto rispetto nei Bulls di Jordan – ma negli ultimi anni questa tipologia di giocatore ha avuto più successo, sulla scia di Dirk Nowitzki.
Ad ogni modo, si tratta semplicemente di mode che non devono preoccupare, ma a cui ci si deve adeguare. Adesso siamo nell’epoca dell’abuso del pick and roll, del tiro da 3 e dell’atletismo esasperato. Staremo a vedere, magari tra qualche anno tornerà il momento della Princeton Offense.
Abbiamo accennato al fatto che l’NBA sta diventando sempre più internazionale. Tu che hai fatto da apripista per i giocatori italiani in America, come valuti la carriera dei vari Gallinari, Bargnani e Belinelli?
Hanno incontrato una situazione completamente differente dalla mia, una NBA più aperta al mondo, per questioni di marketing e business più che tecniche.
Venti anni fa non c’era internet e gli europei arrivavano come degli sconosciuti. Tutti e quattro meritavano la chiamata, anche Datome, ma hanno incontrato una gestione tecnica differente.
Rispetto all’Europa ci vuole più fortuna per emergere e avere successo perché l’aspetto del business è di primaria importanza e ci sono frequenti scambi.
Pensa a Belinelli: ha cambiato molte squadre passando da giocatore “non all’altezza” a elemento importante nel titolo degli Spurs. Ora è passato ai Kings quasi come una stella, con tanto di corona della gara del tiro da 3, ma è finito in una realtà di poco successo.
Anche Bargnani non ha avuto fortuna; forse non valeva una prima scelta assoluta ma è comunque un buonissimo giocatore.
Gallinari è il più duttile, il più adatto a giocare ad alto livello, ma anche per lui sarà cruciale la gestione tecnica, se Denver deciderà di scambiarlo o farne il giocatore-franchigia.
Per chiudere vorrei chiederti un’opinione su un tema delicato ma che reputo di particolare importanza. Parliamo di cultura sportiva. In America capita spesso di vedere due tifosi di squadre avversarie seduti accanto nelle arene, e c’è poi il tifo goliardico della NCAA. In Europa si vive più il senso d’appartenenza e la sfida; il supporto dei tifosi è spesso un valore aggiunto ma si porta dietro anche tanti problemi di ordine pubblico. Secondo te possiamo imparare qualcosa da ciò che accade oltreoceano?
Sono due mondi lontani anni luce. In America c’è una grande educazione sportiva che caratterizza l’approccio allo sport già a livello dilettantistico, dai ragazzini fino ai professionisti. Questo, purtroppo, da noi manca.
È anche una questione di senso civico; da noi spesso il tifoso va a palazzo per tifare contro l’avversario. A livello cestistico l’Europa si è avvicinata agli Stati Uniti con passi da gigante negli ultimi venti anni, ma per quanto riguarda l’educazione sportiva siamo rimasti davvero all’età della pietra. I regolamenti attualmente in vigore, poi, non aiutano a progredire.
Grazie per il tempo che ci hai dedicato, coach. Complimenti per l’ottima stagione e in bocca al lupo per il resto del campionato!
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
Esposito e’ stato un grande giocatore finche’ gioco’ per Caserta e per la Fortitudo. Poi cogli anni e’ diventato una testa di c. assoluta, ingestibile e inallenabile: ogni 3 mesi cambiava squadra. Su Belinelli una volta disse “Beli in nba? Lasciamo perdere”
sciacquati la bocca quando parli di Vincenzo Esposito. all’Andrea Costa Imola ci ha fatto sognare per diversi anni.
Si e’ vero..in lega2 ad Imola ha fatto buone cose..un uomo incapace di combattere ad alti livelli, che ha sempre avuto bisogno di avere mediocrita’ a fianco a se’ per poter dare dei risultati..un talento dotato di presunzione sconfinata che non si puo’ nemmeno lontanamente paragonare a campioni veri quali Belinelli e Gallinari, che se hanno raggiunto un certo livello non e’ perche’ “l’Nba ora e’ + aperta rispetto agli anni 90” ma perche’ in Nba da sempre giocano solo quelli che oltre al talento hanno anche umilta’ e una testa funzionante
con questo post dimostri la tua incompetenza. ad Imola ha giocato per diversi anni in A1 (non solo A2) con ben 2 titoli di MVP e capocannoniere del campionato (sempre di A1) centrando 2 qualificazioni play-off e superando anche un primo turno.
quindi risciacquati la bocca quando parli di Vincenzino…
Vedo che ancora una volta ti e’ sfuggito il concetto..Esposito nell’intervista dice che l’nba dove ha giocato lui era molto diversa, + chiusa ecc.. invece dovrebbe dire che lui, a differenza di campioni veri come Belinelli e Gallinari, non ha avuto l’umilta’ e le palle x restare in nba ed ha deciso di fare il nomade x le squadrette di mezza europa, finche’ ha trovato imola, l’unica che l’ha sopportato, dove ha potuto “dimostrare il suo valore”.
Non puo dire che lui non ha avuto successo im nba perche’ “le condizioni erano diverse”, tutto qui. Spero di essere stato chiaro
non penso sia una questione di “palle”
Esposito tornò in Italia perchè a Toronto aveva poco spazio e contemporaneamente Pesaro gli fece una super offerta.
più o meno quello che è successo con Datome che dopo 2 anni di NBA dove veniva usato con il contagocce ha preferito andare in Turchia in una grande squadra.
poi che la NBA quando ci giocava Esposito fosse più chiusa verso gli europei e meno globale di adesso direi che non ci piove.
Enzo aveva + talento di Datome, avrebbe potuto fare una carriera almeno come quella di Belinelli, ma si sa..il talento e’ nulla senza la testa.. e cosi Enzo e’ finito ad Imola, l’unica squadra dove poteva fare la superstar.. Libero di farlo ovviamente, ma poi che non venga a parlare di nba + aperta, come se Beli e Gallo siano stati + fortunati di lui..
Un perdente dovrebbe almeno riconoscere i meriti di un vincente
solo la tua acredine nei confronti di Esposito ti fa leggere cose che nell’articolo non ci sono.
la sua è un’analisi a mio avviso equilibrata in cui dice che l’NBA 20 anni fa era meno aperta per gli stranieri rispetto ad adesso (non vorrai mica dire che non è vero) e ci sono elogi per tutti e 4 gli italiani in NBA.
non c’è alcun segno di rosicaggine o invidia. se solo tu che ti fai prendere dal livore verso Enzo… sicuramente ti brucia ancora di qualche sconfitta in cui ti ha rifilato un trentello o giù di lì… te la ricordi “la colomba di Esposito” nelle telecronache di Tullio Chiocciola?
Onestamente penso che essere tifosi (a favore o contro) non aiuti a giudicare con obiettività la carriera di un giocatore, specie se molto controverso come Esposito.
Io penso sia stato un grandissimo talento offensivo, un realizzatore come pochissimi altri nella storia del basket italiano! Per lui fare dei “trentelli” è sempre stato l’ultimo dei problemi.
Appare però altrettanto evidente come ci sia anche stato un lato oscuro dell’Esposito giocatore: da un punto di vista tecnico la sua applicazione difensiva è sempre stata sospetta, e il suo carattere non sempre facile ne hanno limitato la carriera ad altissimi livelli. Credo sia innegabile per chiunque che Esposito con un altro tipo di applicazione avrebbe potuto avere un altro tipo di carriera.
Per certi versi la carriera di Esposito ricorda quella di Mario Boni: entrambi grandi realizzatori, entrambi talenti cristallini, ma la loro incapacità di sacrificarsi e adattarsi alle esigenze delle grandissime squadre, li hanno limitati a fare i bomber in squadre di seconda fascia.