Chi si attendeva una trade deadline con grandi nomi coinvolti in scambi di primo piano, è rimasto deluso.

Lungamente dati per partenti, i vari Dwight Howard, Hassan Whiteside, Kevin Love e Pau Gasol hanno rimesso le valigie nell’armadio, mentre si concretizzavano solamente trade più o meno utili (questo ce lo dirà il tempo) ma certamente di profilo inferiore.

Ci sono state le mosse di Miami per liberare spazio salariale in vista dell’estate, l’ennesimo viaggio di Kirk Hinrich sulla tratta Chicago-Atlanta, l’utile aggiunta di Randy Foye da parte di OKC, ma la parte del leone l’hanno recitata gli stretch-four.

Tra gli altri, si sono mossi Jeff Green, Channing Frye, Donatas Motiejunas, Markieff Morris, Tobias Harris e Ersan Ilyasova, tutti etichettabili o etichettati (correttamente o meno) come “quattro tattici”.

La categoria di “stretch four” raccoglie specie diverse di ali: dalle SF sufficientemente potenti e alte da marcare i quattro, a PF vecchio stampo che però sanno spaziare il campo col tiro, passando per tutta una serie di incroci di caratteristiche (da Boris Diaw a Nikola Mirotic, da Mo Speights a Draymond Green) che rendono difficile una classificazione univoca.

Nell’NBA di qualche lustro addietro, i giocatori intrappolati a metà tra un ruolo e l’altro erano sostanzialmente malvisti: c’erano cinque ruoli che richiedevano taglie e qualità tecniche precise, e pochi sapevano cosa farsene di una guardia tiratrice intrappolata in un corpo da playmaker, mentre i quattro tiratori, come Matt Bullard o Robert Horry, erano percepiti come meri specialisti.

Non vogliamo certo dire che gli allenatori di allora fossero sprovveduti –anzi! Chiedete a Rudy Tomjanovic e Phil Jackson cosa si può fare con una PF che tira bene!– ma che, con un set di regole adatte all’uno contro uno statico, schierare giocatori con un ruolo definito appariva premiante. Oggi è vero il contrario: i confini tra le posizioni sono divenuti molto sfumati ed essere un tweener è, per molti versi, un vantaggio.

L’etichetta di “combo guard” costava posizioni al draft a quelle guardie che non erano propriamente né “uno” né “due” (l’esempio migliore è forse Chauncey Billups, a lungo poco considerato proprio perché ibrido), e anche in posizione d’ala non si era mai capito bene cosa fare di quei giocatori che mischiavano peculiarità da ala piccola e da ala forte.

Ci sono stati esperimenti interessanti come quello di Pat Riley a New York (schierava il compianto Anthony Mason da point forward) mentre per lungo tempo ci si interrogava se swingmen come Lamar Odom, Shawn Marion, Rashard Lewis e Shareef Abdur-Rahim, fossero SF o PF. Oggi la definizione di stretch-four è così inclusiva da spingere ad annoverare nel ruolo anche giocatori che “stretch” non sono (non allargano il campo col tiro, come Tobias Harris, con il suo 31% da dietro l’arco).

Forse allora, varrebbe la pena di iniziare a insistere sulla categoria di combo-forward (imitando la definizione usata per guardie come Kyle Lowry o Russell Westbrook) per includere tutti i giocatori d’ala non tradizionali, da Diaw a Gallinari, passando per Teletovic e Chris Bosh.

Le combo-forward sono state al centro di questo mercato invernale
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I Detroit Pistons hanno rinunciato a Ilyasova e Brandon Jennings per ottenere Tobias Harris (che Orlando non aveva più interesse a trattenere) e Donatas Motiejunas, due ragazzi che incarnano gli estremi della specie: il primo è un’ala piccola prestata al ruolo, e il secondo, un’ala forte classica, con in più il tiro.

Stan Van Gundy è convinto di poterli alternare accanto a Andre Drummond e Reggie Jackson, ricreando le alchimie del 2009, quando i suoi Magic raggiunsero la finale con Rashard Lewis, Hedo Turkoglu, e il pick-and-roll tra Rafer Alston e Dwight Howard. In più, ha ottenuto Marcus Thornton come bonus.

A Los Angeles, Doc Rivers ha rotto gli indugi e spedito Stephenson ai Grizzlies, ottenendo in cambio Jeff Green, potenzialmente l’uomo giusto per consolidare il nuovo stile di gioco dei Clippers, che, in contumacia-Griffin, sono diventati più veloci e aprono maggiormente il campo.

Quest’addizione aggiunge flessibilità a un roster storicamente fragile in tutti i ruoli d’ala (tolto ovviamente il nerboruto numero 32), e che ora potrà variare assetto agevolmente, sia se Rivers sceglierà di adoperare Green come cambio di Griffin sia che lo impieghi da SF titolare.

Spedito Courtney Lee in direzione Hornets, Memphis doveva rimpolpare il backcourt; Lance Stephenson è adattissimo alla cultura grit-and grind dei Grizzlies, nel bene (è un difensore tignoso, di temperamento) e nel male (il tiro, ovviamente). I minuti del partente Green saranno, presumibilmente, coperti da Matt Barnes –a proposito di teste calde!

Washington, che aveva iniziato la stagione con l’intenzione di continuare a migliorare per rendersi attraente agli occhi di Kevin Durant, ha scommesso su Markieff Morris. Il gemello di Marcus potrebbe anche guadagnarsi i galloni da titolare, ma dovrà lavorare assai per far dimenticare le mattane di Phoenix, e con ogni probabilità Randy Wittman lo userà vicino a Marcin Gortat, alternandolo a Nene in base all’avversario. Anche in questo caso, la parola d’ordine è flessibilità.

I Suns erano sostanzialmente costretti a privarsene, e hanno ottenuto in cambio giocatori di contorno come Blair e Humphries, e una prima scelta futura. Cleveland, che aveva esplorato l’ipotesi di una trade per Markieff Morris, ha ripiegato su Channing Frye, arrivato da Orlando (che ha usato la trade deadline per scaricare contratti e giocatori non funzionali ad un progetto in divenire) in cambio di una prima scelta e Anderson Varejao (destinato a Portland).

Pur senza accendere la fantasia come l’avvicendamento vagheggiato tra Kevin Love e Carmelo Anthony, l’aggiunta di Frye apre scenari interessanti. L’ex Magic e Suns porta tiro, versatilità e centimetri nella squadra di LeBron James, che forse si è lasciato alle spalle gli anni migliori, ma rimane il numero uno quando si tratta di armare la mano al tiratore.

Scopriremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi se David Griffin ha bissato l’operazione dello scorso anno (quando portò in Ohio Iman Shumpert, JR Smith e Timofey Mozgov), così come capiremo se gli Orlando Magic hanno fatto bene a scaricare Frye e Harris, se le scommesse di Detroit pagheranno, e se i Los Angeles Clippers hanno finalmente trovato il pezzo mancante del puzzle.

Quel che è certo fin da ora, è che tante franchigie hanno deciso di investire sulle combo-forward, sancendo l’importanza tattica di un ruolo che pare destinato a consolidarsi sempre più.

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