Ogni anno la notte del Draft viene caricata di aspettative enormi salvo ridimensionarsi più o meno drasticamente nel corso dell’anno.
La classe del 2015 non fa eccezione e l’impatto generale delle nuove leve sul campionato ha fatto crollare l’hype iniziale a livello “peggior rookie class degli ultimi 20 anni”.
La notte delle scelte è diventata una delle vetrina più luminose del calendario NBA, un evento in cui la lega pubblicizza se stessa e la propria capacità di rigenerarsi e di proiettarsi al futuro. I giocatori, soprattutto quelli scelti in alto, vivono la loro prima notte da star ed assaporano l’universo dorato dello sport professionistico.
Gennaio è il mese in cui è possibile tirare le prime somme a proposito dei debuttanti. Le cifre dei “neoassunti” assumono volumi tali da poter essere analizzate e pesate con le aspettative e gli investimenti tecnici delle franchigie, e da qui inizia la volata finale per l’ambito premio di rookie of the year.
Tuttavia, anche in questa classifica, le valutazioni non possono essere che parziali: siamo in zona pericolo rookie wall, qualcuno ci è già andato a sbattere e qualcuno lo farà più avanti; altri troveranno fiducia e spazio più avanti o addirittura nella stagione successiva; altri sono ancora in attesa dell’occasione giusta per mettersi in mostra.
La top 10 non è particolarmente frizzante e, va detto, la mediocrità di questa classe ha fatto sì che alcuni giocatori venissero inseriti al posto di altri basandosi più su sensazioni che su effettivi responsi del campo. Tra gli esclusi “eccellenti” spiccano Larry Nance jr (Lakers), Stanley Johnson (Pistons) e Rashaun Holmes (Sixers). Da notare il dominio dei big men che fa tanto anni 90.
HONORABLE MENTIONS
Prima di iniziare il countdown vero e proprio, meritano qualche parola due giocatori che stanno facendo bene ma che, soprattutto per scarso minutaggio, si è deciso di non mettere in classifica.
BOBAN MARJANOVIC, non scelto. San Antonio Spurs. C; 2e20, 135 kg.
4,8p-2,9r-0,6stp in 7 min, con il 60% dal campo e il 77% ai liberi. PER 30,7
Finisce fuori classifica anche perché è difficile considerarlo un rookie (29 anni) e perché i minuti giochi sono veramente pochi, ma il suo apporto è sempre significativo. I pochi minuti che gioca (può giocare?) però sono stati di livello: la sua mole, notevolissima (2,20 per 135 chili), può essere determinante. Le sue statistiche avanzate sono quelle di un top player anche se da rapportarsi con il poco tempo trascorso sul parquet: con lui gli Spurs prendono quasi il 60% dei rimbalzi disponibili e concedono solo 88 punti ogni 100 possessi. Tutta da scoprire la sua tenuta fisica e quanti minuti abbia effettivamente a disposizione ma è già un’arma tattica notevole nelle mani del Pop. Enorme e sproporzionato, è già un giocatore di culto.
BOBBY PORTIS, scelto alla 22 da Chicago Bulls. PF; 2e11, 110 kg.
6,4p-4,3r-0,5stp in 15 min, con il 44% dal campo (31% da tre) e 76% ai liberi. PER 14,3
Anche per il prodotto di Arkansas vale l’asterisco dello scarso minutaggio e dell’iniziale ancor più scarso utilizzo. Col passare del tempo però il buon Bobby ha scalato le gerarchie di Fred Hoidberg a suon di prestazioni solide e rendimento elevato. Complici i periodi grigi di Gibson e Noah non è da escludersi un suo crescente utilizzo che porti addirittura al sacrificio di uno dei due veterani. A rimbalzo ha buona posizione e intuito, le percentuali al tiro sono buone sia dalla media che da tre mentre le cifre rapportate ai 36 minuti sarebbero quello di un potenziale all star. È destinato a crescere anche nella rookie race e potrà rendersi utile quando sarà il caso di aprire spazi e togliere pressione ai big three di Chicago, magari anche quando la palla diventerà incandescente.
BENE MA NON BENISSIMO
Nella parte bassa della classifica troviamo sia quei giocatori che hanno iniziato male (o malissimo) ma si stanno riprendendo sia quelli che stanno trovando difficoltà tecniche o di inserimento.
10) FRANK KAMINSKY, scelto alla 9 da Charlotte Hornets. C; 2e16, 110 kg. 7,1p-3,5r-1a in 20 min, con 40% dal campo (33% da tre) e 75% ai liberi. PER 12,6
Il lungo da Wisconsin, dopo un inizio stagione decisamente in salita, sta pian piano guadagnando spazio e minuti grazie alla dedizione e alle noie fisiche di big Al Jefferson e Zeller. C’è un quintetto degli Hornets (Lamb-Lin-Hawes-Kaminsky-Williams) che produce un +21 di net rating: Charlotte è in piena lotta per i playoff anche grazie all’ efficienza sotto i tabelloni e,con Frank in campo, i calabroni portano a casa oltre la metà dei rimbalzi disponibili.
L’utilizzo è la nota maggiormente dolente del suo inizio di carriera: pochi i minuti giocati nello spot di centro e ancora meno minuti giocati nel clutch time: il suo rapporto con il campo ricorda quello di Bargnani al primo anno, quando i malintesi con Mitchell e gli equivoci sulla posizione non proibirono comunque al romano di finire più che degnamente la sua prima stagione. Deve migliorare le percentuali, specialmente quando mette palla per terra, e la selezione dei tiri, che lascia ancora un po’ a desiderare. Peccati di gioventù.
9) DEVIN BOOKER, scelto alla 13 da Phoenix Suns. G; 2e01, 93 kg.
9,5p-1,9r-1,4a in 21 min, con 46% dal campo (40% da tre) e 81% ai liberi. PER 12,3
Sbucato dalle retrovie dopo un inizio ectoplasmico, è esploso nel mese di Gennaio fino a portare una forte candidatura per il rookie of the month per la Western Conference di Gennaio, con quasi 17 punti, 46% dal campo e 39% da tre. I Suns puntano solo a finire la stagione il prima possibile e, anche complice l’infortunio di Bledsoe, i suoi minuti sono in ascesa.
Il career high fissato a 32 è qualcosa che da queste parti non si vedeva dai tempi di Amar’e e rappresenta il massimo punteggio per un rookie in stagione, e fa del buon Devin il terzo teenager più giovane a metterne 30 dopo Lebron e Durant. È stato snobbato per il Rising Star Challenge, ma è lanciatissimo: partito titolare in 14 delle ultime 15 uscite dei Soli, prenota un posto tra i primi 5 a fine anno.
8) EMMANUEL MUDIAY, scelto alla 7 da Denver Nuggets. PG; 1e97, 90 kg. – 10,7p-3,5r-5,7a-1,2rub in 29 min, con 31% dal campo(31% da tre) e 68% ai liberi; PER 7,0
La point guard di origine congolese non ha fatto molto per smentire gli scout, che prima del draft lo davano come estremamente discontinuo al tiro e poco efficace nella gestione dell’attacco. In attesa di capire se il suo jumper sia più brutto o meno efficace, guida la graduatoria di categoria relativa alle palle perse (4.2) ma ha grandi mezzi atletici e i guizzi giusti nella gestione del pick and roll.
Giocatore tutto istinto, tende a fidarsi eccessivamente dei suoi polpastrelli ed a monopolizzare l’attacco. La selezione dei tiri è totalmente da rivedere mentre in difesa tende ad esagerare nella ricerca della rubata: molto attento al proprio score personale, nonostante tutto è una buona base su cui iniziare un progetto futuribile. Lavori in corso.
7) JUSTISE WINSLOW, scelto alla 10 da Miami Heat. SF/PF; 2e04, 105 kg. – 5,7p-4.8r-1,4a in 27 min, con 40% dal campo (26% da tre) e 67% ai liberi. PER 7,2
Dopo un inizio stagione nello spot di small forward, complici anche le piccole noie fisiche di Whiteside, Spo lo ha spostato nella posizione di 4 in un sistema di small ball. Le cifre, l’atteggiamento e le prestazioni sono migliorate fino all’ottimo 40% dall’arco con cui sta tirando da capodanno in poi. Atletico e forte, ha solo 19 anni e potrà solo migliorare nelle letture, mentre già difende con buoni risultati su 2 ruoli: da migliorare il rapporto con il canestro, ma sta ritagliandosi uno spazio importante a Miami.
Discontinuo e più a suo agio partendo dalla panchina, il suo apporto statistico è estremamente variabile al contrario dell’impegno, sempre costante. La fiducia cresce insieme ai minuti in campo che gli vengono concessi, ma i suoi litigi col ferro rischiano di rovinargli la reputazione nonostante i mezzi atletici importanti e la presenza difensiva.
GOOD
Tra i buoni trovano spazio quei giocatori che spiccano per talento o che, pur senza strafare, stanno dimostrando che possono dire la loro fin da subito.
6) TJ McCONNELL, non scelto. Philadelphia 76ers. PG; 1e88, 90 kg.
6,1p-3.9r-4,9a-1,2rbt in 23 min, con 46% dal campo (36% da tre) e 70% ai liberi. PER 13,2
Philadelphia è il luogo dove tutto è possibile. Ignorato la notte del draft, questo ragazzo da Arizona è emerso dagli abissi sixereschi come uno dei rookie più affidabili dell’intero lotto. È un leader naturale, un play ordinato con naturale tendenza all’assist e, nonostante limiti tecnici e fisici che compensa con sano agonismo, può ritagliarsi una solida carriera partendo dalla panchina.
Difensivamente va sotto praticamente con chiunque, ma da Natale sta tirando con il 50% dal campo ed è un giocatore estremamente efficiente dal momento che occupa la 18’ piazza nella classifica assist/turnover ratio, prima anche di papabili all star. Ish Smith ne ridurrà probabilmente il minutaggio mentre i cambiamenti intorno a Brett Brown rischiano di ridimensionarne il ruolo nel roster, con la possibilità di soffocare la carriera di TJ nella culla. È il tipico undrafted, difficile non tifare per lui.
5) D’ANGELO RUSSELL, scelto alla 2 da Los Angeles Lakers. PG; 1e97, 82 kg. – 11,6p-4,4r-3,4a-1,2rub in 28 min, con 41% dal campo (33% da tre) e 67% ai liberi; PER 12,6
Il talento è purissimo e, dopo un inizio complicato, è riuscito a trovare la sua dimensione come sesto uomo nel Kobe Farewell Tour. Il problema delle palle perse è solo la punta di un iceberg fatto di selezioni di tiro rivedibili, percentuali scadenti e atteggiamenti difensivi sospetti. Il contesto e la guida tecnica non sono certo ideali per esprimersi al meglio e mettere in risalto le sue doti.
Le percentuali al tiro si alzano quando riesce a mantenersi distante dall’uomo e quando non è costretto a mettere palla a terra, mentre calano vertiginosamente quando fa due o più palleggi prima di scoccare il tiro, 36%. Il problema è che questo tipo di conclusioni sono anche le sue preferite, dal momento che la utilizza in oltre la metà dei suoi tentativi. La corsa al ROY non lo vede tra i candidati più forti, ma tra i pari età è solido e tra i primi posti in molte categorie statistiche.
4) NIKOLA JOKIC, scelto alla 41 (2014) da Denver Nuggets. C; 2e10, 113 kg. – 8,8p-5,5r-1,3a-0,5stp in 19 min, con 55% dal campo (37% da tre) e 80% ai liberi; PER 21,1
Il serbo entra prepotentemente in classifica grazie alle prestazioni del mese di Gennaio in cui è uscito prepotentemente guadagnando sempre più minuti nella rotazione dei Nuggets in piena ricostruzione. Le cifre dure e pure possono sembrare poco importanti, invece sta trovando il modo di rendersi utile alla squadra, ottimo segnale per un rookie, e si sta affermando come lungo realizzatore dalla panchina.
Può segnare con facilità sia nel pitturato che dal perimetro, mentre dal punto di vista difensivo ha ancora molto da imparare. Jokic è l’unico deb con net rating positivo, +3.5, e quando è in campo prende quasi il 50% dei rimbalzi totali; inoltre, pur non essendo lui un difensore provetto, Denver con Nikola in campo subisce quasi 9 punti in meno rispetto a quando siede sul pino. I problemi per lui sono da ricercarsi, oltre che nella propria metà campo, nella convivenza con l’altro lungo Nurkic e nell’abbondanza di giocatori simili a roster, giocatori grossi e tecnici che possono fare tutto senza però eccellere in nessun aspetto particolare.
TOP
I candidati più forti al ROY, giocatori già pronti che giocano molti minuti e che hanno già un peso specifico importante per la propria squadra.
3) JAHLIL OKAFOR, scelto alla 3 da Philadelphia 76ers. C; 2e11, 122 kg.
17p-7r-1,2a-1,1stp in 31 min, con 46% dal campo e 71% ai liberi; PER 16,7
Il prodotto di Duke è il giocatore più utilizzato oltre che top scorer della categoria. Sta mettendo in mostra il suo notevole arsenale offensivo e ha numeri dignitosi anche negli aspetti del gioco che avrebbero dovuto essere lacunosi, come rimbalzi, stoppate e tiri liberi. Il suo impatto difensivo invece è complessivamente scarso, così come migliorabile è il gioco in post dove tende a perdere palla.
Contrariamente a quanto previsto inizialmente, la convivenza con Nerlens Noel si sta dimostrando più complicata del previsto e, nel deserto tecnico dei Sixers, Okafor spicca con un plus-minus da brividi, particolare statistico in cui svetta se rovesciamo la classifica.
Con lui in campo Phila perde con uno scarto più ampio e segna solo 88 punti ogni 100 possessi ma i veri problemi sono extra campo, uno su tutti il malcelato malcontento (eufemismo) di essere passato dalle Final Four di Indianapolis ai cugini poveri dei Washington Generals, un malcontento sfociato in qualche incidente extra campo e in un body language perennemente sospetto.
2) KRISTAPS PORZINGIS, scelto alla 4 da New York Knicks. C/PF; 2e15, 102 kg. – 13p-6r-1a-2,1stp in 27 min, con 41% dal campo (34% da tre) e 86% ai liberi; PER 17,6.
Doveva essere un progetto rischioso invece è un giocatore già pronto, versatile e atletico. Sta aggiustando la mira (16 punti e 45% da Dicembre in poi) e assicura un importante contributo sotto i tabelloni, anche se dopo un inizio scoppiettante le cifre a rimbalzo sono in picchiata, e soprattutto in difesa, dove è l’unico a superare le 2 stoppate a partita tra i pari quota.
Con lui in campo New York è un team migliore in tutte le categorie statistiche principali e, anche dopo l’iniziale effetto sorpresa (Porzingis Sensation), Kristaps continua ad essere presente in tutte e due le metà campo, iniziando a mettere i tiri che “deve” segnare. Già nella top 5 per block percentage assoluta, deve migliorare tanto in attacco, dove è assai poco pericoloso quando mette palla a terra e quando le difese lo costringono a non agire d’istinto: il 46% al tiro quando non mette palla a terra sprofonda fino al 32% quando tiene palla per più di 2 secondi o è costretto a palleggiare. Si trova a meraviglia con Carmelo e NY quest’anno è in corsa per i playoff, anche se il livello dell’Est si è improvvisamente innalzato: Phil Jackson ha già vinto la sua scommessa?
1) KARL-ANTHONY TOWNS, scelto alla 1 da Minnesota T’Wolves. C; 2e13, 130 kg. – 16p-9,4r-1a-1,9stp in 29min, con 52% dal campo (34% da tre) e 84% ai liberi; PER 22.
Nonostante cifre in diminuzione (13p e 45% dal campo a Gennaio), Carlo Antonio Città è già un fattore a rimbalzo, con sempre almeno 10 carambole catturate quando gioca più di 30 minuti. In difesa concede il 46% al suo diretto avversario nelle conclusioni ravvicinate: cifre, percentuali e atteggiamento non sono da debuttante e sorprende per la bravura nel leggere le situazioni sui due lati del campo.
La prima scelta assoluta è un progetto (quasi) sicuro di giocatore franchigia: è attaccante temibile, tira con il 68% da sotto, può rendersi pericoloso anche dalla media distanza e non disdegna il tiro da tre, arma che utilizza con parsimonia. Deve migliorare nella creazione di gioco per se e per gli altri, aspetto del gioco in cui si affida quasi esclusivamente alla grande attività a rimbalzo d’attacco.
A Minnesota gli obiettivi sono pochini e c’è tempo per crescere e migliorare. È diventato il giocatore più giovane a segnare almeno 25 punti, 15 rimbalzi e 5 stoppate, 27-17-6 nella sconfitta con Dallas. Di fatto, stazza, talento e atletismo lo rendono l’unico del lotto che avrebbe giustificato una chiamata in lottery anche in una classe di draft di livello più alto.
Non concordo assolutamente.
Praticamente tutti stanno esaltando quest draft come uno dei migliori degli ultimi anni a ragione direi.
Prospetti come okafor e porz che sembrano quasi un po più che mediocri sarebbero in cima a quasi tutti i draft passati. KAT sta facendo un annata da rookie assurda paragonabile ai grandi del passato, e molti vedono in lui ancora pi upside di Anthony davis.
Inoltre ti sei dimenticato di Turner di indiana giocatore super e di e stanley dei piston sta fornendo giocate e apporto alla squadra assolutamente ottime, chiedi ai sostenitori dei piston.
Questa classe è assolutamente fantastica e regalare 4 lunghi assolutamente dal eccellente allo straordinario, se tutto va come deve andare
Ciao tmc, grazie per le tue considerazioni.
Ho cercato di essere il più oggettivo possibile, provando a fare una summa tra partite giocate, minuti, statistiche principali, advanced, impatto generale e sulla squadra, resa e aspettative.
Per quanto riguarda Stanley Johnson è stata una scelta dolorosa, tanto che il suo profilo era già pronto ma alla fine ho preferito Booker per la sua ascesa vertiginosa e Kaminsky perché mi sembra uno dei più talentuosi e su cui c’erano e ci sono le maggiori attese. Oltretutto Stanley è forte di un pessimo 36% al tiro (45% al piano inferiore) francamente troppo poco per un top 10 che non eccella in qualche altro aspetto del gioco.
Myles Turner avrei dovuto inserirlo tra le honorable mentions visto che ha saltato molte partite a cavallo di novembre e dicembre dopo un inizio comunque difficile, ma per ragioni di spazio l’ho depennato. Ammetto che tenerlo fuori dopo le sue ultime prestazioni è quantomeno discutibile.
Le considerazioni iniziali sulla caduta di hype erano più considerazioni di carattere generale che su questa classe in particolare in cui, va detto, a parte la top 3, gli altri stanno avendo problemi più o meno seri in aspetti importanti del gioco, uno su tutti le percentuali al tiro. Concorderai con me che il livello medio, seppur non basso, è molto simile per tutti per cui, esclusi i primi 3, è veramente difficile stilare una classifica “esatta”.
Un’ultima considerazione sui tre top. Su KAT concordo con te, tanto che l’ho pronosticato uomo franchigia e ho scritto che le sue cifre e il suo impatto non sono da rookie. Però, Por e Okafor non sono al suo livello. Uno è troppo discontinuo al tiro e deve necessariamente migliorare per essere un fattore anche non da rookie, perché da una scelta in lottery credo sia lecito attendersi un giocatore completo, uniche possa essere un fattore e non solamente uno specialista. L’altro ha delle advanced stat troppo brutte per non tenerne conto: con lui in campo Phila è una squadra peggiore sotto ogni aspetto.
Ciao
AP
*che possa essere un fattore e non solamente uno specialista.
Ciao,
anch’io penso che quest’anno ci siano rookie di ottime prospettive.
Stanley Jonhson oggi non ha percentuali al tiro sfavillanti, così come Winslow, ma entrambi giocano in un ambiente in lotta per i playoff, con veterani di talento in quintetto e dovendo dare fondo alla maggior parte delle proprie energie in fase difensiva. Penso che il loro primo “vero” anno in cui poterli giudicare sarà il prossimo, a mio modo di vedere saranno entrambi titolari al posto rispettivamente di Iliasova e Deng ed avremo perfetti esponenti del ruolo “3&D”.
Come tmc, sono in disaccordo con la scelta di escludere (oltre a Jonhson) anche Turner e Booker; magari stanno trovando solo recentemente il loro spazio, ma lo stanno sfruttando alla grande: tra l’altro si tratta di due ragazzi del ’96, tra i più giovani dell’intero draft. A mio parere avranno una lunga e brillante carriera in NBA.
Non concordo con la posizione di Okafor, in quanto mi aspettavo molto più impegno da lui in fase difensiva (non inganni la statistica di poco più di una stoppata a partita, significa poco e, se vogliamo concentrarci sulle statistiche, mi sarei aspettato numeri migliori a rimbalzo) e, soprattutto, migliori percentuali di realizzazione dal campo dal momento che è la prima opzione offensiva della sua -pur debole- squadra. Mi sarei atteso anche una migliore integrazione con Noel, la quale avrebbe potuto rappresentare l’unico vero elemento su cui basare la ricostruzione dei Sixers.
Non concordo nemmeno con le critiche a Porzingis: è vero, le statistiche sono migliorabili, ma non vorrei che l’analisi di un giocatore finisca per diventare solo la lettura delle sue percentuali. Porzingis, “nonostante” i suoi numeri attuali al tiro, è il giocatore che ha ridato ai Knicks la speranza playoff ed una visione ottimistica del futuro della franchigia: al suo primo anno è già una garanzia, gli vengono affidati palloni importanti e tutti i suoi compagni, compreso Melo, ed il suo allenatore, ne esaltano le doti e la professionalità. Siamo davanti ad un giocatore di grande talento, solido nella mentalità e nel gioco, che non ha patito il salto dall’Europa ad una delle città più difficili della NBA e che avrà un ottimo futuro davanti a sè.
Per quanto riguarda Towns, penso che a lui non manchi nulla dal punto di vista tecnico o atletico, prosegue nella scia degli ottimi lunghi usciti negli ultimi anni da Kentucky (Cousins e Davis su tutti), ma deve mostrare maggior voglia di vincere le partite: un maggior impatto sul punteggio sarebbe auspicabile con il talento che si ritrova. E non chiamiamolo “Carlo Antonio Città” :-)
Trovo che McConnell sia da considerarsi una honorable mention, da rivedere in una Filadelfia con maggior talento; la sua capacità di passare la palla è concreta, ma temo possa diventare un Kendall Marshall “2”. Anche Kaminski dovrebbe ritagliarsi maggior spazio rispetto a Cody Zeller sfruttando l’assenza di Jefferson: Clifford non è certo un coach che dia grande spazio alla maturazione dei rookie, ma “Frank the Tank” potrebbe ritagliarsi più minuti se migliorasse le sue performance attuali. Ciò conferma un mio pensiero legato al fatto che se un giocatore dopo 4 anni di college non è in grado di cambiare il volto di una franchigia sin dal primo anno in NBA, difficilmente potrà diventare un “fattore” in futuro in quanto in suo upside è inferiore a rookie che al college hanno trascorso un solo anno. Kaminski in questo senso può certamente migliorare ancora, ma un giocatore così formato dovrebbe già avere maggior malizia e movimenti in campo per poter garantire un maggior impatto sulla partita.
Mi stupisce infine che non ci siano menzioni positive per Cameron Payne dei Thunder (davvero un ottimo play, che non può vantare più minuti in campo per la presenza di un mostro sacro come Westbrook nel suo ruolo): io penso che un giocatore come lui, capace di tirare, passare, penetrare e difendere potrebbe ritagliarsi un posto da titolare in franchigie competitive ma “play-less” (a mio parere, ovviamente) come Utah o New York. Certo, deve crescere e migliorare come tutti i rookie, ma dopo due anni al college ha dimostrato già dopo poche partite (ed un’estate travagliata per problemi fisici) di poter guidare con buoni risultati la second-unit dei Thunder accantonando di fatto il più esperto DJ Augustin.
Nelle occasioni in cui ho visto giocare sia Towns che Okafor ,i è sembrato che il primo fosse molto più avanti sia per tecnica abbinata ai centimetri che per personalità/voglia. Certo Phila deve essere un gran cantiere aperto senza un leader al KG che mette assieme le cose, ma Towns mi è sembrato più pronto, più reattivo più motivato e voglioso di mostrarsi. Okafor invece mi ha dato l’impressione di essere un poco in difficoltà nel suo ruolo di uomo sul quale costruire(come ci si aspetta da una scelta così alta) e perso nel marasma dei 76s. Forse le cose possono cambiare, ma al momento punterei qualcosa su Towns.