I Cleveland Cavaliers hanno un grande rimpianto rispetto alle NBA Finals dello scorso anno: non aver avuto la possibilità di giocarsi la sfida per il titolo con tutte le armi a disposizione.
Kevin Love era stato messo fuori combattimento dal fallo di Kelly Olynyk durante il primo turno contro i Boston Celtics, mentre Kyrie Irving, già non al meglio durante le prime serie dei playoff, aveva dovuto gettare la spugna in gara 1 a causa della frattura alla rotula del ginocchio sinistro.
LeBron James era quindi rimasto quasi da solo a difendere la baracca, cosa che peraltro ha fatto in maniera semi-eroica, e questo non era stato sufficiente per opporsi alla forza del collettivo di Golden State.
L’obiettivo dichiarato di questa stagione era quindi quello di tornare sul palcoscenico più di importante per giocarsi nuovamente il titolo, ma stavolta con l’organico al completo.
Cleveland si è presentata ai nastri di partenza della stagione con un roster quasi immutato rispetto all’anno passato e la prima metà di campionato è tutto sommato da considerarsi positiva. Nonostante un gioco non sempre scintillante, al momento in cui scrivo i Cavaliers sono saldamente assisi al primo posto della Eastern Conference con un soddisfacente record di 30 vinte e 11 perse.
Soddisfacente sì, ma evidentemente non troppo. È notizia recente che Cleveland abbia appena licenziato coach David Blatt, per sostituirlo con il suo primo assistente Tyronn Lue che ha firmato un biennale a 3 milioni a stagione, con opzione per il terzo anno. Dell’argomento riparleremo più diffusamente più avanti, ma la notizia è stata certamente di quelle scioccanti, anche se non proprio un fulmine a ciel sereno.
Questo perchè disputare una buona, o anche ottima, stagione non è un traguardo che possa considerarsi sufficiente per le aspirazioni della franchigia dell’Ohio. L’unico e solo obiettivo di James e compagni è il titolo di Campioni NBA, ma mentre ad Est sembrano poter dettare legge fino in fondo con apparente facilità, i quesiti più grossi emergono riguardo all’ipotetico scontro in finale con la rappresentante dell’Ovest.
In particolare, vista la straordinaria stagione che stanno disputando i Golden State Warriors, un rematch delle ultime finali sembra attualmente l’evento con le più concrete possibilità di realizzarsi da qui al prossimo giugno, anche se i San Antonio Spurs stanno anch’essi giocando in modo meraviglioso e personalmente non vedo l’ora di vedere l’ormai prossimo Warriors-Spurs in programma lunedí 25 gennaio in quel di Oakland.
Ma supponendo per un attimo che i Warriors arrivino nuovamente in finale, ora che Irving e Love sono entrambi rientrati a pieno regime, potrebbe Cleveland considerarsi pronta a vendicarsi della sconfitta subita lo scorso giugno e a conquistare finalmente il primo titolo della storia della franchigia? A quanto visto nella partita di lunedì, direi decisamente di no.
E’ finita 132 a 98 per i gialloblu della Baia, peggior sconfitta subita nell’era LeBron James dai Cleveland Cavaliers.
Curry e il resto dei Warriors hanno letteralmente fatto a pezzi i ragazzi di Coach Blatt e la prestazione del Prescelto è stata molto al di sotto dei suoi abituali standard. Il risultato è stato un passivo che ha toccato nel terzo quarto anche i 43 punti e una partita che non è mai stata in discussione, anzi la punizione avrebbe potuto essere ancora più umiliante se non ci fosse stato un intero quarto quarto di garbage time con i titolari ormai a riposo.
“They came in and gave us an ol’ fashioned a– kicking” ha dichiarato James nel post-partita, sostanzialmente “Sono venuti e ci hanno preso a calci nel sedere”. Per la verità anche nella partita di Natale, seppur meno imbarazzante nello svolgimento e nel punteggio, la superiorità di Golden State nello scontro diretto era apparsa abbastanza netta. In quel caso però Irving era appena rientrato dall’infortunio, si giocava nella bolgia di San Francisco e i Cavs potevano quindi opporre qualche alibi, dietro a cui ora invece non possono più nascondersi.
Come mai Cleveland non sembra in grado di risolvere i problemi di match-up incontrati lo scorso giugno, anzi il divario sembra essere addirittura aumentato nonostante il ritorno a roster dei pezzi mancanti?
Il primo motivo fa Stephen di nome e Curry di cognome ed è fin troppo scontato. L’MVP della scorsa (e a meno di un cataclisma anche di questa) stagione lunedì sera ha fatto a fette la difesa dei Cavs, tirando 12 su 18 dal campo con 7 triple. Inoltre sembrava aver preso sul personale il fatto di non aver ricevuto il premio delle MVP delle finali dello scorso anno e ad un certo punto pareva quasi che, invece di limitarsi “solamente” a vincere la partita, cercasse di imbarazzare James e compagni per dimostrare al pubblico dell’Ohio la propria forza.
Il secondo è da ricercarsi a livello mentale. I 132 punti subiti nel Martin Luther King Day sono un’enormità per quella che, numeri alla mano, è la quarta miglior difesa della Lega. C’è stato un evidente problema di approccio alla gara, non è altrimenti spiegabile come una partita così importante possa cominciare con una schiacciata concessa ad un liberissimo Bogut sul primo possesso.
I Cavaliers si sono presentati impreparati mentalmente prima ancora che tecnicamente o tatticamente, e da lì in poi non sono mai riusciti ad entrare in partita, schiacciati dalla furia dei Warriors, che sembravano invece arrivati alla Quicken Loans Arena come se fossero loro ad avere qualcosa da dimostrare all’avversario.
Irving non è mai stato un gran difensore ma non ha tenuto un palleggio degli esterni che fosse uno, i lunghi si sono fatti trovare impreparati nel difendere il ferro, e i raddoppi su Curry e Green, effettuati per levar loro la palla dalle mani, sono stati controproducenti perché i due hanno servito agevolmente i taglianti e i tiratori sul perimetro. In sostanza i Warriors hanno fatto quello che volevano con una disarmante facilità, portando i Cavs fino alla frustrazione e al nervosismo.
https://www.youtube.com/watch?v=Ny_utO73eJY
https://www.youtube.com/watch?v=AwfNKKbYieA
Il terzo aspetto critico è quello offensivo. Nei due scontri stagionali l’attacco di Cleveland non è mai stato realmente in grado di impensierire la difesa dei Warriors, che non da ieri è una delle primissime della Lega sia come organizzazione che come singoli interpreti.
Se nella gara di Natale la difesa di Cleveland era riuscita a contenere i danni tenendo i Warriors al 41%, questo non era comunque bastato per vincere la partita perché i in attacco avevano fatto ancora peggio tirando con il 31%.
James continua ad intestardirsi cercando di attaccare dal post, con ricezioni statiche che non infastidiscono più di tanto la difesa in particolare quando il Prescelto è marcato da Iguodala o da Green, che riescono a contenerlo in maniera mirabile senza bisogno di particolari aiuti da parte dei compagni.
Irving non è ancora al 100%, Della Vedova è già miracoloso per quello che porta alla causa ma non è certo un creatore di gioco o un grande realizzatore, Shumpert e Smith continuano ad essere sostanzialmente dei non-factor come era stato nelle finali del 2015 e i lunghi fanno molta fatica per un problema di accoppiamenti complicati con i pariruolo di Golden State.
Poi ci sarebbe il capitolo Kevin Love.
L’ala da UCLA in questo periodo sembra sinceramente il più in difficoltà di tutti. In particolare le due gare stagionali contro i Warriors, ma anche la recente gara contro i San Antonio Spurs (che lo attaccavano sistematicamente su quasi ogni possesso), hanno dimostrato come Love sia clamorosamente inadeguato dal punto di vista difensivo e le sue lacune vengono crudelmente esposte ad ogni partita giocata contro formazioni di alto livello.
Se poi dall’altra parte del campo il suo apporto offensivo nelle tre gare in questione è stato in media di 7,5 punti con il 30% dal campo, allora la coperta è ben più che corta.
Già da più parti catalogato come “overrated & overpaid” ossia sopravvalutato e strapagato (ma anche Tristan Thompson con il suo fresco contratto da 82 milioni in 5 anni non è che venga via proprio gratis), in generale dal suo arrivo a Cleveland Love non ha reso quanto sperato dai tifosi e dalla dirigenza, che nell’estate del 2014 gli ha allungato un ricco contratto da 110 milioni in 5 anni.
Inoltre il suo rapporto con il LeBron non è mai decollato, con James che non ha mancato più di una volta di far percepire il suo disappunto, in maniera indiretta e non, per le scadenti prestazioni del compagno.
Già, LeBron…
Se nelle Finals dello scorso anno tutti avevano lodato il suo straordinario “losing effort”, in questi due nuovi episodi della rivalry contro Curry e i Warriors ha invece palesato delle grosse difficoltà sia emotive che tecnico-tattiche. Come detto prima, troppa staticità in post, poca circolazione di palla, troppa testardaggine nel voler attaccare a testa bassa contro la difesa schierata.
Dopo l’ultima gara il figlio di Akron ha detto che i Cavs sono attualmente molto distanti dal “championship level” che si aspettava di raggiungere in questa stagione. Lui e Blatt si sono presi la colpa per l’approccio sbagliato alla gara, ma in particolare da lui ci si aspettava che come leader riuscisse a trasmettere ai suoi più determinazione, specialmente dopo che nel prepartita Curry aveva detto pubblicamente che sperava di sentire ancora negli spogliatoi della Q Arena l’odore dello champagne, con cui i Warriors avevano festeggiato la vittoria del titolo nella loro ultima visita a Cleveland.
Da James tutti si aspettano sempre prestazioni mostruose, ma senza voler peccare di lesa maestà è forse possibile che anche per lui sia cominciata la fase di declino della carriera? Intendiamoci, quest’anno viaggia pur sempre a 25,1 punti, 7,24 rimbalzi e 6,0 assist di media per allacciata di scarpe, che sono numeri incredibili e in media con le sue precedenti stagioni, ma alcune statistiche avanzate denotano come alcuni aspetti del suo straordinario rendimento stiano cominciando leggermente a calare.
A parte il suo storicamente ondivago jump shot, che quest’anno recita un non entusiasmante 32%, anche la sua percentuale al ferro è scesa dalle irreali stagioni oltre il 70% di media al 64,9% di questa prima parte di campionato (pur sempre un risultato eccezionale visto che la media della Lega è circa del 55%).
Inoltre, un’altra statistica interessante mostra come la percentuale delle conclusioni di LBJ al ferro che sono state stoppate sia praticamente raddoppiato nelle ultime due stagioni, passando da circa il 5% a quasi il 9%.
Iniziano quindi ad intravedersi i primi segni di umanità in un fisico da autentico “freak of nature” come James? Può essere, se teniamo conto che pur avendo solo 31 anni LeBron è alla tredicesima stagione NBA e ha già giocato più minuti sul parquet di quanto abbiano fatto Magic e Bird in tutta la loro carriera (attualmente è quarantanovesimo all-time con oltre 37.000 minuti).
Se però Cleveland vuole avere qualche speranza di riuscire a portare in città il tanto sospirato stendardo di campioni NBA, LeBron dovrà rimboccarsi le maniche e produrre un finale di stagione ad altissimi livelli, perché nessun altro componente del roster è in grado di fare la differenza che serve per arrivare fino in fondo.
Possibilità di portare qualche ulteriore rinforzo a Cleveland prima della deadline ce ne sono poche. L’unica mossa potrebbe essere quella di sacrificare Mozgov, in scadenza di contratto a fine stagione, per cercare di portare a Cleveland un lungo più mobile (Markieff Morris?) o un esterno con punti nelle mani (Brandon Jennings?).
Veniamo infine alla notizia del giorno. Prima della breaking-news sul licenziamento di Blatt, era opinione abbastanza diffusa che l’unica vera scossa potesse arrivare da un cambio della guida tecnica. Se si guardano solo i risultati, l’idea era un po’ paradossale visto che i Cavs sono saldamente al primo posto nella Eastern Conference e mostrano un deciso progresso rispetto all’anno passato (allo stesso punto della scorsa stagione Cleveland era appena sopra il 50% di vittorie).
Ma Blatt era da più parti considerato inadeguato per guidare i Cavaliers alla conquista di un titolo. Non tanto per una questione di capacità tecnico-tattiche, anche se effettivamente la sua amata Princeton Offense non sempre è stat declinata alla perfezione dai giocatori in campo, quanto per un fatto di “respect” da parte dei giocatori e dell’ambiente.
Ma Blatt secondo i rumors godeva della fiducia del proprietario Dan Gilbert e fino a ieri non sembrava in reale pericolo di licenziamento.
Invece il GM David Griffin ha comunicato di aver preso questa decisione a causa di una mancanza di identità di vedute tra il coach e la dirigenza. Griffin dice di aver scelto da solo, ma a meno di non voler credere nelle favole è difficile pensare che la direzione presa non sia perfettamente in linea con i desideri di LeBron James, visto che proprio lui sembrava spesso rivolgersi a Lue durante le partite, piuttosto che a Blatt, quando voleva confrontarsi con qualcuno dello staff tecnico.
Da parte sua l’ormai ex-coach David Blatt ha reagito alla notizia con la consueta classe, ringraziando tutti per la fantastica esperienza, ma non c’è dubbio che la notizia sarà stata per lui molto dura da digerire.
Sarà stata la scelta giusta? Sarà la mossa decisiva per scatenare tutta la forza del roster dei Cavs? Lue sarà pronto ad allenare un gruppo così ambizioso?
Presto avremo delle risposte, Cleveland resta comunque una delle favorite per il titolo e forse deve solo sperare che ad eliminare Golden State ci pensi qualcun altro…
Ex pallavolista ma con una passione ventennale per il basket NBA e gli sport americani in generale. Tifoso dei Mavericks, di Duke e dei ’49ers, si ispira a Tranquillo e Buffa ma spera vivamente che loro non lo scoprano mai.