A proposito delle partite NBA di Natale, Phil Jackson dixit: “Sembra che per la NBA le feste cristiane non significhino più nulla”.
Maestro Zen finché si vuole, Jax è pur sempre cresciuto in un’austera famiglia di Ministri della Fede, assai maldisposti verso i mercanti nel tempio. Jackson conosce l’argomento, avendo preso parte a un’infinità di partite natalizie, tra quelle giocate e quelle allenate (per le quali detiene ex-aequo il record di 11 vittorie).
L’altro recordman è Jack Ramsay, indimenticato e indimenticabile coach dei Blazers, che della partita di Natale serbava un ricordo diametralmente opposto: “Natale significava essere a casa con la famiglia, e disputare una partita che vincevamo sempre. Quello per me, era un Natale perfetto”.
Qualunque sia la tesi da voi prediletta, è indubbio che, nella categoria dei lavoratori del 25 dicembre (inclusiva di ferrovieri, edicolanti, medici degli ambulatori, e tanti altri) i professionisti NBA sono certamente dei privilegiati, non foss’altro per il lauto stipendio, che addolcisce la prospettiva di sottrarre alla famiglia un giorno che dovrebbe esserle viceversa dedicato.
I cugini inglesi della Premier League sono a loro volta allergici all’idea che l’intrattenimento abbassi le serrande durante le festività, ma si limitano a scendere in campo il giorno di Santo Stefano (che loro chiamano Boxing Day, facendo riferimento all’uso ottocentesco e dickensiano delle classi agiate di riciclare i pacchetti dei propri regali per fare doni alla servitù, o, più in generale, ai meno abbienti).
Sono temi che non sfiorano la Penisola, dove ci sono state resistenze anche solo per giocare all’ora di pranzo, e dove, tutt’ora, le trasmissioni TV vanno in vacanza da maggio a ottobre, rimpiazzate dalla mitica e inossidabile Signora in Giallo.
Per quanto quindi, al momento, il problema non coinvolga il nostro basket (o il nostro sport in generale), trattasi di questioni che coinvolgono una contemporaneità che non riconosce più recinti sacri, siano essi la maternità, le feste, o il riposo settimanale. Ci si chiede, un fondo, a cosa serva tutta questa fregola produttiva. Qui prodest?
D’altronde, è sensato che il settore dell’intrattenimento approfitti dei giorni in cui “gli altri” hanno più tempo a disposizione, per quanto le parole di LeBron James facciano non nascondano un certo malessere: “Se chiedete ad un qualsiasi giocatore dove preferirebbe essere, vi risponderà a casa, con la famiglia. Non è una festa come le altre, è un giorno in cui vorresti alzarti con i bambini, e scartare i regali”.
Tuttavia, The Show Must Go On, e così, dal 1947 la NBA disputa almeno una partita “on Christmas Day” (l’unica eccezione il 1998, a causa della serrata dei proprietari), come vetrina per mettere in mostra i match-up più interessanti, e per proporre maglie “alternate” (quest’anno con i nomi delle squadre scritte in stile cartolina natalizia, che fa tanto New England), o sneaker apposite, dai colorini –diciamo così- sgargianti.
Inizialmente, la partita di Natale riguardava rivalità locali, perché si tentava di evitare alla squadra ospite una poco simpatica trasferta il 25 dicembre, e andava in onda su emittenti minori come WCBS, che trasmise il primo, storico confronto natalizio tra New York Knicks e Providence Steamrollers; occorre attendere il 1967 e un Los Angeles Lakers vs. San Diego Rockets, per la prima gara “on-air” a livello nazionale su ABC.
La franchigia con più Christmas Games di tutte è New York, da sempre squadra prediletta d’America (assieme ai Lakers) con 49 presenze sotto l’albero e un record di 22-27, la più larga sconfitta natalizia di sempre (contro i Thunder nel 2013), ma anche i sessanta punti di Bernard King nel 1984, o le tre spettacolari sfide contro i Bulls degli anni novanta.
Il singolo giocatore con più presenze il 25 dicembre è invece Kobe Bryant, con 15 (quest’anno arriverà la sedicesima ed ultima), che, manco a dirlo, è anche il miglior realizzatore di sempre, a quota 383 (dietro a lui, l’immenso Oscar Robertson, a 377).
Storicamente, la squadra di casa è molto avvantaggiata (142-75), e di sicuro centra qualcosa la possibilità di passare la mattina di Natale a scartare regali con i propri figli, anziché a languire in una camera d’albergo con il massaggiatore e i propri compagni di squadra, posto che, se spesso i matinée sono gare strane, il Christmas game fa storia a sé, con le squadre che si presentano al palazzetto senza aver fatto allenamenti, o anche un semplice walk-through.
L’unica franchigia a non aver mai avuto il piacere (o il dispiacere, secondo i gusti) di giocare il 25 dicembre è Minnesota, ed è un fatto abbastanza bizzarro, perché per anni ai Timberwolves ha gavazzato un certo Kevin Garnett che non avrebbe fatto certo male agli ascolti, ma tant’è, il compianto Flip Saunders e i Wolves l’hanno sempre sfangata!
Quest’anno, il ricco bouquet di gare natalizie NBA include cinque partite adatte a ogni tipo di palato:
C’è il re-match della Finale, tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers (in diretta su SkySport, alle 23:00); poi i Pelicans di Anthony Davis andranno a fare visita ai Miami Heat, i Chicago Bulls se la vedranno con i Thunder alla Chesapeake Energy Arena, i San Antonio Spurs saranno in trasferta a Houston, e infine, chiude il palinsesto il derby della città degli Angeli, che si terrà in uno Staples gialloviola.
Insomma, l’unico imbarazzo, è quello della scelta, e naturalmente, un auguri di un Buon Natale da Playit.USA!
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Solo in Italia lo sport si ferma nelle feste natalizie!