Atto terzo dell’era Brad Stevens in casa Boston Celtics, con i verdi della Beantown attesi alla stagione della conferma dopo una crescita tanto sorprendente quanto esponenziale che li ha portati a una difficilmente pronosticabile settima piazza nella graduatoria della Eastern Conference dello scorso anno.

Boston riparte dal cappotto subito dai Cavs in un primo turno di playoff che, oltre ad avere riportato la postseason al TD Garden, ha aperto gli occhi agli appassionati sulle potenzialità di un roster da tenere sotto attenta osservazione nella stagione ormai alle porte.

Confermarsi, si sa, è molto più complicato che affermarsi: per questo motivo c’è grande interesse attorno ai Boston Celtics targati 2015/2016, che si presentano ai nastri di partenza della Eastern Conference con l’obiettivo di ripetere le buone cose fatte vedere lo scorso anno.

Brad Stevens guida un gruppo che, in un ipotetico “girone di ritorno” della passata stagione, ha messo insieme l’ottimo ruolino di 25 vittorie a fronte di 16 sconfitte.

Un rendimento eccellente quello tenuto dai biancoverdi nella seconda parte della regular season, che è valso loro il settimo posto in classifica con un totale di 40 successi e 42 k.o. Ma che cosa è cambiato in casa Celtics rispetto alla passata stagione?

Anche per quest’anno i fuochi d’artificio paventati dal co-owner Wyc Grousbeck sono rimasti una pia illusione, ma Danny Ainge ormai ha fatto il callo al dover fare di necessità virtù ed è riuscito a portare a buon fine alcune mosse interessanti per mantenere alto il livello di competitività del roster.

Salutati Brandon Bass, apprezzatissimo nelle quattro stagioni in biancoverde (e accasatosi però ai Lakers, cuore ingrato), e Gigi Datome, capace di ritagliarsi un posto speciale nel cuore dei bostoniani nonostante la breve militanza in biancoverde, e liberatosi del contratto-capestro del mai rimpianto Wallace, il GM dei C’s ha aggiunto peso ed esperienza a una frontline che pareggia il reparto esterni quanto a affollamento e a possibili soluzioni tattiche.

David Lee, fresco campione Nba con la maglia di Golden State, e Amir Johnson, arrivato dopo sei stagioni passate a Toronto, magari non saranno due nomi in grado di scaldare il cuore dei tifosi, ma rappresentano senza alcun dubbio aggiunte di livello per una squadra che dovrà vedersela con una fitta concorrenza per giocarsi l’accesso ai playoff.

Coach Stevens ha puntato forte sull’ex Warriors nelle prime due gare di preseason, affiancandolo a Zeller in un duo atipico e dinamico che, se non rappresenta esattamente la vostra muraglia difensiva ideale, offre soluzioni variegate e imprevedibili nella metà campo offensiva.

Il basket proposto dai Celtics, basato su ritmi alti, spaziature e rapida circolazione del pallone, sembra calzare a pennello per Lee, che nelle due gare europee ha giostrato spesso e volentieri nella zona del prediletto gomito (come ai tempi dei Knicks dell’era pre-Melo) risultando una pedina importante nello scacchiere tattico in virtù della sua capacità di giocare spalle a canestro e delle qualità di passatore non comuni per un lungo. Con l’aggiunta di questa chicca da saltare sul divano.

Dal canto suo Johnson, firmato con un corposo biennale (24 milioni equamente divisi, con una seconda stagione non completamente garantita), potrà essere una carta importante dalla panchina, dalla quale sarà chiamato a portare intensità e fisicità che Sullinger e Olynyk non hanno nelle corde.

Per il suddetto duo siamo alla stagione della verità, specialmente per quanto concerne il prodotto di Ohio State: Boston ha tempo fino al 2 novembre per discutere la sua estensione salariale, ma è probabile che la questione venga rimandata al termine della stagione. Nel frattempo il numero 7 dovrà dimostrare di poter dare continuità al proprio rendimento, dopo un’estate nella quale ha lavorato per diminuire la corposa massa grassa (alla domanda “Jared, com’è andata la dieta?” vi risponderà così).18900670-mmmain La versatilità e la concorrenza nelle rotazioni dei lunghi si replicano con un copia e incolla quando si tratta di parlare del reparto esterni, ormai un cliché che si ripete puntualmente da due stagioni a questa parte. Rinnovati i contratti di Crowder e Jerebko, aggiunti Rozier e Hunter in sede di draft e preso Jones da Oklahoma City, il backcourt dei Celtics si preannuncia più affollato che mai.

Nel doppio test contro Olimpia e Real, coach Stevens si è affidato al trio Smart-Bradley-Crowder che, al netto dell’infortunio che sta tenendo ai box Evan Turner, si candida alla titolarità per la prima palla a due ufficiale della stagione.

Bradley è ormai uno dei veterani del gruppo, ed è stato uno tra i più positivi nella trasferta europea: 11/20 dal campo e 7/8 da tre per il giocatore che vanta la più lunga militanza in biancoverde nel roster attuale, e che sembra poter continuare ad avanzare sulla strada che lo sta portando a essere un giocatore a tutto tondo, capace di abbinare una consistente dimensione offensiva alle capacità difensive da sempre a livello d’eccellenza.

Crowder dovrà mostrare di meritarsi il rinnovo contrattuale (a cifre assolutamente di mercato, per dirla tutta) firmato in estate, mentre Smart sarà chiamato a chiarire le idee sulle sue reali potenzialità.

La Summer League aveva fatto intravedere un giocatore più maturo e consapevole del proprio repertorio: non più solo soluzioni perimetrali, sostituite spesso e volentieri da decisi affondi nel cuore dell’area, sfruttandolo il fisico da torello per fare breccia nelle difese avversarie.

Una tendenza confermata dalla gara del Forum, che però è tornata a invertirsi in quel di Madrid, accompagnata dalla sempre più netta sensazione che le qualità di regista non siano il punto saliente del suo gioco, fatto di una dimensione difensiva già da élite del gioco ma anche da una galassia offensiva ancora tutta da esplorare. Ecco che, alla luce di queste considerazioni, torna prepotentemente in gioco il ruolo (e il futuro in biancoverde) di Evan Turner: l’infortunio che lo ha messo fuori causa nelle prime due amichevoli stagionali non appare preoccupante, ma quando il numero 11 tornerà a disposizione per Brad Stevens sorgerà un nuovo problema di abbondanza. La partenza nella second unit è sicuramente un’opzione, che però sembra destinata a collidere con le aspirazioni e le caratteristiche di quello che potrebbe essere l’uomo decisivo per i sogni di gloria biancoverde: dopo l’impatto meteoritico con il pianeta Celtics, Isaiah Thomas si prepara a dare l’assalto al titolo di sesto uomo dell’anno, un riconoscimento al quale potrebbe concorrere a pieno titolo se riuscirà a ripetere le cifre messe insieme nelle sue prime gare (19 punti e 5 assist ad allacciata di scarpe) con highlights di questo genere.

Un ruolo, quello di lider maximo della second unit, che potrebbe però fare a cazzotti con le caratteristiche del suddetto Turner: la seconda scelta del Draft 2010 ha confermato di poter rendere al massimo con il pallone spesso e volentieri nelle sue mani, accentrando il gioco nel ruolo di point forward che sembra essere quello più consono alle sue caratteristiche.

Ma Stevens sarà disposto a limitare l’impatto potenzialmente devastante di Thomas per tentare una coesistenza con Turner? Alla luce di quanto detto, e aggiungendo al mix le non ancora eccelse qualità di regista di Smart, appare più plausibile una conferma di quanto visto nella passata stagione, con l’ex Pacers inserito nel quintetto titolare e il conseguente dirottamento in panchina di Crowder.

Una panchina dalla quale hanno trovato finora spazio Terry Rozier e R.J. Hunter, due dei rookie arrivati dal draft assieme a Jordan Mickey. Se il terzo appare chiuso nelle folte rotazioni del reparto lunghi, per le due guardie potrebbe aprirsi qualche spiraglio: l’infortunio di Turner ha permesso loro di beneficiare di minuti importanti nelle prime due gare di preseason, e potrebbero essere le sorprese estratte dal cilindro di coach Stevens.

Il tutto aspettando l’evoluzione della curva di crescita di James Young, apparso per la verità un po’ intristito nel doppio impegno europeo.

Ottobre non è certamente il mese più indicativo per delineare il futuro di una franchigia, ma se il buongiorno si vede dal mattino questi Boston Celtics possono candidarsi con convinzione per bissare l’accesso ai playoff centrato lo scorso anno. Nonostante i tanti volti nuovi e l’inevitabile ruggine portata dai cinque mesi di inattività la squadra è scesa in campo con un’identità già definita, mettendo immediatamente in pratica il basket all’insegna dei ritmi alti e della rapidità di esecuzione predicato da coach Stevens. 

Al terzo anno sulla panchina della franchigia più vincente della Nba, Stevens appare sempre più l’uomo giusto per la rinascita biancoverde.

Davide Pessina ha centrato il punto, definendo in telecronaca l’ex coach di Butler come il “leader dei Boston Celtics”: mai citazione fu più felice, perché nonostante la sua faccia da eterno ragazzo Stevens sembra avere già in pugno un gruppo pronto a seguirlo e a regalare soddisfazioni ai sostenitori del Trifoglio.

Vero, a Boston i successi si festeggiano soltanto a giugno; ma, in una Eastern Conference che appare assai rafforzata rispetto alla passata stagione, ripetere il settimo posto dello scorso anno diventa un obiettivo più che mai realistico.

 

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