Dovessimo scegliere un titolo per il 2015-16 targato Los Angeles Lakers, sarebbe “The Future is Now”; il futuro, infatti, porta i nomi dei tre ragazzi (Jordan Clarkson, Julius Randle, e D’Angelo Russell) che saranno sin da subito la principale attrazione per il pubblico dello Staples, mai sazio di Kobe, ma certo anche curioso di scoprire le potenzialità del nuovo nucleo dei Lakers.
I gialloviola si sono presentati a El Segundo per il Media Day (subito prima di partire per Honolulu, che, per volere di Jeannie Buss, torna a essere la sede del Training Camp e delle prime due amichevoli stagionali, contro Utah) al contempo consci dei limiti nell’immediato e consapevoli delle buone prospettive a medio-lungo termine.
Rispetto alla passata stagione, sono rimasti alcuni “pezzi” dal buon impatto: Tarik Black e Ryan Kelly, oltre alla mascotte Robert Sacre e a Nick Young, che però, dovessero presentarsi degli acquirenti, potrebbe anche essere scambiato.
È ovviamente confermatissimo Jordan Clarkson, la guardia scelta con la 46esima chiamata del draft 2014 e capace di guadagnarsi un posto nel primo quintetto All-Rookies, un onore che nessun Laker raggiungeva dai tempi ormai remoti di Eddie Jones. Il nativo di San Antonio ha beneficiato alla grande di una seconda parte di stagione in cui Coach Byron Scott gli ha dato luce verde, mettendosi in mostra come uno dei migliori esordienti in un’annata che traboccava talento.
Oltre a loro, Los Angeles ritrova Julius Randle (che saltò l’intero 2014-15 dopo essersi rotto una gamba all’esordio) e l’immarcescibile Kobe Bryant, che però ha 37 anni, e ha giocato solo 41 partite negli ultimi due anni. Il figlio di Jelly Bean giunge alla sua ventesima stagione NBA (toglie a John Stockton il record per numero di stagioni con la stessa squadra), e dice di sentirsi bene fisicamente, rimandando ogni considerazione sul possibile ritiro alla fine dell’anno (è invece sicuro che a maggio andrà in pensione Gary Vitti, il leggendario Athletic Trainer dei gialloviola).
Il trascorrere degli anni pesa per tutti (nelle prime settimane di camp, il Mamba partecipava solo a una delle due sessioni d’allenamento quotidiane) ma non dubitiamo che Bryant riuscirà ugualmente ad avere impatto, e, come ha anticipato lo stesso Kobe, è probabile che gli vedremo fare più catch-and-shoot e meno palleggi.
Sono partiti i deludenti Carlos Boozer e Jeremy Lin, oltre ad alcuni onesti role player come Ronnie Price (che piaceva tantissimo a Scott, ma da troppo poco in attacco), Jabari Brown (tagliato lunedì) Wesley Johnson (ora ai Clippers) e Wayne Ellington, oltre all’impalpabile Jordan Hill. L’unico giocatore da rimpiangere è probabilmente Ed Davis, che l’anno prossimo vestirà la casacca nera dei Blazers.
A sostituirli sono arrivati tre rookie, capitanati da D’Angelo Russell, 2° scelta assoluta del 2015 (la più alta capitata ai Lakers dai tempi di James Worthy, che quest’anno torna in gialloviola come assistente speciale per i lunghi), oltre a Larry Nance jr (una versione più atletica del vecchio “Mad Dog” Mark Madsen, che con Paul Pressey e Jim Eyen accompagnerà Byron Scott in panchina) e Anthony Brown, SF dal buon tiro, che dovrà lottare per avere minuti.
Pur senza riuscire a catturare nessun grande nome nella free agency (com’è normale: quale superstar sceglierebbe mai di accasarsi in una squadra così inesperta?), Los Angeles è stata molto attiva; ecco allora Brandon Bass, solida PF che porta in dote esperienza e impegno, il centrone Roy Hibbert, scaricato da Larry Bird, il Sesto Uomo dell’Anno Louis Williams, Marcelo Huertas (con un contratto non garantito che a 32 anni è un bel rischio, e la dice lunga sulla sua voglia di mettersi in gioco) e Metta World Peace (che, da ex canturino convinto, si è anche portato al Camp la maglia da riscaldamento dei brianzoli).
Mitch Kupchak ha aggregato al gruppo anche lo stoppatore Robert Upshaw, Michael Frazier, da Florida, e Jonathan Holmes, da Texas, tutti e tre tagliati durante il training camp.
Frazer ha mostrato buoni lampi, ma lo spot di guardia era già colmo all’inverosimile, mentre Upshaw ha probabilmente continuato a mostrare quell’immaturità che lo aveva condannato a finire undrafted, a dispetto di un talento atletico di primissimo piano (ad ogni buon conto, L.A. lo ha aggregato alla propria squadra di sviluppo, i D-Fenders).
Il bilancio tra partenze e arrivi è in attivo, ma il roster è poco equilibrato, con tantissime guardie e ali forti, e una rotazione ridotta all’osso in SF, che, in combinato disposto con l’inesperienza di tanti giocatori importanti, rende arduo preconizzare un record positivo.
Il reparto-guardie è ricco, con punti nelle mani (Williams, Young), atletismo e talento (Clarkson e Russell, ovviamente), ed esperienza (Kobe Bryant e Marcelinho), tanto che il Black Mamba e Young dovrebbero essere spostati in ala piccola; a prescindere dal ruolo, Kobe dovrà essere mentore e guida del gruppo, replicando quanto fatto nel 2008, quando, assieme a Derek Fisher, prese per mano i vari Jordan Farmar, Sasha Vujacic e Andrew Bynum.
La situazione è migliorata dal punto di vista della difesa interna –d’altronde, era difficile fare peggio!– perché Roy Hibbert (padrone indiscusso dello spot di centro, e chiamato alla riscossa dopo un paio di stagioni insoddisfacenti), con tutti i suoi limiti, è semplicemente un giocatore superiore a Jordan Hill, mentre Tarik Black e Robert Sacre saranno riconsegnati a un ruolo più confacente, dividendosi i minuti rimanenti; però va anche detto che non basta un rim-protector per fare una grande difesa, e gli esterni di L.A. non sono famosi per la capacità di “schienare” gli avversari.
Julius Randle dovrebbe essere titolare nello spot di PF, forte di doti che lo rendono un’ala moderna: possente, esplosivo, eppure verticale, è veloce e padroneggia il palleggio (lo vedremo spesso prender rimbalzo e lanciarsi in contropiede).
Lavorare con James Worthy lo aiuterà tantissimo, così come fare a sportellate in allenamento con World Peace e Brandon Bass (che ha dalla sua esperienza e solidità difensiva, almeno in assigment).
Completano l’affollata rotazione Ryan Kelly e Larry Nance jr; il primo è un’arma tattica che fornisce tiro da fuori, mentre il secondo è la classica ala forte tutta energia e “garra”.
Le ali piccole del roster non sono un granché (pur rinvigorito dall’esperienza al Pianella, Metta non è più quello dei tempi belli, e Anthony Brown non è pronto per giocare tanti minuti), tanto che, come detto, è stata ventilata l’ipotesi di spostare Bryant e Nick Young in ala.
Potrebbe essere una benedizione sotto mentite spoglie: centellinare Kobe Bryant da small forward (in un ruolo alla Paul Pierce) gli consentirebbe di arrivare fresco a fine partita, senza correre dietro a guardie che hanno la metà dei suoi anni.
Jordan Clarkson e D’Angelo Russell sono indiziati a comporre il back-court titolare (posto che Scott ha sperimentato anche un quintetto con Clarkson e Kobe titolari e Russell da riserva), mentre Williams avrà il compito di portare punti dalla panchina.
La firma di Huertas, che ha sorpreso molti, risponde all’esigenza di dotare la squadra di un secondo playmaker alle spalle di Russell, ma è non è ancora stabilito quanti minuti avrà effettivamente, anche se è facile supporre per lui un ruolo alla Pablo Prigioni.
Secondo alcuni commentatori, Los Angeles avrebbe fatto meglio a non firmare veterani, lasciare in campo i rookie il più possibile, consegnandosi alla lottery senza colpo ferire per evitare di perdere la prima scelta 2016 -top 3 protected-.
Ogni opinione è lecita, ma è una tesi che rigettiamo: Hibbert, Williams, Bass e World Peace non impediranno ai giovani di scendere in campo; viceversa li impegneranno in allenamento, costringendoli a guadagnarsi i minuti, e li correggeranno, in campo e fuori.
È chiaro a tutti che il roster ha dei difetti che non vanno sottovalutati: con due lunghi veri e giocatori perimetrali che non sono adatti a ricevere e tirare, difficilmente Los Angeles vanterà spaziature degne di Hawks e Warriors, anche perché ci sono pochi passatori.
L’atletismo dei tanti giovani (e l’inefficienza offensiva di Hibbert), consiglierebbe di provare a correre per alzare le percentuali, ma è una strategia che funziona solo se alle spalle c’è una grande difesa, e non è questo il caso.
La gestione Jim Buss ha fatto piazza pulita dello straordinario patrimonio umano che componeva la cosiddetta “Lakers family”, allontanando gente come Ronnie Lester, Brian Shaw, Derek Fisher, Kareem Abdul-Jabbar e, in fondo, anche Phil Jackson, che sarebbe rimasto volentieri in un ruolo manageriale.
Il nuovo assetto societario (del quale, dall’esterno, sappiamo invero poco), sembra aver invertito la rotta, e si sta gradualmente affidando a ex-giocatori del club, come i già citati Madsen e Worthy, e a vecchie conoscenze, da Tracy Murray (assoldato come specialista per il tiro) a Jim Eyen (che era già stato assistente ai tempi di Pat Riley e poi di Dunleavy) oltre ovviamente a Byron Scott, il venticinquesimo allenatore della storia della squadra, al secondo anno sulla panchina gialloviola.
Con tutti i suoi limiti (atteggiamenti da sergente di ferro, rigidità dogmatica, carattere non sempre facilissimo), Scott potrebbe essere l’Head-Coach che serve ai Lakers in questo momento; sa lavorare con le giovani stelle (Kyrie Irving e Chris Paul avevano con lui un rapporto molto stretto), conosce l’ambiente (è nato a due passi dal vecchio impianto di Inglewood, ha giocato 11 stagioni con i Lakers e vinto tre titoli), ed è motivatissimo. In questa fase di ricostruzione, un allenatore come Scott, che dedica attenzione maniacale ai dettagli (il che, a volte lo spinge a vedere gli alberi e dimenticare la foresta, ma questo è un altro discorso), è forse più adatto di uno stratega o di un leader alla Phil Jackson.
Los Angeles vuole subito essere ambiziosa, non per raggiungere un certo numero di vittorie (la qualificazione ai Playoffs è utopia), quanto per abituare i nuovi a un certo tipo di mentalità, concetto rafforzato dalla possibilità di allenarsi e giocare ogni giorno con Kobe Bryant, che, dal canto suo, ha detto di avere grande fiducia nell’etica lavorativa di D’Angelo, definendolo un “gym rat”.
Appuntamento al 28 ottobre, dunque, per il tip-off della Regular Season (contro i Timberwolves di Wiggins e Towns) allo Staples Center!
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.