La Southeast si preannuncia come una delle conference più difficili da pronosticare nell’intero panorama.
Exploit inattesi come quello degli Hawks e gli infortuni che hanno falcidiato Hornets e Heat non permettono di fare una previsione affidabile sulla stagione alle porte ma almeno quattro delle cinque squadre della Division si presentano ai nastri di partenza con il chiaro intento di non terminare la stagione anzitempo e, due di loro(Miami e Atlanta), hanno tutte le intenzioni di andare a caccia del bersaglio grosso.
Partendo dal basso verso l’altro cominciano con la preview della Southest Division 2015-2016
ORLANDO MAGIC
Quintetto: Payton, Oladipo, Harris, Frye, Vucevic
Panchina: Watson, Fournier, Hezonija, Gordon, Jason Smith
Coach: Scott Skiles
Punti di forza: sebbene i Magic abbiano chiuso la passata stagione con un defensive rating di 108,3 (24o posto in questa speciale classifica), l’arrivo di coach Skiles unito agli ottimi istinti difensivi di giocatori come Payton, Oladipo e Gordon lasciano ben sperare per un notevole miglioramento nella difesa di squadra.
L’arrivo del coach ex-Bucks è manna del cielo per un nucleo giovane ed inesperto come quello dei Magic che aveva assolutamente bisogno di cambiare rotta dopo la disastrosa gestione Vaughn.
La maniacale attenzione alla difesa del nuovo coach unita alla sua fama di sergente di ferro porteranno a un deciso upgrade dei movimenti difensivi di squadra e con un backcourt già di assoluto livello in grado di produrre ben 3,4 rubate a partita il punto interrogativo maggiore è posto sul frontcourt dove Frye e Vucevic hanno mostrato enormi difficoltà nel proteggere, con efficacia, il pitturato.
Dal montenegrino ci si aspetta grandi progressi sotto quest’aspetto perché, un giocatore con un impatto come il suo (19 punti e 10 rimbalzi a partita), non può sciupare quanto di buono fatto nell’altra metà campo con errori difensivi grossolani dovuti a poca attenzione e a difficoltà nel leggere il gioco.
Sebbene non sia un difensore nato, ha dalla sua la stazza per diventare quantomeno un buon intimidatore in grado di condizionare le penetrazioni degli avversari.
A dargli una grossa mano potrebbe Aaron Gordon. L’ex-Arizona è già tra i migliori difensori del team grazie al grande atletismo e alla velocità di piedi che gli permettono di difendere su ben tre ruoli e ora, con un jumper notevolmente migliorato, si candida al ruolo di ala grande titolare a scapito di un Frye apparso troppo molle per giocare al fianco di Vucevic.
Punti deboli: se da un lato, l’avere un nucleo giovane, fa ben sperare per il futuro, dall’altro non offre garanzie sul presente. I Magic non sono un team in win-now mode e non potrebbe essere altrimenti visto il roster pieno di giocatori sotto i 23 anni che hanno ancora tutto da dimostrare.
L’altro punto debole è l’attacco. Nei tre anni di gestione Vaughn, l’attacco di Orlando, è sempre stato uno dei peggiori dell’intera lega chiudendo 27o, 29o e 270. Nessuno dei giocatori a roster lo scorso anno ha chiuso la stagione oltre i 20 punti di media e troppo spesso la squadra si è affidata alle soluzioni estemporanee di Vucevic, Harris e Oladipo, decisamente troppo poco per competere nell’NBA moderna dove ogni anno vengono trovate nuove soluzioni per massimizzare l’efficacia dell’attacco.
Pur non avendo vere punte di diamante a roster, i Magic, hanno il potenziale per mettere a referto almeno 3 punti in più rispetto ai 95 di media dello scorso anno. Al coaching staff il compito di incastrare tutti i pezzi del puzzle e trovare la mescola giusta per far rendere al meglio tutti gli effettivi a disposizione.
È difficile fare una previsione su quella che sarà la stagione dei Magic e su quello che la dirigenza si aspetta.
In estate si è provato a fare il grande colpo offrendo un quadriennale da 80$ a Millsap che ha poi rifiutato per rimanere contro i rivali divisionali degli Hawks. Dopo il rifiuto la dirigenza ha mantenuto il sangue freddo ed ha evitato di strapagare giocatori dal medio valore confermando il nucleo dello scorso anno rifirmando Tobias Harris con un quadriennale da $64 milioni.
Proprio da quest’ultimo ci si aspetta un deciso passo in avanti in termini di leadership e carisma. Mettere punti a referto non è mai stato un problema per lui ma deve imparare a leggere le partite e capire qual è il momento di caricare a testa bassa e qual è quello giusto per rifiatare facendo da facilitatore per i compagni.
Durantel’off-season sono arrivati due esperti mestieranti come C.J. Watson e Jason Smith. L’aggiunta del play ex-Indiana è passata in sordina ma è uno “smart deal” del G.M. Rob Hennigan che in un colpo solo ha preso un giocatore in grado non solo di fare da mentore a Payton e Oladipo ma anche di contribuire nell’immediato entrando dalla panchina per guidare la second unit.
L’arrivo di Smith, invece, offre nuove soluzioni offensive a Skiles grazie all’ottimo tiro della media dell’ex-Knicks che permetterà ai Magic di liberare l’area per le penetrazioni di Oladipo e Harris.
Grande curiosità suscita invece Mario Hezonija. Il croato, 5a scelta assoluta dell’ultimo draft, ha fatto vedere grandi cose nelle sue annate al Barcelona. Ala piccola dal grande atletismo in grado sia di segnare che smazzare assist con regolarità si trova nella situazione ideale per adattarsi a una nuova realtà senza pressioni e assilli dettati dal dover vincere per forza.
Dopo una prima occhiata, il roster di Orlando non sembra in grado di poter lottare subito per un posto ai play-off soprattutto alla luce di una Eastern più agguerrita che mai.
Senza considerare che anche le altre quattro squadre della Southeast division sono, almeno sulla carta, superiori a Orlando che deve sfruttare quest’annata per apprendere al meglio i dettami tattici di coach Skiles e per capire quali siano veramente i giocatori su cui puntare per il futuro per cominciare a raccogliere i frutti di una semina cominciata 4 anni fa e portata avanti con coerenza da Rob Henningan nonostante qualche rallentamento causato dalla gestione del coach precedente.
Una stagione da 30-35 vittorie sembra il pronostico più probabile in virtù dei troppi punti di domanda che circondando tuttora alcuni degli uomini chiave della franchigia che fu di Shaq e Hardaway.
Record: 33-49
CHARLOTTE HORNETS
Quintetto: Walker, Batum, Williams, Zeller, Jefferson
Panchina: Lin, Lamb, Hansbrough, Kaminsky, Hawes
Coach: Steve Clifford
Punti di forza: una volta le squadre si costruivano attorno all’asse play-pivot ed è questa la linea che hanno seguito gli Hornets che con il duo Walker-Jefferson hanno un asse portante tra i migliori dell’Eastern Conference.
Il play uscito da Kentucky è uno scorer puro in grado di battere qualsiasi avversario dal palleggio e, soprattutto, è uno dei migliori clutch-player dell’intera lega. Pecca ancora un po’ come “floor general” ma ci si aspettano miglioramenti sotto questo punto di vista dopo l’aggiunta di tiratori come Batum, Lamb e Kaminsky.
Big Al è un giocatore affermato e nel suo prime che deve riscattare la passata stagione dove ha reso al di sotto delle aspettative sia a causa degli infortuni che l’hanno perseguitato sia per la scarsa coesione di squadra.
Un centro come lui, in grado di mettere tanti punti a referto sia spalle a canestro sia con il jumper dalla media, è un lusso che pochi si possono permettere e con un roster ricco di giocatori in grado di allargare il campo, i vantaggi per Big Al saranno notevoli ed è lecito aspettarsi una stagione oltre i 20 punti di media.
L’unico interrogativo che circonda i due è la tenuta fisica; lo scorso anno hanno saltato ben 37 partite, troppe per una squadra che ha bisogno di avere i suoi migliori giocatori al massimo per aspirare a ottenere l’ottava piazza a Est.
Rispetto alla scorsa stagione gli Hornets hanno costruito una panchina sicuramente migliore tagliando i rami secchi che sono stati causa della disastrosa campagna 2014-2015.
Jeremy Lin è stato spesso criticato per il contrattone firmato 3 anni fa con Houston ma è un play comunque in grado di giocare il pick n’roll e di innescare i tiratori che rappresenta un’aggiunta fondamentale per una panchina che fino allo scorso aveva come primo ricambio di Walker il giramondo Brian Roberts.
Oltre a Lin, per aumentare la varietà di soluzioni a disposizione di Clifford, sono arrivati: Hawes, Lamb, Kaminsky e soprattutto Batum.
Il francese viene da una brutta stagione in maglia Blazers ma è un player di assoluto livello in grado di incidere su ogni aspetto del gioco e, soprattutto, capace di togliere pressione a Walker assumendosi la responsabilità di gestire l’attacco per lunghi tratti dei match.
Punti deboli: la selezione di tiro e la fluidità offensiva sono i principali aspetti da migliorare nel training camp affinché diventi concreta la possibilità di disputare almeno un turno play-off ad Aprile.
Lo scorso anno gli Hornets hanno chiuso terzultimi come punti segnati per partita (94.2), penultimi come percentuale al tiro (42%) e ulitmi come percentuale al tiro da 3 (31,8%). Sicuramente la presenza di due giocatori disordinati e poco inclini al gioco off the ball come Stephenson e Henderson, uniti alla voglia di strafare di Walker, non hanno aiutato la squadra nella costruzione di tiri puliti ed è per questo che in estate la dirigenza ha operato per colmare questa grave lacuna portando in Carolina gente dalla mano educata e affine a un gioco corale come Hawes, Batum e Kaminsky.
Meno preoccupazioni desta, invece, l’assenza di un vero rim protector perché coach Clifford è riuscito a sopperire a quest’assenza costruendo una difesa di squadra in grado di rendere la vita difficile a qualsiasi attacco della lega.
I motivi che renderanno interessante la stagione degli Hornets sono vari. In primis c’è la collocazione di Batum che, come dichiarato recentemente dal coach, potrebbe essere schierato come point forward facendo un lavoro simile a quello che faceva Turkoglu con i Magic.
Avere un giocatore versatile come il francese in posizione di PF aprirebbe al coaching staff un ventaglio di soluzione davvero interessante con l’opportunità di giocare sia con 4 tiratori per lasciare Big Al in 1 vs 1 in post e sia di schierare Hawes come centro in modo da allargare completamente il campo senza dare punti di riferimento alla difesa avversaria.
In difesa Batum rischia di pagare la differenza di tonnellaggio contro i propri omologhi ma, con l’evoluzione del gioco che va verso quintetti sempre più piccoli, l’ex-Blazers potrebbe ricoprire anche stabilmente il ruolo di 4 titolare.
Sempre nello stesso ruolo vanno tenuti d’occhio sia Cody Zeller sia il rookie Frank Kaminsky. Il primo va incontro a un’annata fondamentale per la sua crescita, dove ci si attendono sensibili miglioramenti dopo due anni in chiaro scuro.
Frank “the Tank” Kaminsky è stata invece la nona chiamata del draft andato in scena lo scorso Giugno. Uscito da Wisconsin, ha chiuso la sua ultima stagione al college a 19 punti di media, 8 rimbalzi di media e col 41% da 3.
È stato uno dei giocatori più chiacchierati nella passata stagione e il suo modo di giocare si sposa perfettamente con la moderna filosofia del NBA. Probabilmente all’inizio farà collezioni di DNP ma un lungo in grado di bombardare dall’arco è sempre merce rara e durante l’arco della stagione avrà la possibilità di mettere in mostra le sue qualità.
Trovandosi in una division competitiva è difficile prevedere quale sarà il piazzamento finale della franchigia di sua maestà Jordan, l’obiettivo dichiarato è quello di ritornare ai play-off ma la più ottimistica delle previsioni è un ottavo posto strappato all’ultimo giorno di regular season con la condizionale degli infortuni che ci farebbe ritrovare gli Hornets per l’ennesima volta in lottery il prossimo Giugno.
Record: 41-41
MIAMI HEAT
Quintetto: Dragic, Wade, Deng, Bosh, Whiteside
Panchina: Chalmers, Green, Winslow, McRoberts, Stoudermire
Coach: Erik Spolestra
Punti di forza: con un’organizzazione tra le prime della lega, uno staff tecnico altamente competitivo e un roster di primissimo livello e profondo come pochi c’è l’imbarazzo della scelta nello scegliere i punti di forza della franchigia della Florida.
Partiamo innanzitutto da Pat Riley che dopo l’abbandono di Lebron non si è perso di animo e in 2 offseason ha costruito una squadra stellare portando al cospetto di Spolestra giocatori di primo piano come Dragic e Deng.
Abbandonato il progetto di small ball coltivato durante l’era LeBron, Riley, ha formato un team decisamente più fedele ai classici canoni del gioco potendo disporre finalmente di un play puro in grado di gestire l’attacco e di smazzare assist partendo dal pick n’roll vero e proprio marchio di fabbrica dello sloveno ex-Phoenix.
Dopo anni di ricerca di un rim protector di livello, lo scouting degli Heat, è riuscito a pescare il più classico dei “diamond in the rough” in Hassan Whiteside. Uscito dal college troppo frettolosamente per poter subito incidere al piano di sopra si è diviso tra D-league e viaggi esotici in Cina e Libano prima dell’inaspettata chiamata degli Heat.
Qui, il lungo ex-Marshall, è esploso definitivamente macinando doppie-doppie in serie e oscurando il pitturato grazie all’atletismo e alle smisurate braccia che né fanno, già ora, uno dei cinque migliori shot-blocker della lega.
Parlando dei punti di forza degli Heat non si possono non citare i due all-star Bosh e Wade che dopo 4 anni a fare da scudieri al re adesso hanno la possibilità di prendere per mano la franchigia e di portarla ad un titolo che avrebbe dell’incredibile.
Bosh è pronto a tornare dopo aver risolto i problemi respiratori che gli hanno fatto saltare ben 38 partite nel momento più caldo della stagione. Finalmente potrà giocare come PF con un vero rim protector al fianco che gli permetterà di tirare il fiato in difesa per essere più lucido in attacco dove dà il meglio di sé.
D-Wade nonostante l’età continua a essere un giocatore di elite in grado di vincere le partite da solo con l’innata capacità di attaccare il ferro e, quindi, di andare in lunetta con una certa continuità. Con Dragic in quintetto, Wade, non dovrà più fungere da playmaker aggiunto e, soprattutto, grazie ad un roster molto versatile, potrà gestirsi al meglio per arrivare fresco nei momenti clou della partita dove i campioni come lui si esaltano ancora di più.
Proprio la lunghezza del roster è un altro dei punti di forza di Miami. Quante squadre possono permettersi una second unit del genere: Chalmers, Green, Winslow, McRoberts, Stoudermire? Poche, forse cinque in tutta la lega e per una squadra con un’età media abbastanza alta è una manna dal cielo poter ruotare 12 o più giocatori senza perdere troppo in termini di competitività.
Punti deboli: a livello tecnico l’interrogativo maggiore è l’efficacia al tiro pesante. L’anno scorso Miami ha chiuso la stagione col 33,5% con solo 6 triple messe a segno a partita, notevolmente sotto il par in una lega dove il tiro da 3 acquista sempre più valore grazie allo smisurato uso delle statistiche avanzate.
I continui infortuni non hanno sicuramente aiutato coach Spolestra che si è visto costretto a schierare quintetti sempre diversi non riusciendo mai a costruire una chimica di squadra adeguata, passo fondamentale per creare un attacco fluido e ben organizzato. Per ovviare a questo problema, il management, si è mosso con intelligenza sul mercato dapprima scegliendo Winslow (41% da 3 nella sua annata a Duke) e poi firmando con un contratto al minimo salariale (steal!) Gerald Green (37% da 3 in carriera).
Avendo tutti gli effettivi a disposizione per il training camp siamo sicuri che gli Heat torneranno a mostrare un attacco di primo livello fatto di continuo movimento alla ricerca del tiro migliore e soprattutto di pochi isolamenti.
Se il tiro da 3 sembra essere un problema facilmente risolvibile diversa è la situazione per la tenuta fisica della squadra e, in particolare, delle due stelle Bosh e Wade. Il duo lo scorso anno ha saltato ben 58 partite e se il problema di Bosh ha poco a che fare con i ritmi serrati della lega, diverso è il discorso per Wade le cui ginocchia non offrono le dovute garanzie sul lungo periodo.
A lui, in collaborazione con staff sanitario e tecnico, il compito di stilare un programma in grado di farlo arrivare al top nel momento clou della stagione quando la sua presenza in campo sarà davvero imprescindibile.
37-45, questo il record con cui gli Heat hanno chiuso la passata stagione. Un’annata non all’altezza delle attese ma, che, alla luce di tutte le peripezie che hanno colpito i 3 volte campioni NBA, ha messo in luce il buon lavoro svolto da Spolestra che pur costretto ad affidarsi a giocatori di secondo piano come Beasley, Tyler Johnson, Ennis, Warrick & co. si è giocato l’accesso alla postseason fino all’ultimo giorno di regular season.
Quest’anno la musica deve essere e sarà diversa con una squadra completa , esperta e già in grado di competere per l’obiettivo grosso. Tra i giocatori da tenere d’occhio c’è sicuramente il rookie Justice Winslow.
L’ala piccola uscita da Duke è stata bollata come il più grosso steal dell’ultimo draft essendo stato scelto alla numero 11 nonostante fosse in odore di una scelta in top 5. È un giocatore molto versatile già dotato di ottimi istinti difensivi e capace di incidere anche nella metà campo offensiva sia punendo sugli scarichi sia attaccando il ferro con efficacia.
Con un veterano come Deng a fargli da mentore non potrà che migliorare ancora di più guadagnando sempre più minuti nel corso dell’anno. Un altro giocatore da cui si aspettano risposte è Mario Chalmers.
Titolare indiscusso dall’inizio della sua avventura in maglia Heat, lo scorso anno, ha sofferto la concorrenza dapprima di Napier e Cole prima di essere scalzato definitivamente da Dragic. Chalmers ha sempre fatto della sfrontatezza uno dei suoi punti di forza e pur dovendo abbandonare i sogni di titolarità dovrà fare un ulteriore step mentale per calarsi nella parte di leader della second unit facendo ricredere ancora volta i suoi critici.
Second unit che è stata arricchita con due aggiunte di livello al minimo salariale. In free agency, infatti, sono arrivati Gerald Green e Stoudermire. Il primo avrà l’arduo compito di far rifiatare Wade portando punti rapidi dalla panchina mentre Stoudermire, pur non essendo il giocatore esplosivo dei bei tempi a Phoenix, è ancora capace di incidere portando punti nei pressi del ferro sia in post basso ma soprattutto innescato dal pick n’roll.
Infine, è inutile nasconderlo, l’uomo che desta più curiosità in vista della nuova stagione è sicuramente Whiteside. Dopo aver stupito tutti nella passata stagione, riuscirà a ripetersi anche quest’anno con tutte le pressioni del caso?
Dare una risposta certa è difficile ma Hassan ha lavorato duramente durante l’estate per aggiungere movimenti in post e per migliorare il piazzato dalla media. Con tanto tempo a disposizione per apprendere i dettami del coach avrà l’arduo compito di essere l’ancora difensiva della squadra proteggendo il ferro in modo da permettere ai compagni di non dover per forza giocare una difesa ad alta intensità (come nell’era LeBron) che richiede un grosso dispendio fisico.
Il record della passata stagione è assolutamente bugiardo e quest’anno gli Heat hanno grosse possibilità non solo di accedere ai playoff ma anche di infastidire i Cavs dell’ex james e, perché no, di fare il colpo grosso. Senza infortuni sono una squadra dal quarto posto a salire e mi sento di pronosticare per loro una stagione dal almeno 50 vittorie.
Record: 52-30
WASHINGTON WIZARDS
Quintetto: Wall, Beal, Porter Jr. , Nenè, Gortat
Panchina: Session, Neal, Dudley, Humpries, Gooden
Coach: Randy Wittman
Punti di forza: il backcourt Wall-Beal è tra i più forti e giovani dell’intera lega. I due hanno caratteristiche che s’incastrano perfettamente e riescono a coesistere senza mai pestarsi i piedi. Wall è esploso definitivamente ed è, ora, tra i primi 5 playmaker della lega senza ombra di dubbio.
Nonostante un jump shot ancora inaffidabile ha comunque terminato la stagione a 18 punti di media grazie all’innata capacità di battere il proprio avversario dal palleggio e di concludere nei pressi del ferro.
Ai 18 punti di media vanno aggiunti i 10 assist smazzati a partita, inferiori soltanto ai 10.2 del guru Chris Paul. Beal, invece, è un attaccante di livello capace di punire sia sugli scarichi (41% da 3 nell’ultima annata) che in azioni di taglio e, come mostrato nella scorsa stagione, anche di costruirsi un tiro pulito direttamente dal palleggio.
A fare le fortune di Washington, oltre ai due già citati, ci ha pensato coach Wittman che ha costruito una difesa di solida pur non avendo grandi difensori a roster.
Nonostante le tante partite saltate da Beal e Nenè, i Wizards hanno chiuso la stagione concedendo soltanto 100 punti per 100 possessi, dato che ha permesso ai capitolini di chiudere l’anno tra le 5 migliori difese dell’intera lega.
Punti deboli: durante l’offseason, la dirigenza, ha operato soltanto movimenti minori per salvaguardare il cap in vista della prossima estate quando proveranno a riportare a Washington il figliol prodigo Kevin Durant.
Già lo scorso anno il roster era apparso troppo corto per un calendario fitto come quello NBA per cui era lecito aspettarsi tutt’altro tipo di mercato.
Paul Pierce, il migliore dei suoi negli scorsi playoff, ha salutato la compagnia ed è stato rimpiazzato da Jared Dudley, ottimo tiratore da 3 ma di certo non paragonabile ad un futuro hall of famer come Pierce in grado di togliere le castagne dal fuoco ai suoi in più di un occasione.
Nello spot di ala piccola titolare agirà Otto Porter che dopo aver mostrato sensibili miglioramenti durante l’anno passato, deve per forza di cose compiere un altro step in avanti per legittimare la terza chiamata durante il draft 2013.
La second unit offre decisamente poche garanzie essendo ricca di punti interrogativi. Chi sarà il sesto uomo? Session è un discreto gregario e nulla più, Neal dopo le felici annate in maglia Spurs è calato notevolmente, Dudley è il role player per eccellenza e solo in due occasioni ha superato i 10 punti di media, Humpries, Gooden e Blair sono perseguitati dagli infortuni e con un Nenè che salta 10/15 partite l’anno la coperta potrebbe rivelarsi spesso troppo corta.
L’anno scorso, con un roster almeno sulla carta superiore a quello attuale, Washington ha chiuso al 50 posto con 46 vittorie in una conference e una division molto meno competitiva di quella attuale. Dalla dirigenza ci si aspettava qualcosa in più per migliorare ulteriormente la squadra e portarla dall’essere una franchigia da secondo turno ad una contender legittima.
Quella di Pierce è una grave perdita e non va sottovalutata nemmeno l’addio di Rasual Butler che nella prima parte della scorsa stagione era stato decisivo in più di un’occasione.
La panchina è nettamente inferiore al quintetto titolare per cui le stelle della squadra dovranno spesso fare gli straordinari potendo rifiatare raramente, fattore che potrebbe rivelarsi fatale durante il rush finale in vista dei playoff.
A tutto ciò va aggiunto la familiarità che Wall, Beal e Nenè hanno con gli infortuni ed è facile immaginare una stagione travagliata per la squadra della capitale. Gli addetti ai lavori continuano a vedere i Wizards tra le prime 6 squadre a Est probabilmente puntando sul fatto che il nucleo portante della squadra è rimasto intatto.
A nostro avviso, invece, col ritorno di squadre come Indiana, New York e Miami e la conferma di altre come Milwaukee e Toronto è più probabile che Wall e soci dovranno sudarsi un posto tra il settimo e l’ottavo fino all’ultimo giorni di regular con la spada di Damocle della condizione fisica che potrebbe mandare ben presto a sud la loro stagione. Il rischio preso vale la candela (KD35) ma in un processo di crescita un anno di “navigare a vista” potrebbe avere ripercussioni anche sul futuro prossimo della franchigia.
Record: 42-42
ATLANTA HAWKS
Quintetto: Teague, Korver, Sefolosha, Millsap, Horford
Panchina: Schroeder, Hardaway Jr, Bazemore, Scott, Splitter
Coach: Mike Budenholzer
Punti di forza: lo scorso anno gli Hawks sono stati la sorpresa della stagione dominando l’Eastern Conference grazie ad un gioco di squadra di “spursiana” memoria. A toccare la doppia cifra di media in punti segnati sono stati ben 6 giocatori e 4 di loro sono stati convocati per l’All-Star game, un evento più unico che raro soprattutto per uno small market come quello della capitale della Georgia.
La base di questo successo è stato Mike Budenholzer, nominato a ragion veduta coach of the year, che ha installato un sistema offensivo bello da vedere ed efficace fatto di continui tagli e blocchi lontani dalla palla per costruire il miglior tiro possibile.
La qualità del gioco ha toccato il suo punto di massimo tra Gennaio e Febbraio, dove gli Hawks hanno fatto registrare una striscia record di ben 19 vittorie di fila con annesso premio di “player of the month” per tutto il quintetto, un evento mai verificatosi nella storia della lega.
I numeri parlano chiaro e dimostrano come la chimica di squadra sia il vero punto di forza degli uomini di coach Bud; Gli Hawks hanno chiuso nella top ten per punti segnati, assist per partita e per punti concessi.
Pur non avendo una vera e propria ancora difensiva, il coaching staff, è riuscito a costruire una difesa di alto profilo (95 punti concessi ogni 100 possessi) grazie ad una feroce pressione sulla palla in grado di forzare 16 palle perse a partita e ben 9 rubate.
Alla luce di questi numeri, la dirigenza, ha deciso di confermare quasi tutti gli effettivi a disposizione (ad eccezione, purtroppo, di Carrol) puntando sulla continuità e sul team work piuttosto che andare a caccia di un nome medio-grosso da strapagare.
Il reparto lunghi, già di primissimo livello col duo Horford-Millsap e la loro combinanzione di gioco interno ed esterno in grado creare grattacapi a qualsiasi difesa, è stato rafforzato con l’arrivo di Splitter. Il brasiliano è un buon difensore ma soprattutto è un giocatore intelligente in grado di smarcare i compagni con extra pass degni di un vero playmaker.
Con la duttilità di Millsap probabilmente vedremo anche i 3 lunghi insieme in campo per ovviare al problema dei rimbalzi che è stato il tallone d’achille degli Hawks 14/15. Per allungare le rotazioni nel reparto esterni è stato preso Hardaway Jr. che, dopo un’incoraggiante stagione da rookie, è naufragato nei mille problemi che hanno attanagliato i Knicks nella passata stagione.
Non sarà un titolare ma avrà il compito di entrare dalla panchina e di portare punti alla causa con i jumper sia dalla media che dall’arco. Teague e Korver formeranno il backcourt titolare mentre Schroeder, dopo un europeo giocato da protagonista, farà da sesto uomo di lusso col compito di gestire i ritmi della second unit.
Punti deboli: un grosso interrogativo accompagna lo spot di ala piccola. Demarre Carrol ha salutato la comitiva accettando i (tanti) dollari canadesi offerti dai Raptors. L’ex-Utah era integrato perfettamente negli schemi di Budenholzer e, a sorpresa, aveva alzato vertiginosamente il livello durante ai play-off prendendo per mano la squadra ed essendo il migliore dei suoi nei primi due turni.
Il favorito per il ruolo di ala piccola titolare è sicuramente Sefolosha. Lo svizzero ha grande esperienza e difensivamente è il miglior elemento dell’intero roster ma fatica a trovare continuità dall’arco (31% nelle ultime due stagioni) e ciò potrebbe anche costargli il posto in rotazione a favore di Bazemore oppure di Schroeder in un quintetto (che incuriosisce e non poco) col doppio play.
L’altra mancanza degli Hawks è l’assenza di una vera e propria star sia tecnicamente che a livello di leadership. Dopo una stagione fantastica gli Hawks hanno faticato nei primi due turni dei playoff prima contro Brooklyn e poi contro Washington che hanno dimostrato come, a quei livelli, la presenza di giocatori esperti e di carisma (Pierce, Johnson, Williams) faccia saltare quasi tutti gli schemi. Se ciò non bastasse, nelle finali di conference, sono stati annichiliti dai Cavs di James senza mai riuscire a opporre resistenza e con nessun uomo a roster in grado di invertire il trend della serie.
Le 60W della passata stagione sembrano un evento difficilmente ripetibile sia per le ragioni prima evidenziate, sia per una conference più competitiva rispetto all’anno passato. Ciò nonostante, gli Hawks, restano una squadra tosta e molto ben allenata in grado di rendere la vita difficile a tutti.
Pur mancando di un vero e proprio all-NBA il roster rimane di primo piano e soprattutto è uno dei più versatili dell’intera lega permettendo al coach di schierare quintetti in grado di rispondere anche alla più particolare delle esigenze.
Korver rimane tuttora il miglior tiratore dell’Eastern, Teague è un direttore d’orchestra di primo piano e la combo Horford-Millsap resta un rebus di difficile soluzione per le altre 29 franchigie. La panchina è stata migliorata con gli arrivi di Hardaway Jr. e Splitter per permettere ai titolari di tirare un po’ il fiato e di arrivare in piena forma ad Aprile quando si gioca per riscrivere la storia.
Ripetersi non è mai facile ma non può essere uno sweep al cospetto del Re a cancellare tutti i record fatti registrare nella passata stagione e nonostante le 60W sembrino utopia, Atlanta, rimane comunque nel quartetto di squadre, con Cleveland, Chicago e Miami, che occuperanno le prime quattro posizione a Est. 50vittorie è quello che ci aspettiamo quest’anno dalle aquile della Georgia.
Record: 50-32
Bell’articolo, con spunti giusti ed interessanti.
Mi permetto solo un paio di appunti, Kemba viene da UConn, e ti sei completamente dimenticato dell’esistenza di Kidd-Gilchrist! mancanza di non poco conto…
Un paio di appunti sugli Hornets. 1) non è stato nominato Kidd-Gilchrist che starà fuori tutta la stagione e per gli Hornets è una perdita importantissima. 2) Kemba Walker non è uscito da Kentucky ma da UConn dove ha vinto il titolo Ncaa nel 2011.
Ragazzi avete ragione, su Walker ho fatto una bella gaffe, correggerò quanto prima. Su MKG, invece, pure avete ragione ma l’artico, seppur pubblicato oggi, è stato redatto una settimana fa circa e non ho potuto correggere.