La Northwest Division è forse quella meno competitiva della Western Conference, ma vanta ugualmente una perenne contendente al titolo NBA come Oklahoma City (forte di due candidati MVP in Kevin Durant e Westbrook), alle cui spalle cercano spazio due formazioni giovani e molto ambiziose: gli Utah Jazz di Gobert, Favors e Hayward, e i Wolves, che progettano un futuro di successo costruito attorno alle ultime due prime scelte assolute, Andrew Wiggins e Carl-Anthony Towns.
Oltre a queste tre squadre, tutte interessanti per motivi diversi, troviamo i Denver Nuggets del nostro Gallinari e di Kenneth Faried, e Portland, che è stata dissanguata nella free agency e ora riparte da Damian Lillard e un nuovo gruppo.
OKLAHOMA CITY THUNDER
Quintetto: Enes Kanter (C), Serge Ibaka (F), Kevin Durant (F), Dion Waiters (G), Russell Westbrook (G)
Panchina: Anthony Morrow (G), Steven Adams (C), Andre Robertson (G), DJ Augustin (G), Kyle Singler (F)
Allenatore: Billy Donovan
Punti di forza: dopo due stagioni segnate da infortuni a ripetizione, Oklahoma torna ad avere a disposizione Durant e Westbrook, a mani basse 2 dei migliori 5 giocatori della NBA. La grande novità è la presenza di Billy Donovan in panca, arrivato per fare miglior uso delle qualità loro, e del resto di un roster di ottimo livello.
OKC ha tanti tiratori, come Singer, Morrow, Novak, e, per certi versi, anche Ibaka, che costituiscono il complemento ideale per punire i raddoppi (su KD e Russ) e le rotazioni poco puntuali; viceversa, negli ultimi anni l’attacco dei Thunder è consistito in una esecuzione meccanica e banale, oppure nel “palla a Westbrook e che si inventi qualcosa” che, ovviamente, non può più funzionare contro difese che hanno mangiato la foglia.
Donovan farà leva sulla voglia di riscatto dopo una stagione sfortunata (che ha visto i Thunder rimanere esclusi dai Playoffs) per cercare di cambiare abitudini radicate.
Sotto canestro, oltre ovviamente alla presenza difensiva di Ibaka, si alterneranno Enes Kanter e Steven Adams, in una staffetta in stile Football Americano, con Kanter per l’attacco e il neozelandese per la difesa, in attesa di capire chi dei due da più equilibrio alla squadra.
Punti di debolezza: Enes Kanter è un lungo offensivamente fantastico, ma è un buco nero difensivo che costringe Ibaka agli straordinari, e questo, quando si tenta di vincere il titolo NBA, difficilmente ce lo si può permettere.
Tra gli esterni, tolto Russell Westbrook non si vede all’orizzonte un vero e proprio creatore di gioco, con tutto quel che ne consegue in termini di dipendenza dalla guardia da UCLA. DJ Augustin è più disciplinato e meno individualista del suo predecessore Reggie Jackson, ma nemmeno lui è un “floor-general”, KD (che è un passatore sottovalutato) è al suo meglio quando inizia l’azione lontano dalla palla, e il rookie Cameron Payne difficilmente avrà molti minuti a disposizione.
Westbrook è un grandissimo giocatore, ma disporre di un altro “initiator” (per usare il gergo del Triangolo) sarebbe stato utile per togliere un po’ di pressione e farlo giocare ogni tanto lontano dalla palla, variando un attacco che è spesso monocorde e prevedibile.
Un altro possibile problema sono le condizioni di Kevin Durant, fermo da tantissimo tempo; lui ha fatto sapere di stare bene, ma le fratture ai piedi sono sempre una brutta pesca.
Il vero punto debole di questa formazione sono proprio gli infortuni; Westbrook ha saltato 107 partite nell’ultimo biennio, mentre KD viene da una stagione durante la quale è riuscito a scendere in campo solo 27 volte. Con entrambi integri, OKC è quasi intrattabile, mentre se manca uno dei due big, non c’è nulla di scontato.
Previsione: confermato il roster e sostituito l’allenatore, scopriremo se era Scott Brooks a non saper allenare l’attacco, o se questo gruppo ha realmente limiti strutturali tali da condannarlo ad andare sempre corto nei Playoffs.
Donovan (che esordisce su una panchina NBA dopo i grandi successi a Florida) dovrà costruire un sistema meno lento di quello del predecessore, e che coinvolga maggiormente “gli altri”. Nell’NBA odierna prosperano le squadre basate sul movimento di palla e non sugli isolamenti (un modello che, a ben vedere, non è mai stato granché vincente) e per OKC non sarà facile cambiare completamente il modo di macinare basket, passando da un impianto di gioco eminentemente basato sullo star-system ad uno nel quale la stella non è tale perché ha più possessi, ma perché gioca meglio degli altri all’interno di un sistema.
Non sarà una passeggiata, visto che il roster pullula di giocatori abituati a fare ricezione e tiro oppure ad isolarsi (come Dion Waiters o Morrow), ma non è neppure un’operazione impossibile: Westbrook e Durant sono giocatori altruisti, e se Donovan riuscirà a costruire un rapporto di fiducia con loro due, il resto del gruppo li seguirà a ruota.
Dovesse filare tutto liscio, il cielo sarà l’unico limite per una formazione che non teme rivali e mira apertamente al titolo NBA, ed è affamata di rivalsa dopo un’annata tremenda. In caso contrario, Durant, che è in scadenza, potrebbe levare le tende, aprendo la strada all’addio di Westbrook un anno più tardi, uno scenario al quale Clay Bennet e Sam Presti non vogliono nemmeno pensare.
Record: 64-18
UTAH JAZZ
Quintetto: Rudy Gobert (C), Derrick Favors (F), Gordon Hayward (F/G), Alec Burks (G), Trey Burke(G)
Panchina:, Tibor Pleiss (C), Trey Lyles (F), Trevor Booker (F), Rodney Hood (G), Bryce Cotton (G)
Allenatore: Quin Snyder
Punti di forza: il dato dal quale riparte Snyder è che quando Gobert ha avuto spazio, la difesa di Utah ha concesso solo 94.8 punti su 100 possessi. Accanto al centro francese ci sarà ancora Favors, che viene da una stagione molto incoraggiante, e alle loro spalle il rookie Trey Lyles porterà la sua duttilità e intelligenza, mentre il centrone Tibor Pleiss completa il reparto come secondo centro.
L’attacco passa per un settore esterni ricco e talentuoso, con molti giocatori intercambiabili e buoni passatori, capitanati da Gordon Hayward, oltre ad un collante come Trevor Booker, il classico giocatore che si sbatte e che fa impazzire il pubblico delle città di colletti blu come Salt Lake.
Per qualcuno, disporre di pochi playmaker puri (a meno di considerare già pronto Raul Neto, ci sono solo Bryce Cotton e Trey Burke) è un limite, ma nel basket odierno i ruoli classici contano il giusto, tanto che il vero e proprio creatore di gioco dei Jazz è Hayward, che abbiamo schierato da ala piccola, dando spazio a Burke e Burks in guardia.
Punti di debolezza: se è legittimo credere che Burke, Hood e Burks e migliorino ancora, non è scontato che lo facciano subito, o che ciò avvenga in modo indolore.
Utah rischia di pagare lo scotto dell’inesperienza, ma non ha difetti tecnici veri e propri e questo fa ben sperare per il futuro, anche se, offensivamente, la squadra ha abbondanti margini di miglioramento, e in più usa un sistema di gioco (il che incontra il nostro plauso, per quel che vale) non facilissimo da imparare, e che quindi potrebbe creare qualche problema ai (pochi) nuovi arrivati.
La tegola-Exum (che si è rotto il crociato, e salterà la stagione) è un brutto colpo, anche perché arresta lo sviluppo di un giocatore che avrebbe tantissimo bisogno di giocare, indipendentemente dall’impatto sul record finale della squadra.
La sua assenza però crea se non altro un po’ di spazio in un reparto guardie affollato, e sarà interessante vedere chi saprà conquistarsi i minuti a disposizione, posto che il grande indiziato è ovviamente Burke, un giocatore poco noto ai più, come quasi tutti quelli che transitano per lo Utah, e che meriterebbe molta più attenzione da parte dei media, perché ha qualità davvero interessanti.
Previsione: ceduto lo scontento Kanter ai Thunder, Utah ha chiuso la scorsa stagione 19-10, e Snyder vuole ripartire da quel concetto di squadra, affidandosi al venticinquenne Hayward sul perimetro (forse ha un contratto eccessivo, ma chi segue i Jazz ne conosce il valore) e al fenomenale talento difensivo di Rudy Gobert sotto le plance.
Il nativo di Saint-Quentin è un giocatore unico per centimetri, rapidità e apertura alare, e in tandem con Favors forma una front line di ottime prospettive (ma Gobert deve migliorare nel resistere ai falli mentre tira, o rischia di diventare oggetto dell’hack-a-Rudy).
Utah è un gruppo giovane, profondo e ben allenato, con ottime chance di diventare la classica “sorpresa” della stagione.
C’è ben poca attenzione mediatica attorno ai Jazz, e questa mancanza di considerazione potrà rivelarsi un vantaggio, sia perché non hanno pressione addosso, sia perché qualcuno, inevitabilmente, li sottovaluterà.
Un giocatore da tenere sotto osservazione è molto probabilmente Rodney Hood, che dopo un 2014-15 piagato dagli infortuni, potrà mettere in mostra le sue doti balistiche, la capacità di costruirsi il tiro dal palleggio, per l’abilità in situazione di pick-and-roll. Non è una guardia fatta e finita (vede poco i compagni, anche per una guardia tiratrice) ma è un giocatore che Snyder potrebbe impiegare per trovare punti in uscita dal pino, ricavandogli così un ruolo che al contempo serva alla squadra e ne magnifichi i pregi.
Utah non è e non sarà mai una meta ambita tra i free agent NBA, e ha saggiamente preferito conservare spazio salariale durante l’off-season, anziché strapagare giocatori che si sarebbero domiciliati a Salt Lake City solo di fronte ad un’offerta economica irrinunciabile.
Kevin O’Connor (presidente delle Basketball Operations) e Dennis Lindsey (il GM della squadra, di scuola Spurs) hanno scelto di puntare sulla crescita di un nucleo promettente assemblato in tre stagioni senza Playoffs, vocabolo che, se tutto girerà per il verso giusto, potrebbe presto tornare di stretta attualità.
Record: 42-40
DENVER NUGGETS
Quintetto: Jusuf Nurkic (C), Danilo Gallinari (F), Wilson Chandler (F/G), Emmanuel Mudiay (G), Jameer Nelson (G)
Panchina: Randy Foye (G), Gary Harris (G), JJ Hickson (F), Kenneth Faried (F), Kostas Papanikolau (F)
Allenatore: Mike Malone
Punti di forza: Denver è una squadra alla quale non mancano talento e atletismo, ma è reduce però da alcune stagioni complicate, tra infortuni e risultati inferiori alle attese e un Brian Shaw al timone che ha deluso le attese, perdendo in fretta il controllo dello spogliatoio.
A giugno è stato nominato Head-Coach Mike Malone, allenatore dalla solida reputazione di insegnante di difesa, licenziato in modo forse affrettato dai Sacramento Kings.
In più, la formazione del Colorado ritrova un Danilo Gallinari maturo, che ha recuperato ritmo e condizione disputando un eccellente Europeo con la Nazionale italiana.
Nonostante Malone e il Gallo, non è scontato che Denver migliori, ma la loro presenza –sul pino e in campo– contribuirà a dare una fisionomia a un gruppo che, fin qui, ha stentato a trovare un’identità, specialmente in difesa.
A galvanizzare l’ambiente ci penserà il rookie Emmanuel Mudiay, guardia vista poco in campo (viene da un anno non memorabile in Cina) ma che ha potenziale esplosivo, e che potrebbe anche rivelarsi il miglior giocatore di un draft ricco di talento come quello del ’15.
Punti di debolezza: Ty Lawson è stato spedito a Houston e sostituito in quintetto dal veterano Nelson. Lawson era diventato ormai tossico per lo spogliatoio, ma serviva pur sempre 9.6 assist a gara, un numero che Nelson difficilmente potrà eguagliare, anche se il basket è fatto di intangibles e a volte è meglio sacrificare i numeri e privilegiare lo spessore umano.
Ci sono molti punti di domanda legati a giocatori che dovranno dimostrare qualcosa, come Hickson, Foye, Will Barton o il secondo anno Gary Harris, dal quale ci si aspettava molto, ma che ha reso la di sotto delle attese, forse distratto dalle beghe di uno spogliatoio che era diventato un Saloon del vecchio West.
Per età e talento, Nurkic e Mudiay sono i due atleti che possono segnare il futuro della franchigia, ma sono ancora troppo acerbi per fare la differenza, sera dopo sera, per 82 partite.
Kenneth Faried ha caratteristiche che potrebbero farne un eccellente difensore, ma l’anno scorso si è spesso comportato da casellante, sbagliando rotazioni, angoli d’aiuto o dimenticandosi il proprio uomo, dando l’impressione di essere più fumo che arrosto.
Coach Malone porterà maggior chiarezza, e questo lo aiuterà, ma poi starà ai giocatori crescere dal punto di vista della continuità mentale (e nel caso di Faried, abbiamo qualche riserva), mentre Nurkic, che a difendere si diverte un sacco, potrebbe essere in procinto di disputare una gran stagione.
Previsione: dopo l’addio di George Karl, Masai Ujiri e Pete D’Alessandro, Denver ha vissuto un’involuzione drammatica, con un allenatore che voleva fare gioco ragionato, ma che disponeva di un roster costruito per giocare in velocità, generando liti in allenamento e altri atteggiamenti poco edificanti, iniziati con Shaw e proseguiti durante l’iterim di Melvin Hunt;
Mike Malone può essere il coach giusto per fare tabula rasa e ripartire in modo positivo, anche se Stan Kroenke non da l’idea d’essere uno di quei proprietari che si appassionano in modo viscerale ai destini della franchigia, ed è un peccato perché il pubblico del Pepsi Center meriterebbe di meglio.
Complice la presenza del ticket Nurkic-Faried (dinamico, ma senza grande range di tiro, e infatti Malone sembra incline ad usare Gallo da quattro tattico) e di una batteria di cecchini buona ma non esorbitante, è facile immaginare che Denver cercherà spazi in contropiede per costruire canestri ad alta percentuale, ma per farlo in modo proficuo occorre convincere tutti a difendere, ed è su questo che si concentrerà Malone, che proverà a scuotere l’orgoglio di un gruppo che ha chiuso il 2015 in modo indegno, sia per i risultati che per l’atteggiamento di costante sfida verso il coaching staff e, in fondo, anche verso il pubblico.
Danilo Gallinari è pronto per mettere a referto una stagione di livello assoluto, ed è lecito immaginare che sarà al centro del gioco offensivo di Denver, non solo come realizzatore o tiratore, quanto come leader.
Occhio anche a Nikola Jokic e a Darrell Arthur, che potrebbe rosicchiare minuti importanti a Faried, e soprattutto a Joffrey Lauvergne che con la Francia ha mostrato lampi interessanti, e soprattutto, il giusto approccio mentale per piacere al suo nuovo coach.
Difficile immaginare che Denver possa tornare da subito ai Playoffs, ma siamo convinti che ci si possa ugualmente attendere grandi miglioramenti, in attesa di capire se Mudiay è davvero un giocatore-franchigia, e se Faried rimarrà o verrà scambiato.
Record: 34-48
PORTLAND TRAIL BLAZERS
Quintetto: Chris Kaman (C), Mason Plumlee (F), Al-Farouq Aminu (F), CJ McCollum (G), Damian Lillard (G)
Panchina: Gerald Henderson (G), Meyers Leonard (C), Ed Davis (C/F), Noah Vonleh (F), Mo Harkless (F)
Allenatore: Terry Stotts
Punti di forza: una lista necessariamente breve, per una formazione che ha perso sulla free-agency 3/5 del quintetto e due giocatori importanti quali Arron Afflalo e Steve Blake; il GM Neil Olshey, anziché farsi prendere dal panico e firmare qualche veterano che garantisse una manciata di vittorie in più nel breve periodo, ha reagito abbracciando la linea giovane per provare a crescere nel lungo periodo.
Quindi si riparte da Lillard, Terry Stotts e da una serie di giocatori giovani, come Plumlee, Aminu, Leonard e McCollum, che potranno mettersi in mostra, presumibilmente in una versione meno bella da vedere degli splendidi Blazers della scorsa stagione, ma comunque interessante.
Attenzione in particolare a Noah Vonleh, sul quale Portland punta con convinzione (tanto da aver ceduto Batum per averlo), e che ha lavorato molto per aumentare massa muscolare, ha solo vent’anni e viene da una stagione d’esordio trascorsa in sordina.
Punti di debolezza: Portland ha perso i propri lunghi di riferimento, sostituendoli con giocatori tutti da scoprire, come Vonleh, affidandoli alla supervisione del veterano Chris Kaman. Anche il reparto guardie, che vantava Matthews e Afflalo, è stato ridimensionato, e l’esperienza ad alto livello di un grande tiratore come Mike Miller potrà aiutare i compagni in allenamento, ma difficilmente produrrà risultati immediatamente sensibili sul campo.
Damian Lillard vivrà una stagione da protagonista assoluto, Leonard e McCollum avranno finalmente l’occasione giusta per espolodere, ma non c’è troppo da illudersi, questa sarà un’annata molto difficile per Portland, per quanto stimolante e concettualmente lontanissima dal tanking becero di Philadelphia.
Previsione: Portland è una squadra a un infortunio di Lillard di distanza dall’essere in balia degli eventi (il che regalerebbe minuti anche a giocatori come all’interessantissimo Connaughton e Dani Diez).
L’arrivo di Plumlee, Aminu e Henderson ha tamponato l’emorragia di talento anche nell’immediato, ma Portland è palesemente intenta ad impostare un nuovo ciclo e per quest’anno, il record conterà relativamente. In attesa di tempi migliori, i poveri Blazers (che saranno allenati ancora una volta dall’ex canturino Stotts) potranno dare minuti a giocatori che devono rifinirsi tecnicamente e tatticamente, come McCollum, che abbiamo collocato nel nostro ipotetico quintetto, Vonleh, e Arkless.
Record: 30-52
MINNESOTA TIMBERWOLVES
Quintetto: Nikola Pekovic (C), Carl-Anthony Towns (C/F), Andrew Wiggins (F), Kevin Martin (G), Ricky Rubio (G)
Panchina: Kevin Garnett (C/F), Zach Lavine (G), Shabazz Muhammad (G), Gorgui Dieng (C), Nemanja Bjelica (F)
Allenatore: Flip Saunders
Punti di forza: talento, atletismo debordante, una rotazione piuttosto completa (ma da definire: giocheranno con due lunghi, o alterneranno Pek e Towns?), centimetri, qualche veterano (Andre Miller, Prince e ovviamente KG, tornato a giocare per la franchigia della quale è stato a lungo il volto), e un allenatore esperto sono gli ingredienti di Minnesota, una formazione che, con Rubio a passare la palla e Towns, Wiggins e Lavine a ricevere, promette di essere sin da subito spettacolare, in attesa che i vari Tyus Jones, Muhammad o Dieng, si facciano le ossa per più ambiziosi traguardi.
I Wolves hanno davvero tanto talento, velocità e mani buone; peccano d’insperienza, ma potranno divertisi e far divertire il Target Center, e, chi lo sa, magari anche difendere bene (perché ci sono centimetri, rapidità d’esecuzione devastante e braccia lunghissime).
Punti di debolezza: siamo restii a interpretare la giovane età come un difetto, ma è indubbio che nell’immediato i Wolves non sapranno tradurre tutto il loro talento in risultati.
È fisiologico, e sbagliando s’impara; questa è la chiave di lettura del 2015-16 del gruppo guidato da Saunders, che purtroppo ha problemi di salute, e sarà pertanto affiancato da Sam Mitchell, già Coach dell’Anno ai tempi di Toronto ed ex giocatore dei T-Wolves.
L’aspetto positivo è che, per quanto inesperti, i giovani Timberwolves non saranno comunque lasciati a loro stessi, e potranno giovarsi dell’infinita esperienza cestistica di gente come Kevin Garnett o Andre Miller, che avranno la responsabilità di affiancare lo staff e guidare i giovani compagni, in campo e fuori.
Da un punto di vista meramente tecnico, ci sono tanti giocatori bravi ad attaccare il ferro e molto verticali, ma pochi capaci di spaziare bene il campo con il tiro da fuori (tolto Kevin Martin), e questo potrebbe intasare l’area,ed è quindi probabile che Minny decida di difendere in modo aggressivo per poi sfruttare gli atleti in contropiede.
Previsione: come detto, Minnesota è un progetto in divenire, ma è altresì lecito attendersi che la qualità del roster si converta subito in qualche vittoria in più delle sole 16 dello scorso anno, rispetto al quale tornano a disposizione gli infortunati, Ricky Rubio e Shabazz Muhammad, e si aggiungono i rookies. Non è questione di arrivare ai Playoffs, ma di crescere individualmente e come gruppo, di imparare a vincere una volata o gestire un vantaggio, e così via.
Mitchell e il suo assistente Sidney Lowe (che ha a sua volta un passato da head-coach coi Grizzlies e a North Carolina State) sono chiamati ad un lavoro delicato, gestendo i momenti di frustrazione che certamente capiteranno, e lavorando sulla maturazione di alcuni atleti (due su tutti: Wiggins e Lavine) mixando scorciatoie che aiutino nel breve periodo (correre, correre e ancora correre) ma senza tralasciare di sviluppare altre dimensioni al loro gioco.
Sarà interessante seguire Bjelica e Damjan Rudez, che potranno conquistarsi considerazione e minuti, giocando un ruolo chiave in una squadra che abbisogna d’esperienza in campo e di giocatori smaliziati e affidabili, capaci di compensare gli inevitabili passaggi a vuoto dei loro imberbi colleghi.
Naturalmente il ruolo di primo piano spetterà in ogni caso al giovane duo composto da Andrew Wiggins (che ha chiuso la sua stagione d’esordio in un netto crescendo che lascia ben sperare per il nuovo anno), e Towns, la prima scelta assoluta, dal quale ci si attende sin da subito un buon impatto con la NBA. Ad innescarli, ci penserà Ricky Rubio, sempre che gli infortuni diano finalmente tregua a questo talento.
Previsione: 29-53
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Previsione per i twolwes invertita o pensi veramente in una stagione da 29 vittorie.?
Sui miei Wolves sono pienamente d’accordo, credo che già arrivare intorno ai 30 per noi sarà un successo
Hanno talento, nessuno dice il contrario, ma ci sono troppi giocatori che stanno ancora imparando a stare in campo, o che hanno un bagaglio tecnico (per ora) incompleto.
Considerato che arrivano da 16 vittorie, arrivare a 30 sarebbe un buon risultato, se andranno oltre, avranno fatto qualcosa di leggendario.
Ma Mike Miller non è andato a Denver?
Al momento di scrivere era ancora coi Blazers, che poi l’hanno tagliato e I Nuggets l’hanno pescato dai waivers, quindi, sì, errore mio, hai ragione!
Ma Westbrook uno dei primi 5 giocatori della lega? Davvero?
Il concetto è che è uno dei primissimi della pista. Sto al gioco e nomino, in ordine sparso, LBJ, Davis, Durant (se è al 100%) e Curry.
Per il quinto posto se la giocano Harden e Westbrook, e io preferisco Westbrook. Ma ripeto, il senso complessivo è che i Thunder hanno due giocatori d’elite, non fare la classifica dei giocatori più forti (una forma di verità tascabile della quale non capisco il senso)!
Capisco benissimo il tuo ragionamento, ma secondo me è il classico giocatore dai numeri impressionanti ma che alla fine della fiera non ti migliora la squadra… mi piacerebbe chiedere a Durant se preferirebbe avere in squadra lui o, che so, Marc Gasol o Chris Paul
E’ un discorso complessissimo, anzi, forse è IL discorso sul basket, e cioé l’intreccio di ciò che un giocatore è, quell che gli viene chiesto di fare e il contesto nel quale opera.
A me Westbrook non sembra un giocatore prepotente, se esagera, è per coraggio; è una forza della natura che ha bisogno di essere diretta, e invece si è trovato con un allenatore che non ha fatto altro che dirgli “fai tu”, mentre Durant, per carattere, non è il tipo che si impone.
Vedremo come reagiranno con Donovan, che -spero- porterà un cambio di passo.