I campioni aspettano il palcoscenico più prestigioso per brillare della loro luce più intensa. Lo fanno quando il momento è decisivo per davvero, quando serve la giocata che fa la differenza tra decidere una stagione in modo o nell’altro.
Stanotte è uno di quei momenti: le Nba Finals 2015 sono a giunte a Gara 6, un match che metterà una posta discretamente alta in palio sul parquet della Quicken Loans Arena.
I Golden State Warriors sono a quarantotto minuti dal loro primo titolo dopo quarant’anni di digiuno, e sono decisi a cavalcare l’onda dei due successi consecutivi per chiudere la pratica e alzare al cielo il Larry O’Brien Trophy.
Di fronte a loro, però, c’è una squadra che ha fatto del carattere e della resilienza un modo di essere: i Cleveland Cavaliers, giunti comunque vada all’ultima gara casalinga della stagione, sono a corto di uomini e di fiato, ma non usciranno di scena senza aver lasciato tutto quanto è rimasto nel loro serbatoio per provare a raddrizzare una serie che sembra aver preso con decisione la via della California.
Nella sfida tra i due coach David Blatt sceglie di non piegarsi allo small ball di Steve Kerr, insistendo con la coppia Thompson-Mozgov a dispetto di quanto visto nel corso dell’ultima sfida, col russo rimasto in campo soltanto una manciata di minuti e sacrificato sull’altare dei quintetti piccoli per pareggiare la versatilità avversaria.
Golden State invece cavalca ancora un Iguodala che si trova perfettamente a suo agio nei panni dell’uomo chiave che non ti aspetti, per provare a chiudere i conti e mettere il sigillo a una stagione da ricordare.
Tutto pronto nel North East Ohio: comincia Gara 6, il primo e forse ultimo bivio senza ritorno delle Finals 2015.
I padroni di casa provano a gettare benzina sul fuoco di un pubblico deciso a fare la sua parte per garantire una chance ai propri beniamini: Mozgov e Thompson colpiscono subito in vernice, James ruba e si mangia il campo per il layup in contropiede provando a portare subito dalla propria parte il ritmo e l’inerzia del match. Golden State però non si scompone, eseguendo da manuale e costruendo tiri ad alta percentuale che la tengono incollata nel punteggio.
Iguodala inizia male al tiro, ma Cleveland si incarta con una serie di attacchi da dimenticare conditi da una striscia record di tre violazioni del cronometro dei 24 secondi, che costano ben cinque palloni persi nei primissimi minuti di gioco.
La pessima esecuzione dei padroni di casa ha l’aggravante di lanciare la prima fuga degli ospiti, che con un Curry subito ispirato piazzano un parziale di 11-1 che crea la prima separazione della serata.
Thompson risponde con un bel giro di valzer chiuso dal canestro mancino, ma la circolazione di palla ospite sale ulteriormente di colpi e beneficia del ritmo trovato da Iguodala: 11 assist sui primi 11 canestri segnati per gli Warriors, che scappano oltre la doppia cifra di vantaggio con l’inchiodata a rimbalzo di Ezeli e la tripla dall’angolo di Barnes, innescato dall’assist di un ecumenico Curry al timone dopo una palla rubata dalla difesa.
I primi dodici minuti vedono Golden State avanti 28-15: gli ospiti hanno impiegato qualche minuto a trovare il ritmo a loro congeniale, ma una volta compiuta questa operazione per i Cavaliers sono stati dolori.
Curry è super a tutto campo, con 9 punti, 3 assist e due palloni rubati che accendono la miccia che fa deflagrare la loro potenza di fuoco nella seconda metà del primo quarto. Cleveland è già con le spalle al muro: l’attacco non ingrana, James è nervoso e cerca con eccessiva insistenza il contatto anziché badare al sodo in entrata a canestro e la difesa non trova le contromosse per arginare le soluzioni avversarie.
I padroni di casa entrano in campo con tutt’altro spirito nel secondo quarto, consapevoli di dover invertire al più presto il trend della serata. Livingston concede ingenuamente tre liberi a Jones che non fa sconti dalla linea della carità, Ezeli protegge ottimamente il canestro ma i Cavs escono gratis di prigione con una magia di LeBron, che salva capra e cavoli inventandosi una tripla allo scadere tirata praticamente dagli spogliatoi.
Golden State risponde immediatamente con la stessa moneta, affidandosi alla lucida follia di Barbosa che si alza senza esitare dando seguito a quanto di buono mostrato in Gara 5, ma gli ospiti perdono un Klay Thompson che non riesce ancora una volta a mettersi in ritmo e finisce per andare in crisi con i falli costringendo coach Kerr a richiamarlo in panchina dopo aver commesso il terzo personale.
Mozgov si mette a far la voce grossa nel pitturato difensivo, giocando quasi da portiere e blindando il ferro ricacciando indietro i tentativi di Ezeli, Iguodala, Barnes e Curry; la rinnovata verve difensiva sublimata dalle smanacciate del russo dà ulteriore energia ai padroni di casa, che si portano a -5 prima di essere nuovamente trafitti dalla tripla in transizione di un solido Barnes che concretizza la rubata di Iguodala ai danni di Mozgov.
Warriors avanti di 8 lunghezze con cinque minuti scarsi da giocare, Cleveland si aggrappa al bonus e con una ridda di liberi (molti dei quali falliti, come in occasione del primo viaggio in lunetta di James) riesce a rimanere in partita.
Si rivede David Lee, che però sparisce ben presto dalle rotazioni dopo esser stato sverniciato da LeBron liberatosi sul pick&roll; Iguodala è il primo Warrior in doppia cifra, Curry torna a prendersi la scena con uno splendido layup mancino in contropiede e una gran palla che innesca il taglio a canestro di Green, ma l’attacco ospite non è più quello scintillante ammirato nel primo quarto.
I Cavaliers toccano con mano la differenza, propiziata anche dall’aumentata intensità e efficacia della loro difesa, e con una tripla dalla punta e due canestri di Thompson, il secondo dei quali scuote le fondamenta della Quicken Loans con la schiacciata a rimbalzo quasi allo scadere del primo tempo, si riportano a un’incollatura dopo una rimonta pressoché inaspettata.
La prima metà di gara si conclude con gli Warriors avanti 45-43: in qualche modo e nonostante 13 palle perse Cleveland si arrampica sulla parete del pozzo nel quale sembrava essere caduta e torna a vedere la luce, trascinata da un’ottima difesa in grado di raffreddare i bollenti spiriti ospiti e di riportare il ritmo su un binario più congeniale ai padroni di casa e permettendo a James (15 punti e 8 rimbalzi) e Thompson (11 e 7) di architettare l’operazione di rimonta.
Golden State smarrisce il tocco magico nel finale, costretta a giocare con Klay Thompson praticamente a carico (soltanto due punti in dieci minuti abbondanti e tre falli commessi) e appoggiandosi al duo Steph-Iggy (11 e 10 punti rispettivamente) oltre a un Green che mette insieme numeri da potenziale tripla doppia (7punti, 5 assist e 4 rimbalzi).
La rimonta confezionata nel finale del primo tempo lancia i Cavaliers verso un ottimo inizio di ripresa: Mozgov si appoggia al vetro per completare l’aggancio, mentre è ancora una volta Thompson a perfezionare il sorpasso col gancetto destro in vernice. Padroni di casa di nuovo avanti, con la coppia russo-canadese che lotta su ogni pallone con un energia misteriosa.
Cleveland però si scorda di coinvolgere nelle operazioni il suo numero 23, e mal gliene incoglie: Barnes mette un’altra tripla importante per il contro sorpasso, a Iguodala basta una finta di corpo per liberarsi e volare a schiacciare nel deserto e Green replica dall’arco per l’8-0 che mette nuovamente in controllo Golden State costringendo il coach di casa a chiamare un timeout chiarificatore.
La musica cambia relativamente in uscita, con James che prova a sfondare a testa bassa riuscendoci ma assiste impotente agli abusi di Iguodala e Livingston su un Jones in versione pesce fuor d’acqua nella metà campo difensiva.
Klay Thompson si auto-esclude nuovamente dal match col quarto fallo a rimbalzo sull’omonimo di casa, ma gli ospiti ne risentono il giusto e si riportano in doppia cifra di vantaggio con un’altra schiacciata di Iguodala, innescato da Curry in contropiede.
Livingston continua ad essere un fattore dalla panchina, Smith prova ad accendersi col primo canestro dalla linea di fondo ma gli Warriors trovano l’ennesimo protagonista a sorpresa della loro cavalcata che li sta portando a un passo dall’anello: Festus Ezeli è l’ennesimo jolly pescato dalla profondissima panchina di Steve Kerr, e con otto punti in fila costruiti volando sopra il ferro e mostrando una mano educata dalla lunetta tocca quota 10 lanciando i suoi sul +14.
Il vantaggio viene ritoccato ulteriormente da Green, che mortifica ancora la difesa di Jones per il +15 che quando si tratta degli Warriors è quasi una sentenza: i californiani sono imbattuti nel corso della stagione ogni qualvolta che sono riusciti a accumulare un vantaggio di tale portata, un dato che si unisce a quello che li vede sempre vittoriosi nei playoff dopo aver chiuso in vantaggio i primi tre quarti di gara.
Ed è proprio ciò che accade considerando che, nonostante due ottime giocate di un Mozgov da doppia doppia nel finale, Golden State è avanti 73-61 a dodici minuti dal termine di Gara 6.
Soltanto un quarto di gioco separa Curry e compagni dall’anello, grazie alla maturità con la quale hanno gestito il tentativo di ribaltone avversario in avvio di ripresa. Iguodala è straordinario, Curry di un’efficacia disarmante in situazioni di pick&roll ma non solo, Green letale e Livingston e Ezeli sensazionali da una panchina che sta stravincendo il confronto coi pari ruolo avversari.
Cleveland invece va ben poco oltre la fiammata iniziale: James è encomiabile nella sua prova d’orgoglio (22 punti con 8/21 al tiro e 13 rimbalzi), ma l’apporto dei compagni si limita a quello portato dalla coppia Thompson-Mozgov, col resto della risicata ciurma incapace di dar manforte alla voglia di lottare del Prescelto.
Il quarto periodo si apre con una magia lungo la linea di fondo di Barbosa, che si inventa un reverse dall’altissimo coefficiente di difficoltà per dare ulteriore corpo alla fuga dei suoi.
Come detto, però, James non vuole uscire di scena senza combattere, e con due fiammate delle sue rianima il pubblico e chiude un parziale di 7-0 con la schiacciata in contropiede dopo aver intercettato un passaggio pigro degli ospiti.
Kerr non perde tempo e chiama il timeout immediato, dal quale i suoi escono con la tripla di un Curry che aspettava solo il momento del bisogno per tornare ad essere decisivo come solo lui sa fare.
Mozgov risponde schiacciando facile da gran palla di James, Livingston lo imita volando a rimbalzo in attacco e i Cavs provano disperatamente a rimanere aggrappati alla partita con la tripla di Smith.
Tutto inutile, perché in amen gli Warriors assestano tre stoccate che spaccano definitivamente la partita: Iguodala segna dall’arco il ventesimo punto della sua serata, imitato da Curry a stretto giro di posta; l’Mvp allora viene ancora raddoppiato, vede Thompson in angolo e lo serve con un tracciante che innesca la mano dello Splash Brother che, nonostante una serata da comprimario, mette anche la sua firma con la tripla dall’angolo del nuovo +14 quando mancano poco più di sei minuti da giocare.
Cleveland prova a reagire ancora con due liberi di Shumpert e l’entrata a canestro di James, ma viene punita con cinismo quasi sadico dall’ennesima tripla di Iguodala, innescato dal decimo assist di Green che vale la tripla doppia per il numero 23 ospite.
Thompson chiude definitivamente una serata tutt’altro che esaltante commettendo a stretto giro di posta il quinto e il sesto fallo personale, James proprio non vuol saperne di mollare e con l’ennesimo trentello delle sue Finals riporta i suoi a -11, provando a propiziare una chance che sembra impossibile da concretizzare visto lo strapotere di un Curry che vede e può tutto in ogni pick&roll giocato.
L’Mvp, da Mosé del lago Erie, apre le acque e appoggia in solitudine i due punti più facili della sua serata: +13 Warriors a uno e cinquanta dalla fine, con James che si copre il volto con la maglia durante il timeout in uno stato d’animo a metà tra l’annientamento fisico e il magone di chi inizia a realizzare di non avercela fatta.
Non è ancora detta l’ultima parola, perché J.R. non sarebbe J.R. senza quel quid (abbondante) di follia oltre il consentito: Smith prende letteralmente fuoco nel finale, con tre triple fuori dall’ordinario che restituiscono improvvisamente un barlume di speranza per una pazza rimonta dei Cavs.
Dopo lo spavento iniziale, però, Golden State non trema dalla lunetta: LeBron accetta la sconfitta e saluta con grande rispetto gli avversari ancora prima della sirena finale, prima di rifugiarsi nello spogliatoio e lasciare il parquet di casa alla festa degli Warriors. Stephen Curry e compagni ce l’hanno fatta: una stagione straordinaria, con una regular season da 67 vittorie, diventa storica con il 105-97che sancisce il successo dei californiani in Gara 6 e nelle Finals 2015, riportando il titolo nella Bay Area dopo quarant’anni di attesa.
Lo hanno fatto grazie a un roster profondissimo e ricco di talento, sublimato dalla capacità di coach Steve Kerr (il primo rookie coach a portare a casa il titolo dal successo di Riley coi Lakers nel 1982) che ha propiziato il definitivo salto di qualità dei tanti talenti di casa Warriors, oltre ad aver avuto la felice intuizione di rivoluzionare il quintetto inserendo Iguodala e svoltando la serie.
Non si può non cominciare da Stephen Curry per raccontare il trionfo degli Warriors: 25 punti, 8 rimbalzi, 6 assist e 3 rubate sono le credenziali con le quali l’Mvp della stagione chiude una serie finale da trascinatore, chiusa con 28 punti, 6 assist, 5 rimbalzi e 2 rubate di media.
Un killer coi guanti bianchi, un artista della palla a spicchi che con 27 primavere si affaccia agli anni della piena maturità agonistica promettendo di scrivere altre pagine della meravigliosa storia della lega.
I numeri di Steph però non gli bastano per bissare il titolo di miglior giocatore della stagione, aggiungendo anche quello delle Finals: l’Mvp viene infatti assegnato a Andre Iguodala, l’uomo che ha cambiato la serie quando Steve Kerr lo ha schierato in quintetto per la prima volta in stagione.
Iggy si è fatto trovare pronto, diventando il fattore chiave della rimonta Warriors che ha fruttato l’anello con tre successi in fila: 16 punti, 6 rimbalzi e 4 assist (con 25, 5 e 5 in Gara 6) gli valgono il premio di miglior giocatore delle Finals 2015, la seconda sorpresa di fila dopo quella di Kahwi Leonard nella passata stagione.
Partita storica anche per Draymond Green, che nella gara che decide una stagione si toglie lo sfizio di registrare una tripla doppia da 16 punti, 11 rimbalzi e 10 assist (con tanto di 3 rubate); il numero 23 sta diventando un all-around player devastante, e queste Finals gli permetteranno di battere cassa per un rinnovo contrattuale che si annuncia assai remunerativo.
Buona prova anche per Barnes, con 9 punti e tre triple in momenti cruciali della gara, mentre Thompson si limita a un ruolo da comprimario (5 punti, 5 rimbalzi e 6 falli in 25 minuti) come negli ultimi tre atti della serie finale, mettendo però la firma sulla tripla che spacca definitivamente la partita nel quarto quarto.
Ancora una volta eccezionale la panchina dei neo campioni Nba: Livingston chiude con 10 punti in 32 minuti, prendendosi la rivincita su un destino che ha rischiato di spezzarne una carriera (insieme al suo ginocchio) molto promettente e che stanotte ha visto ripagati i sacrifici e le sofferenze di chi non ha mai mollato e non ha mai smesso di credere nelle proprie capacità.
A condire con ulteriore meraviglia il successo degli Warriors ci pensano i 10 punti di Festus Ezeli, anch’egli tornato da un grave infortunio e determinante nella fuga al termine del terzo quarto.
Dalla parte degli sconfitti troviamo in primo piano un LeBron James mai domo, che ha provato fino all’ultimo a cambiare il destino di un serie che ormai aveva preso la via della California: senza i suoi scudieri Love e Irving (e dopo aver perso Varejao tempo addietro), James si è caricato la squadra sulle spalle tentando l’impresa storica e di addentrarsi in un terreno battuto soltanto dal più grande di sempre.
LeBron si arrendo dopo una Gara 6 da 32 punti (13/33 al tiro), 18 rimbalzi e 9 assist giocata più con la testa che con le gambe, che lo hanno lasciato a piedi dopo una stagione di rincorsa dettata dal pessimo avvio e dalla necessità di giocare per intero o quasi i sei atti delle Finals chiuse con 36 punti, 13 rimbalzi e 9 assist di media. Percentuali e mole di tiri rivedibili, siamo d’accordo; ma l’unico modo per riuscire a cullare il sogno dell’impresa era quello di andare in missione solo (o quasi) contro il mondo; e a chi ha avuto il coraggio di provarci va dato di esserci andato non troppo lontano.
Il cuore e la grinta dei soliti Mozgov (17 punti, 12 rimbalzi e 4 stoppate) e Thompson (15 punti e 13 rimbalzi) non basta a supportare lo sforzo del leader dei Cavs; i 19 punti di Smith non fanno testo, perché 9 di essi sono arrivati nella fiammata finale che ha avuto il merito di mettere un po’ di pepe agli ultimi possessi ma che non ha inciso nell’economia di un’altra prova deficitaria al tiro (5/15 dal campo per J.R.).
Svanito l’effetto Dellavedova (un punto e sei falli in 24 minuti), Cleveland arriva corta di uomini e di fiato, fermandosi a pochi passi da un titolo che diventerà obiettivo concreto nella prossima stagione col roster al completo.
Adesso però la festa è tutta dei Golden State Warrors, che col quarto titolo della loro storia (il secondo californiano dopo i due conquistati dagli allora Philadelphia Warriors) tornano a scrivere il loro nome nell’albo d’oro della Nba.
L’età e il talento sono dalla loro, e stanotte potremmo aver assistito alla nascita di una dinastia: se la pancia non verrà riempita dal meraviglioso successo appena conquistato, i ragazzi in maglia gialla promettono di farne vedere delle belle anche negli anni a venire.
Cala il sipario sulle Finals 2015: hanno vinto i migliori, i dominatori della stagione, bravi a non tremare nelle difficoltà e baciati dalla sorte che aiuta gli audaci e ne ha preservato la salute lungo tutto il corso della stagione.
Steph Curry ha scritto il primo capitolo della sua legacy, laddove hanno fallito altri giovani campioni che sono stati respinti dopo aver bussato alle porte dell’Olimpo.
Il meraviglioso numero 30 ha invece trovato la strada spalancata: lui e i suoi Warriors sono nell’empireo del gioco, dopo aver scritto un’altro splendido capitolo della storia infinita chiamata pallacanestro.
Studente in giurisprudenza, amo ogni genere di sport e il suo lato più romantico. Seguace di Federico Buffa, l’Avvocato per eccellenza, perché se non vi piacciono le finali NBA non voglio nemmeno conoscervi.
“Ricordati di osare sempre”.
Ciao Filippo, come stai? Complimenti per l’articolo! In giro sento commenti che se Cleveland avesse avuto Love ed Irving vrebbe fatto di un boccone Golden State, ma io credo che per loro sarebbe stata dura comunque, tu che ne pensi?
Ciao Riccardo, grazie per il commento e per i complimenti! Certi discorsi tendono ad essere fin troppo semplicistici, perché come dimostrano tanti esempi illustri nella storia dello sport non basta ammassare talento per assicurarsi la vittoria. Ovviamente credo non ci siano dubbi che i Cavs sarebbero stati più forti, almeno sulla carta, con tre quinti di quintetto titolare a disposizione; ma da qui a dire che avrebbero vinto facile ne passa di strada. Penso che, con tutti i giocatori a disposizione, Cleveland sarebbe stata leggermente favorita in una serie comunque molto equilibrata, che avrebbe potuto regalare emozioni ancor più grandi di quella appena conclusa.
Hai ragione da vendere Filippo! Per esempio: ti ricordi di quando molti tifosi sui blog di basket dissero che nel 2014 la Spagna avrebbe vinto con 20 punti di scarto al mondiale con tutti Usa compresi perchè avevano perso solo di 7 con Lebron e Kobe? Invece sappiamo tutti com’è andata.