A volte, va così. A vincere il duello tra LeBron James e Stephen Curry, rischia di essere Nick U’Ren, un oscuro assistente assurto all’onore delle cronache grazie ad una felice intuizione tattica.
Sotto 1-2 nella serie, con un attacco ingolfato e gli esterni dei Cavs sotto pelle, i Warriors iniziavano ad avere un po’ di paura della difesa di Cleveland e della trance agonistica di Dellavedova, che dopo Gara 3 avrà anche avuto bisogno d’essere soccorso per i crampi, ma sul parquet sembrava tarantolato.
Steph Curry non stava giocando una cattiva serie in senso assoluto, ma era altresì evidente che non si stava esprimendo al livello tecnico che gli era valso l’MVP, contrariamente a LBJ, sempre più a suo agio nel ruolo di mattatore assoluto del massimo proscenio NBA.
Come ritrovare le armonie che avevano portato Golden State in Finale? Nella notte di mercoledì, mentre lo staff tecnico vagliava le alternative, il ventottenne Nick U’Ren, manager per lo scouting avanzato, e special assistant di Kerr, era al Ritz-Carlton, in camera, a dare un’occhiata alle Finali del 2014, durante le quali Gregg Popovich tolse Thiago Splitter per Boris Diaw, abbracciando lo small-ball e vincendo il titolo NBA in souplesse.
U’Ren si convinse che i Warriors potessero fare qualcosa di analogo; Andre Iguodala stava difendendo alla grande su LeBron, riuscendo a stare in marcatura individuale, oltre a portare la consueta dose di ottimo ball-handling, ma usciva dalla panchina, e in attacco giocava da numero 3.
In fondo, pensò U’Ren, le qualità offensive di Iguodala non sono poi così dissimili da quelle del venerabile senegalese degli Spurs, e in difesa, Andre è nettamente meglio di Diaw. Perché non metterlo in quintetto, risparmiando così a Harrison Barnes quei primi minuti di (problematica) marcatura di LeBron, guadagnandoci in rapidità e gestione della palla?
Nick U’Ren è uno di quei membri dello staff tecnico che rimangono ignoti al grande pubblico; in pratica, prepara i videotape che poi i giocatori guarderanno sui loro iPad durante le trasferte in aereo, prende i rimbalzi per Steph Curry in riscaldamento, cose di questo tipo; non il primo ad essere consultato dal grande capo, a dirla tutta.
Così, s’è rivolto a Luke Walton (una delle persone più affabili che ci siano in NBA) chiedendogli di perorare per suo conto l’idea di sostituire Andrew Bogut (a lungo pietra angolare della difesa interna dei Warriors, ma in palese difficoltà), con Iggy. Detto, fatto: messaggio notturno a Kerr, e, il giorno dopo, riunione per valutare l’aggiustamento.
I Warriors avevano già provato soluzioni estreme (come mettere Bogut a marcare Tony Allen), ma un conto è fare degli adeguamenti, un altro è cambiare radicalmente quintetto durante le NBA Finals, con tutta la pressione del mondo addosso.
Un’ora e mezza prima della palla a due, Steve professava che i Warriors non avrebbero cambiato nulla, per poi scusarsi con i giornalisti nel post-partita: “Scusate, ma non credo che consegnino il Titolo in base alla moralità”.
GARA 4
In Gara 4 Iguodala ha segnato 22 punti e tenuto LeBron a 1-7 (7-22 complessivo) con soli 5 punti su 33 tocchi, largamente la peggior prestazione di King James fino a questo punto nella serie, riportando la serie ad Oakland in situazione di parità, con l’inerzia nuovamente a proprio favore, permettendosi anche qualche siparietto, come quando ha provato a dare un cinque a James Jones, che l’aveva appena stoppato
o addirittura prendere in giro la tendenza di King James alla sceneggiata; attenzione, non a partita conclusa, ma sul più quattro, nel terzo quarto. Si può discutere dell’opportunità, ma non del coraggio!
Dopo la partita, vinta con un netto 103-82 da Golden State, Kerr si è preso i complimenti del proprietario, Joe Lacob, ma li ha prontamente girati a U’Ren; tuttavia, non bisogna dimenticare che è stato il vecchio Steve a metterci la faccia; avesse perso, non si sarebbe potuto nascondere dietro alle idee di un video-coordinator.
Altri allenatori, nella stessa situazione, hanno osato molto meno. Phil Jackson, durante la Caporetto del 2004, si sentì chiedere dai veterani di ripristinare l’Attacco Triangolo e di togliere un Gary Payton in difficoltà, ma preferì continuare col “suo” quintetto, facendosi spazzare via 4-1, e stiamo comunque parlando di Phil Jackson.
Quello che hanno fatto i Warriors è estremo anche in confronto ai quattro esterni di Popovich di 12 mesi fa: Golden State giocava già con Draymond Green da 4 tattico; togliendo Bogut, i Warriors sono diventati la prima squadra a giocare a questi livelli con cinque piccoli, e in fondo è ironico che a sdoganare definitivamente lo small-ball sia Kerr, che, da GM aveva smantellato i Phoenix Suns dei Seven-Seconds-or-Less, spedendo Shawn Marion a Miami in cambio di Shaquille O’Neal.
Le persone intelligenti, in fin dei conti, si riconoscono dalla capacità d’imparare dagli errori, e Kerr ha saputo farne tesoro, prima ingaggiando Alvin Gentry come assistente, e poi fidandosi del sistema persino più di Mike D’Antoni, che ha sempre creduto d’aver mancato il titolo perché privo di un vero rim-protector.
Torniamo a Gara 4: vittoria netta, dicevamo, la prima in una serie che, fino a quel punto, aveva riservato solo overtime, o almeno finali in volata, e subito seguita dalla seconda vittoria con più largo margine delle Finals, segno che i Warriors hanno ripreso il comando di una serie che stava inopinatamente sfuggendo di mano, con Dellavedova capace di zingarate alla Allen Inverson.
Oltre all’attacco, ovviamente spaziato meglio (nei primi tre episodi della serie, Cleveland battezzava Bogut, in Gara 4 l’attaccante meno pericoloso in campo era Iguodala: una bella differenza), è in difesa che i Warriors si sono trasformati, raddoppiando bene il post basso, dove la produzione dei Cavs è crollata: LeBron c’è andato 7 volte, producendo 0.57 PPP. Mozgov, con altrettanti tentativi ha fatto peggio, appena 0.44 PPP. Su un totale di 18 post-up, Cleveland ha portato a casa appena 7 punti.
La velocità d’esecuzione difensiva di Green, Barnes e soci ha tenuto Dellavedova, Shumpert e Smith a 3-14 dalla lunga distanza, quando non contestati, e 0-8 con la mano in faccia. L’unica soluzione offensiva a funzionare per Blatt è stato il pick-and-roll tra LeBron e Mozgov, che ha prodotto 1.33 PPP su 19 azioni, ma è un tipo di azione che non condiziona più di tanto la difesa, men che meno la sposta.
I Warriors di Gara 4 hanno messo a referto 2.86 passaggi per possesso, che sono meno dei 2.92 di Gara 3, ma come sempre, i numeri vanno pesati: in Gara 3 ci sono stati troppi passaggi di troppo e una circolazione di palla sterile, perimetrale, che non produceva tiri qualitativi. Con meno passaggi e più decisione, Golden State ha costruito conclusioni in ritmo.
GARA 5
Gara 5 ha seguito un copione simile, con la vittoria 104-91 dei Warriors tra le mura amiche dell’Oracle Arena, e la shotchart evidenzia bene come siano cambiate le conclusioni di Golden State dal cambio del quintetto: nelle prime tre gare, il loro attacco era nella media, mentre nelle ultime due, hanno limitato i long-two e alzato le percentuali da sotto e da tre (anche se non dagli angoli, dove continuano a sbagliare tanto).
Il punto esclamativo sulla partita l’ha messo Curry, autore di 12 punti in 7 minuti nell’ultimo quarto, per 37 totali, silenziosi quanto chirurgici, con il 56% dal campo. Il piano gara difensivo di Blatt è chiaro: la consegna per i difensori è di stare con Curry, sempre e comunque, ed è un elemento del quale si tiene colpevolmente poco conto quando si analizzano le difficoltà della guardia da Davidson.
Contro una difesa molto fisica, Steph sta facendo affidamento sui pick-and-roll, ma cresce di partita in partita, e anche Matthew Dellavedova, per tre partite capace di mettere freno alle scorribande del figlio di Dell, si è dovuto arrendere.
Steph Curry ha chiuso con 13-23 dal campo, 7-13 da tre, con 17 nell’ultimo quarto, con 5-7 al tiro. Se di slump si poteva parlare, ormai lo si dovrà fare usando il tempo passato: nelle ultime tre gare, Curry tira con 51.7% dal campo, e con il 54.5% da dietro l’arco.
https://www.youtube.com/watch?v=l2y7qNRMek4
L’ennesima prestazione monstre di LeBron, autore di 40 punti, 14 rimbalzi e 11 assist, non ha trovato sponda nei compagni, intrappolati da una difesa che recupera benissimo e non concede conclusioni comode ai tiratori: Dellavedova è andato 1-5, Smith (spronato a tirare da David Blatt) addirittura 4-14, mentre Iman Shumpert si è confermato il più pericoloso, con 3-6 dalla lunga distanza.
Attaccando così, con palla in mano a James e pedalare, non si va molto lontano; LeBron potrà accumulare grandissime cifre, ma la difesa non è in difficoltà, e i comprimari non hanno mai l’occasione per entrare in partita e generare inerzia. Settanta dei novanta punti di Cleveland sono stati prodotti da LBJ, direttamente con un canestro, o con l’assist. Sono i numeri di una one-man-band, non di una squadra che gioca per l’anello.
Andre Iguodala (autore tra l’altro di una prestazione inguardabile ai liberi) si è confermato difensore di livello superlativo su James, piratandogli qualche pallone, alternando randello e fioretto con lucida perfidia; anche quando segna, LBJ prende tiri con un coefficiente di difficoltà altissimo.
Andrew Bogut, visto in campo per tre minuti in Gara 4, si è limitato a sventolare l’asciugamano con encomiabile entusiasmo, mentre Mozgov, che aveva messo a referto il proprio career high con 28 e 10 rimbalzi (in Finale NBA!), è stato utilizzato in appena 9 minuti; Kerr ha commentato dicendo che “non è una serie per lunghi, per il modo in cui sta andando”, ed è senz’altro vero; Golden State ha vinto ancora la guerra a rimbalzo (46-37, nonostante Tristan Thompson) e dei punti in verniciato, ed è chiaramente la squadra che muove meglio la palla.
Cleveland ha messo a segno solo 17 assist (11 di james); i Warriors ne hanno fatti 25, beneficiando alla grande delle doti di passatore di Andre Iguodala, sempre più protagonista della serie con 14 punti, 8 rimbalzi e 7 assist.
Cosa ci attende in Gara 6, nella notte italiana tra martedì e mercoledì?
Sarà interessante vedere se David Blatt rimetterà Mozgov, dopo essere stato fatto a pezzi dai media per averlo tolto, adeguandosi alla strategia di Kerr, che è arrivato ad un passo da un risultato doppiamente storico, sia perché sarebbe il primo allenatore esordiente a vincere il titolo NBA, sia perché sarebbe un anello conquistato giocando un basket totalmente inedito, forse irripetibile, o, più probabilmente, preludio di una nuova era cestistica.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
consueta lucidità: grazie!
“non tanto della maledizione del Sesto Uomo (nessuno dei giocatori ad averlo vinto si è mai messo un anello al dito, e Leandro Barbosa l’ha vinto)”
Ma questa da dove ti è uscita? Eri ubriaco?
Credo che intendesse dire che Barbosa ha vinto il titolo di sesto uomo non l’anello ;-)
Questo è chiaro, ma dice che nessun vincitore del premio di Sesto Uomo ha mai vinto il titolo Nba. O almeno, in italiano la frase in questione significa questo.
Ginobili, Odom, McHale, Kukoc, Terry, Bobby Jones, Mike Miller, Bill Walton, e forse me ne sfugge pure qualcuno.
Sono parecchi, eh. Quindi, davvero, sono curioso di sapere da dove viene la statistica che ha citato.
Hai perfettamente ragione, Jesus (Black Jesus?), è una statistica sbagliata, per la quale mi scuso. A volte, quando si scrive con scadenze serrate (visto che stanotte si gioca ancora), capita di non fare un’accurata revisione di quanto si scrive, come in questo caso. Di nuovo scuse
Complimenti per l’articolo, mi sembri solo un filo ingeneroso con James, perché se da un lato descrivi semplicemente la realtà quando parli di “One Man Band” è anche vero che purtroppo la situazione è esattamente questa. Se James non stesse giocando in modo irreale probabilmente non avremmo nemmeno una serie.
Probabilmente è così, anche se, con tutti i limiti del supporting cast, penso che JR Smith, Mozgov e Shumpert, potessero essere coinvolti in modi più vari rispetto a (banalizzo) “mettiti lì e aspetta lo scarico”. Di chi sia colpa, lo può sapere solo chi ha accesso allo spogliatoio dei Cavs, beninteso.
Mah, ottimo artcolo Francesco, ma devo dissentire su una cosa Francesco: Non credo che se Lebron si fosse comportato in maniera diversa le cose sarebbero cambiate, poichè Mozgov e Schumpert non sono dei giocatori che sanno crearsi dei propri tiri, mentre J.R, pur sapendolo fare, lo sai meglio di me, è totalmente defic… ehm inaffidabile!
Prima delle Finali, ho scritto un pezzo che sostanzialmente elogiava LeBron per come stava giocando. Secondo me però, questo tipo di basket poteva funzionare in ottica Eastern Conference, mentre in finale no. Se Blatt ha deciso di continuare così (sempre che sia stata una sua decisione) aveva certamente ottimi motivi, che non ho ragione di mettermi a sindacare, però mi sembra anche chiaro, a questo punto, che quello è un basket che non funziona. Ripeto, probabilmente non potevano fare diversamente, ma io (probabilmente sbagliando) mi sarei fidato un po’ di più di Timofey, Iman (fiducia e JR non riesco a scriverli nella stessa frase!) e forse anche di Miller e Jones. E questa, specifico, non è in ogni caso una critica a LBJ.
Che questo tipo di basket non sia “vincente” è fuori discussione…nemmeno Jordan vinceva finché giocava uno contro cinque, ha iniziato a vincere quando è stato convinto da Jackson a giocare in un contesto di squadra. Io penso che James non avrebbe mai giocato in questo modo (perché ovviamente lo ha deciso lui, non certo Blatt…credo che questa squadra rappresenti molto poco il suo allenatore in termini di principi cestistici) anche solo con Irving in squadra, avrebbe certamente diviso maggiormente le responsabilità offensive e probabilmente sarebbe arrivato con più benzina nei finali. Purtroppo credo che i vari Shumpert, Smith, Della Vedova, Thompson e Mozgov abbiano dato tutto (non dimentichiamo che anche Iman era mezzo azzoppato da un infortunio muscolare); il russo in particolare ha addirittura registrato il career high in una gara di finale; Thompson sembrava un Rodman più coinvolto in attacco (e meno stopper in difesa, ma per come andava a rimbalzo sembrava veramente il verme). Per non parlare dell’australiano che ha giocato letteralmente al di là dei suoi limiti. Personalmente credo che l’anno prossimo ci sarà molta poca trippa per gatti, se i Cavs non avranno analoghi problemi di infortuni e con James ancora più affamato di quest’anno.