Archiviate le prime tre gare di Finale, si delineano quelli che sono stati i trend e i temi tecnici emersi nel corso di questa prima porzione di una serie che vede contrapposte due filosofie di gioco quasi opposte, e due allenatori straordinari come David Blatt e Steve Kerr, giunti in Finale al primo anno su una panchina NBA.
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Vinta Gara 1, con l’uscita per infortunio di Kyrie Irving , i Warriors erano diventati i favoriti di tutti, ma dopo Gara 2, con la sconfitta ai supplementari e le difficoltà di Curry, la situazione si è capovolta.
“Per tutto l’anno, siamo stati bravi a evitare il panico”, ha detto dopo Gara 1 Klay Thompson, “non siamo mai fuori partita, sappiamo quanto talento abbiamo in squadra”, ed è certamente vero, ma qualche dubbio si è insinuato sotto alla corazza dei Warriors, se per due volte Cleveland è stata capace di portarli al supplementare, e a batterli due volte su tre, pur privi di Irving (e ovviamente Love).
GARA 1
Nel primo episodio della serie, Golden State ha tirato con il 37% da tre punti, arrugginita dalla sosta, ma anche infastidita da una difesa tecnicamente non eccelsa, ma che, un po’ come i vecchi Knicks di Pat Riley, ricorre alla massima “non possono fischiare tutti i falli che commettiamo”.
I Warriors sono usciti vincitori anche perché hanno difeso in modo razionale su LeBron, stando con i tiratori il più possibile, spingendolo all’uno contro uno (difeso benissimo da Andre Iguodala) e lavorando in pre-rotazione per sconsigliare la penetrazione al ferro. James ha risposto con 44 punti, ma gli sono serviti 38 tiri, e non ha battuto liberi negli ultimi 17 minuti di gioco.
LBJ ha preso 21 conclusioni in situazione d’isolamento (su 26 isolamenti totali), ma ha segnato così solo 20 dei suoi 44 punti: sono tiri che, tutto sommato, la difesa di Golden State concede volentieri, perché molto meno efficienti rispetto alle situazioni dinamiche, o al penetra e scarica del quale James è maestro. Nelle immagini, due isolamenti di LeBron: da notare la posizione dei difensori in aiuto, flottanti, ma pronti a recuperare la posizione sui tiratori.
Senza comode conclusioni, gli altri hanno, a loro volta, stentato: JR Smith ha tirato 3-13, Shumpert 2-6, Dellavedova non ha preso un tiro in tutta la gara, e James Jones, che è in campo solo per quello, uno. Nei primi tre turni dei Playoffs, solo il 32% dei tiri da tre di Shumpert, Irving e Smith erano stati contestati, mentre in Gara 1, lo è stato il 45% delle loro conclusioni, con un solo canestro realizzato.
A marcare di più LBJ è stato Iguodala (oltre 7 minuti), contro il quale ha prodotto 0.69 punti per possesso. Iggy ha difeso come meglio non si poteva, tenendo botta fisicamente, rimanendo sempre tra lui e il canestro, e riuscendo anche a sporcargli il palleggio in più di un’occasione. La missione, ha detto Andre, era “fargli prendere tiri difficili”, ed è stata eseguita quasi alla perfezione.
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LeBron ha fatto meglio contro Green (0.80 punti a possesso su 5 tentativi), e benissimo contro Barnes, che dei tre è quello meno forte fisicamente: contro di lui, James ha messo 11 punti, con un perfetto 4-4 al tiro. Nel complesso, LeBron è rimasto al 38%, percentuale per la quale i Warriors metterebbero la firma ogni sera.
I risultati della strategia di Kerr hanno messo in secondo piano le difficoltà di Steph Curry, che ha segnato solo due triple, e che è ricorso allora al pick-and-roll, situazione dalla quale ha tirato con il 60%. I 21 portati dai Warriors hanno originato 0.86 punti per possesso (2 punti per possesso, quando il bloccante era Draymond Green), per un totale di 29 punti che hanno consentito a coach Kerr di respirare.
Tristan Thompson si è confermato cliente scomodissimo anche per Green, che l’ha sofferto forse più del previsto; su 8 chances di rimbalzo d’attacco, Thompson ne ha presi 6, 15 complessivi, buoni per il 68% di rimbalzi disponibili catturati. Con un attacco prevedibile e monotematico come quello di Cleveland, riuscire a racimolare secondi possessi è vitale, e in questo senso, Thompson, favoloso rimbalzista offensivo, è l’uomo più importante.
Tuttavia, anche a causa dell’infortunio a Irving, i Cavs hanno chiuso gli ultimi 15 possessi del match con 4 miseri punti (e altrettante palle perse), precludendosi la vittoria contro una squadra che, viceversa, è capace di produrre grandi parziali anche in breve tempo.
Dopo la partita, Drederick Irving, il padre di Kyrie (i nomi strani sono una tradizione di famiglia!) è stato visto discutere animatamente con l’agente del figlio, e molti hanno criticato la scelta di lasciarlo in campo per 43 minuti, ma in una partita combattuta come Gara 1, Blatt ha scelto di rischiare per non prendere imbarcate pericolose.
Con 23 punti, 7 rimbalzi, 6 assist e 4 rubate, Irving è stato assoluto protagonista. Senza di lui, i Cavs hanno preso un parziale di 10-0 nel supplementare dominato da G-State, e si sono presentati a Gara 2 temendo di non poter limitare Curry senza il difensore che gli aveva creato tanti grattacapi nel primo episodio della Finale.
GARA 2
In Gara 2 però, Steph è incappato in una serataccia paragonabile alla Gara 1 di Reggie Miller di 15 anni fa, quando Killer Miller fece 1-16 per soli sette punti. Dopo la partita, l’impagabile Reggie disse: “Non ho odiato abbastanza gli avversari”, e nel resto della serie non ebbe più problemi a segnare come sapeva.
Forse anche Steph, confortato dall’assenza di Irving e dal vantaggio nella serie, non ha “odiato abbastanza” Cleveland, fatto sta che la sua Gara 2 è un Gronchi Rosa che ha preso alla sprovvista, prima di tutti, i compagni di squadra; quando Stephen tira sotto al 40%, i Warriors sono 0-4 nei Playoffs.
Curry e i Warriors continuano a ripeterlo: “È stata solo una partita storta”, ma da un po’ i numeri di Steph sono meno spaziali del solito. Contro Houston, in Gara 4, fece 7-18, seguita da un 7-21 in Gara 5; inutile fare drammi, perché Curry ha comunque tirato 10-20 in Gara 1, ma c’era sicuramente preoccupazione in vista di Gara 3, perché nelle ultime 4 partite aveva il 35.4% dal campo.
Nel secondo episodio della serie, Curry ha tirato 2-8 su triple pull-up (contro il 42% stagionale), 0-4 in catch-and-shoot, 1-9 quando contestato, e addirittura 1-6 nelle conclusioni dalla lunga distanza senza difensore vicino, che, comunque, grazie all’abnegazione di Dellavedova, sono state poche rispetto a Gara 1; secondo LeBron, la serataccia di Curry “Ha molto a che vedere con Delly; gli ha messo un corpo addosso, l’ha fatto lavorare.”
Per uno Splash Brother in difficoltà, un altro si è ritrovato: Klay Thompson ha messo a segno 34 punti belli e importanti (anche se con 28 tiri), consentendo alla squadra di restare in linea di galleggiamento anche in contumacia Curry, arrivando poi con benzina nel serbatoio al rush finale.
Gara 2 si è subito messa male per i padroni di casa, costretti ad inseguire e autori di una bella rimonta negli ultimi tre minuti di partita, ma ugualmente battuti (e tenuti sotto i 100 punti) da James e compagni. Dopo aver lungamente gestito il vantaggio con due lunghi in campo, David Blatt ha scelto di lasciare in panca Mozgov negli ultimi 19 minuti, adattandosi ai quintetti di Kerr, che ha risposto facendo fallo sistematico su Tristan Thompson per costringere Blatt a toglierlo e erodere il vantaggio di Cleveland.
Ai Cavs mancava ovviamente Irving, ma, nella sfortuna, c’è un piccolo vantaggio: Kyrie è stato fuori a lungo anche in stagione regolare, quindi per i compagni la situazione tattica non è inedita. Cleveland, senza Love e Irving, somiglia molto alla squadra che LeBron ha lasciato nel 2010 per il sole di South Beach, una formazione arcigna e di grande cuore, ma soggetta a passaggi a vuoto offensivi che possono vanificarne il lavoro difensivo.
In assenza di Kyrie, Lebron si è preso carico del ball-handling (quando se n’è occupato Dellavedova, sono stati guai), passando dai 6 assist di Gara 1 agli 11 di Gara 2, che hanno generato la bellezza di 33 punti (al ritmo di 1.01 PPP).
I Cavs hanno usato la non belligeranza di Andrew Bogut per far flottare Timofey Mozgov senza essere mai puniti dal centro australiano, autore di uno 0-1 al tiro in 25 minuti d’impiego, che, unito allo 0-5 nei tempi regolamentari di Draymond Green, ha consentito ai Cavs di presidiare serenamente il verniciato, e quindi, di togliere le penetrazioni e avvantaggiarsi a rimbalzo.
Sul perimetro, Dellavedova e Shumpert (in marcatura su Klay Thompson) hanno fatto un piccolo capolavoro restando sempre addosso agli Splash Brothers, lottando sui pick-and-roll, senza costringere Mozgov allo show forte in aiuto, come mostrato nelle sequenze che seguono.
Nonostante un 85.9 di offRtg (a fronte del 90.3 di Golden State), Cleveland è riuscita a prevalere, forte del 28.6% di rimbalzi offensivi conquistati, contro il misero 19.6% dei Warriors, che sono stati costretti ad un solo tiro per tutta la serata: non una buona notizia, quando fai 8-35 da dietro l’arco (peggior dato casalingo di tutta la stagione).
La panchina dei Cavs (surclassata 34 a 9 in Gara 1) batteva inopinatamente quella ben più ricca di Golden State, 21 a 17. In particolare, JR Smith ha replicato i 13 tiri di Gara 1, ma ha dimezzato le conclusioni da 3, segnando di più. Sono stati preziosissimi anche gli scudieri di LeBron, James Jones (che su 22,24 minuti d’impiego, ha toccato palla per 36 secondi!), con 2-4 da tre e +22 di plus-minus, e Mike Miller, scongelato per l’occasione.
GARA 3
Gara 3 ha proposto lo stesso copione di Gara 2: fuga dei Cavs, guidati da LeBron, marcato, come sempre in avvio, da Harrison Barnes, che gli rende troppi chili per infastidirlo, e Warriors costretti ad inseguire.
James ha messo a segno un’altra partita sontuosa, con 40 punti, 12 rimbalzi, 8 assist, 4 rubate e 2 stoppate, restando seduto solo due minuti in tutto, e con un Usage Rate che è salito ancora rispetto alle finali, arrivando al 42.4%. James ha segnato o fatto assist nel 64% dei punti dei Cavs nella serie, una cifra irreale. LeBron è andato 23 volte in penetrazione, producendo 24 punti, 15 direttamente con un canestro, e 9 mediante assist.
Nonostante l’assoluto dominio tattico della partita e il cospicuo vantaggio incamerato (+20 nel terzo quarto), Cleveland si è fatta rimontare ancora una volta, finendo la partita punto a punto, per poi vincere 96-91.
Dopo il flop di Gara 2, Curry è stato bravo a uscire dallo slump senza forzare, segnando solo 10 punti con 4-11 nei primi tre quarti di gara, per poi salire di colpi nell’ultimo quarto, nel quale ha realizzato 17 punti con 6-9 al tiro (beneficiando anche dei cambi sui blocchi dell’ottimo Lee) e provocando la rimonta che ha fatto sudar freddo gli spettatori della Quicken Loans Arena.
Scopriremo nelle prossime partite se Stephen ha definitivamente ritrovato il tocco; marcato da Dellavedova, ha tirato comunque male (33% al tiro, con 3 drive verso canestro e nessun punto segnato), e negli ultimi due minuti, ha perso ben tre palloni, ma è chiaro che, senza di lui, Golden State non ha chance di vincere una serie che ha preso l’inerzia di Cleveland, e che è, per stile, ritmo e arbitraggio, una serie della Eastern Conference, adattissima alle caratteristiche dei Cavs.
A dire il vero, Steve Kerr ha provato a farsi sentire dagli arbitri, ma da sempre le zebre vedono pochi falli commessi contro gli attacchi motion rispetto a quanti ne fischino sugli attacchi d’isolamento, dove c’è da guardare un solo difensore, al massimo due. Questo problema esiste da sempre (lo sottolineava anche Phil Jackson, nel suo libro del 2001 “Più di un Gioco“), ma non è condizionante, se una squadra attacca il canestro.
Oltre allo slump di Curry, la maggiore preoccupazione dei Warriors è la scomparsa di Draymond Green, che non è stato fin qui un fattore. Tristan Thompson lo sta schiantando a rimbalzo, dove il differenziale tra i due nella serie recita +19 in favore dell’ala di Cleveland. Per giunta, Draymond sta producendo poco in attacco, dove fatica a segnare, e si fa sentire solo portando blocchi; troppo poco, per un giocatore così importante, che, di fatto, viene invitato a tirare.
Anche Andrew Bogut non sta disputando una grande serie; siamo ormai abituati a vederlo come un rim-protector che in attacco si occupa più che altro di pescare i tagli dei compagni grazie alle eccellenti doti di passatore, ma in queste tre partite è stato troppo passivo, ed è lento in transizione, tanto che Kerr e Gentry, nel finale, hanno deciso di giocare la carta David Lee proprio per avere in campo un lungo più dinamico; con lui come bloccante, i Warriors hanno segnato 20 punti (1.54 PPP), accelerando decisamente rispetto alla miseria di 0.50 PPP di Green e agli 0.40 di Ezeli. Nella sequenza, Lee, dopo il blocco, sfrutta l’aiuto di Jones per trovare in angolo Iguodala, secondo un’azione da manuale.
Sul versante opposto, i Cavs hanno un Matthew Dellavedova ventellista in stato di grazia; gli entra tutto, riescono giocate che normalmente gli costerebbero la panchina, e ha tutta la fiducia del mondo. Dellavedova e Thompson sono i due emblemi di una Cleveland che era stata concepita come una riedizione dei Big Three, ed è diventata invece una formazione operaia che piace tantissimo al pubblico dell’Ohio, che esplode a ogni tuffo per recuperare una palla vagante.
I Warriors, a un certo punto di Gara 2, sembravano dead in the water, sotto di venti e palesemente sempre più scoraggiati ad ogni tripla fallita, ma, approfittando della difficoltà di Cleveland a mettere punti a referto, sono riusciti a rimettere in piedi una partita che squadre meno resilienti avrebbero data per persa. Tuttavia, a questo punto è chiaro che i Cavs non sono affatto una vittima sacrificale, come si pensava dopo l’uscita di Irving.
In Gara 4, sarà Golden State a fare gli aggiustamenti, provando a rispolverare i meccanismi che hanno consentito di prendere ottime conclusioni da dietro l’arco per tutta la stagione. Le buone triple sono quelle in ritmo, che nascono dopo aver mosso la difesa, quindi occorrerà passare di più e meglio la palla, e battere gli esterni sul perimetro per costringere i Cavs all’aiuto. Sicuramente, vedremo molto più spesso David Lee, come ha già anticipato Kerr.
I risultati a rimbalzo (46-43 per gli ospiti, con il 78% di rimbalzi secondo il dato corretto, rispetto al 61% dei Cavs) sono incoraggianti, e la direzione è quella giusta. Per battere Cleveland, non basterà il talento, servirà anche sporcarsi le mani.
In casa Cavs, Blatt non dovrà sforzarsi troppo per mantenere alta la tensione difensiva di un gruppo adrenalinico di suo, ma lavorerà viceversa sull’attacco, che è sicuramente perfettibile.
Aspettiamoci altri giochi disegnati per JR Smith e, in generale, per i tiratori, che si sono dimostrati fin qui pronti, mentre LeBron potrebbe avvantaggiarsi nel ruolo di facilitator, riducendo il numero di conclusioni, e quindi conservando energie per eventuali finali in volata.
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
Articolo molto completo e chiaro. Mi indicheresti un buon sito, o altre risorse, dove si analizzano le partite (specie NBA) a livello tattico?! anche in inglese, no problem.
A spizzichi e bocconi, basta anche NBA.com, che sta facendo un lavoro eccellente con le statistiche avanzate, altrimenti c’è Grantland (ma sempre dopo un po’ di giorni, perché ci tengono a scrivere bene!). Io di solito parto da loro, in particolare da Zach Lowe e Kirk Goldsberry. Knock yourself out! =)