I Golden State Warriors hanno dominato la Regular Season, con 61 vittorie già in cassaforte, un possibile MVP, e tanti motivi per essere entusiasti di un anno vissuto sulla cresta dell’onda.
A nove partite dalla fine della stagione regolare, secondo noi ci sono almeno 10 buoni motivi per pensare che i Warriors siano i favoriti per il titolo NBA:
1) Perché, dopo l’All Star Game, sono 13-1 contro squadre con record positivo; hanno raggiunto (e oltrepassato) quota 60 vittorie stagionali per la prima volta nella loro storia (le avevano sfiorate nel 1975-76, con Al Attles a guidare Jamaal Wilkes e Rick Barry), e sono 40-0 quando tengono gli avversari sotto i 100 punti. Queste cifre non sono una garanzia per il futuro, ma ci raccontano di una squadra che non è arrivata per caso in cima alla Western Conference, e che l’ha sostanzialmente dominata, dall’inizio alla fine della stagione.
2) Perché l’Oracle Arena è diventata un fortino inespugnabile. Il pubblico di Oakland (la Dub-Nation, così si chiamano tra loro) è sempre stato caldissimo, pronto ad entusiasmarsi al minimo sussulto di un club che di gioie ne ha sempre regalate poche.
Con Steph Curry e Klay Thompson, la Bay-Area ha scoperto il senso di sé e un gruppo nel quale credere, formato da gente che è stata scelta dalla franchigia (gli Splash Brothers, ma anche Draymond Green e Harrison Barnes) o che è stata adottata (David Lee, che è il beniamino del proprietario, Larry Lacob).
Basta guardare una qualsiasi partita, per rendersi conto che i Warriors adorano giocare dinanzi al proprio pubblico, che è stato testimone di 34 vittorie, a fronte di sole 2 sconfitte; ottime notizie per una squadra che avrà il vantaggio del campo almeno fino alle Finali.
3) Perché Steph Curry, non è più solo un funambolo capace di mettere a sedere Chris Paul, ma è diventato anche un difensore credibile.
I Warriors hanno imparato a fare le piccole cose che consento a una squadra di diventare grande. Esaltati dal proprio ruolo, tutti hanno accettato dei sacrifici; Mareese Speights si impegna, Andre Iguodala esce dalla panchina, nessuno si lamenta per i pochi tocchi o per il minutaggio scarso.
L’aiuto difensivo è dato per scontato, le rotazioni dal lato debole arrivano con la puntualità dei treni svizzeri (e per certi versi, sono belle da vedere tanto quanto il movimento di palla in attacco), si passano i tiri per costruirne di migliori e tutti sono pronti a fare giocate intense, di quelle che cambiano l’inerzia di una partita.
4) Perché, sei hai Klay Thompson e Steph Curry, è tutto più facile. È ormai scontato dire che si tratti della coppia tiratrice più forte di tutti i tempi, ma la loro crescita va oltre il dato balistico, o il problema tattico di come marcarli.
Klay, da sempre un difensore d’élite, ha limato l’arsenale offensivo, aggiungendo al tiro mortifero la possibilità di mettere palla per terra, diventando molto più efficace in avvicinamento, trasformandosi in un All Star di rango.
Curry è sempre stato un attaccante fantastico. Il suo stile è il marchio di fabbrica di Golden State; è lui la scintilla iniziale di questa gioiosa macchina da guerra, ma quest’anno ha messo in mostra doti da leader, accettando di non avere sempre palla in mano, e difendendo con continuità per il bene del gruppo.
5) Perché hanno dimostrato di poter sopravvivere anche agli infortuni di Andrew Bogut, David Lee e Festus Ezeli. In sede di presentazione della stagione, anche noi (come tutti) avevamo identificato il tallone d’Achille di questa squadra nella scarsa profondità della front-line.
Golden State ci ha smentito, rimanendo competitiva anche durante le soste ai box del lungo di Melbourne, e dei rincalzi. È diventata preziosa la presenza di un jolly come Green, ma anche l’attitudine ad aiutarsi con la quale è facile mascherare certe lacune (in difesa come in attacco). Certo, meglio avere Bogut in campo, ma, se anche si dovesse far male, i Warriors non sarebbero automaticamente spacciati.
6) Perché sono stati i più continui nel corso della stagione: novembre chiuso con 13-2, dicembre con 11-3, poi 12-3 in gennaio, 8-3 in febbraio, e un marzo da 16-2 che testimonia una continuità mentale non scontata.
Alla vigilia dei Playoffs, come twitta Ramona Shelburne, Golden State ha cambiato l’assetto per farsi trovare pronta all’appuntamento più importante; è l’ennesima mossa sapiente di coach Steve Kerr, che ha invitato i suoi ad alzare ulteriormente il volume della radio per evitare pericolose pause mentali, creando motivazioni per finire bene nonostante abbiano già in tasca il primo posto nella Western.
7) Perché gli oltre 12 punti su 100 possessi che li separano dai loro avversari non danno la misura del divario tra Golden State e “gli altri”; segnano 109.5 punti su 100 possessi, e ne subiscono solo 97.4, entrambi migliori dati NBA.
I Warriors sono un 4×4 che si adatta a ogni tipo di avversario, e che può batterlo giocando il suo stesso gioco. Per chi li affronta la “coperta di Linus” è sempre troppo corta rispetto alla quantità incredibile di risorse della squadra di Kerr e Gentry, capace di giocare con i 4 piccoli senza andare sotto fisicamente, di difendere forte in ogni posizione del campo, di correre, e dotata di una gamma infinita di opzioni offensive, dal post alto di Bogut, al gioco senza palla di Thopson, passando per le zingarate di Curry.
8) Perché Steve Kerr si sta rivelando un allenatore di categoria superiore, rigoroso ma allo stesso tempo flessibile, bravissimo nel gestire i media e a entrare nei cuori e nelle menti dei propri giocatori.
In carriera ha giocato per due mostri sacri come Phil Jackson e Gregg Popovich, maestri della lavagnetta e di psicologia, dei quali è seguace eterodosso; arrivato ai Warriors, non ha preteso di trasformarli in una succursale dei Bulls o degli Spurs, ma (anche grazie ad Alvin Gentry, conosciuto quando ricoprì l’incarico di GM dei Suns) li ha condotti per mano verso un’identità originale, un modello adatto al basket moderno e al personale a disposizione.
9) Perché hanno recuperato giocatori raccolti dal marciapiede come Leandro Barbosa e Shaun Livingston, aiutandoli a rimettersi a lucido.
In una vita passata, Leandrinho era stato Sesto Uomo dell’Anno, ma il declino l’aveva portato lontano dall’NBA, a giocare all’Henrique Villaibom (824 posti di capienza). Poi, il ritorno ai Suns e un gran Mondiale gli hanno consentito di riprovarci.
Shaun Livingston è la storia più bella di tutte, quella di un atleta fantastico che nel 2007 era in procinto di spiccare il definitivo balzo verso la grandezza, e che invece si trovò a terra per un tremendo infortunio al ginocchio. Lentamente ritornato all’attività, Shaun è parte vera di una squadra da titolo, con un contributo di qualità che va oltre le cifre.
10) Perché hanno una narrativa molto forte. Warriors, oggi, significa un certo modo di giocare, altruista, spettacolare (senza essere fine a se stesso), con tanti giocatori iconici e un pubblico molto coinvolto. Tutti questi elementi formano un’identità che va di là dal semplice “essere forte”, e creano una mistica, un legame molto forte tra i giocatori, lo staff tecnico, e il pubblico.
I Warriors sono tutti sulla stessa lunghezza d’onda, a prescindere da schemi e personale in campo; i giocatori danno la sensazione d’avere un’identità che li lega, una missione comune, e reciproca empatia. In una parola? Sono una squadra.
Questi sono dieci motivi per i quali i Warriors sono favoriti, e ce ne sarebbero altri; tuttavia, i favori del pronostico non garantiscono l’anello, soprattutto oggi, perché la concorrenza non manca, ed è agguerritissima. Curry & Co sono attesi alla prova più difficile: dovranno confermarsi, serie dopo serie, fino alle Finali.
Ci riusciranno? Per scoprirlo, non resta che sintonizzarsi sui Playoffs NBA!
Seguo la NBA dal lontano 1997, quando rimasi stregato dalla narrazione di Tranquillo & Buffa, e poi dall’ASB di Limardi e Gotta.
Una volta mi chiesero: “Ma come fai a saperne così tante?” Un amico rispose per me: “Se le inventa”.
A me danno l’impressione di volere il miglior record della NBA molto di più degli Hawks, che ne pensi Francesco?
Penso che lo vogliano tutti, potendo. Golden State ha il vantaggio di una panchina molto profonda, sinonimo di continuità nel corso della Regular Season (non ci si stanca troppo, se ci sono infortuni si sopravvive).
speriamo….e’ da quando vidi la prima volta i RUN TMC e poi dopo il mitico Latrell che mi sono innamorato di questa squadra…