Tra i tifosi dei Phoenix Suns, di questi tempi, serpeggia un certo disappunto. La franchigia dell’Arizona, già per tradizione non particolarmente fortunata (quarto miglior record complessivo nella storia NBA – 2092W/1695L – ma zero Larry O’Brien in bacheca, con le tre squadre più vincenti che invece si spartiscono 38 titoli), viene da una clamorosa e sorprendente stagione da 48 vittorie, utili a garantire… niente più del nono posto ad Ovest (solo la seconda volta negli ultimi 40 anni in cui una squadra con così tante vittorie ha mancato la Post-Season).
L’estate successiva, poi, pochissime squadre erano in una posizione migliore dei Suns nella griglia di partenza per la Free Agency 2014: il GM Ryan McDonough poteva infatti contare su un mix di giovani rampanti già a roster e sufficiente spazio salariale per aggiungere addirittura due “Max Contracts” senza la necessità di fare sacrifici importanti, situazione che praticamente nessun’altra franchigia poteva eguagliare.
Ma l’Arizona è pur sempre l’Arizona e Phoenix è pur sempre un mercato secondario della lega in quanto a visibilità e giro d’affari, e così McDonough, partito in missione per dare la caccia a qualche orso (James, Anthony, Bosh & co), è riuscito a portare a casa solo l’equivalente di una quaglia (Isaiah Thomas); e l’estate poteva finire pure peggio, vista l’infinita querelle per il rinnovo di Bledsoe che sembrava non arrivare mai e le conseguenti voci di trades che si rincorrevano, ma almeno in questo caso alla fine tutto si è risolto nel migliore dei modi per Phoenix.
“Fast Forward” alla stagione in corso: i ragazzi di Hornacek partivano per confermare quanto di buono visto nell’annata precedente e centrare quella Post-Season che in Arizona manca ormai dal 2010, ed effettivamente tra alti e bassi (questi ultimi forse più frequenti di quanto preventivato) i Suns sono rimasti in corsa per acciuffare l’ultimo vagone del treno Playoffs per oltre metà stagione.
A due giorni dalla chiusura del mercato, però, arriva l’ennesima doccia fredda: Goran Dragic, unico vero volto della franchigia dopo l’addio di Nash, chiede di essere ceduto in quanto insoddisfatto della sua situazione all’interno dell’affollato back-court di Phoenix.
McDonough non può far altro che accontentarlo e alla trade deadline lo manda a Miami per qualche spicciolo, ma al contempo decide di non fermarsi lì e negli stessi ultimi concitati minuti del mercato cede Isaiah Thomas (Celtics), Tyler Ennis (Bucks), Miles Plumlee (Bucks) e la pick Top-5 Protected 2015 dei Lakers (76ers) ricevendo in cambio Brandon Knight e una valanga di giocatori che finiscono per essere tagliati subito o messi a roster solo per fare numero fino a fine stagione.
I motivi di tale smobilitazione sono stati spiegati chiaramente dallo stesso McDonough, che in un’intervista si è auto-accusato di aver appesantito troppo le rotazioni del back-court con l’acquisizione di Thomas, e che avrebbe quindi cercato di riequilibrare il roster via trade.
La squadra ad oggi è matematicamente ancora in corsa per i Playoffs, ma le scelte societarie e l’andazzo delle ultime partite (5 vittorie nelle ultime 15), combinate al rendimento recente di Westbrook e compagni (11 vittorie nelle ultime 15), fanno intendere che salvo miracoli anche questa stagione andrà archiviata con un nulla di fatto, rimandando tutto alla prossima annata.
Ora prendete tutto quanto sopra, shakeratelo, aggiungete un paio di cubetti di ghiaccio ed otterrete un drink in grado di mandare in depressione anche il più ottimista dei monaci buddisti.
Eppure, analizzando la situazione dei Suns in maniera più dettagliata, i motivi per essere fiduciosi in prospettiva futura non sembrano mancare, al di là di tutto quello che è successo negli ultimi tempi.
Primo dato di fatto: McDonough è entrato in carica a maggio 2013, ereditando un roster senza capo né coda che veniva dalla seconda peggior stagione della sua storia (25-57). Nel giro di una sola estate ha ceduto tutti coloro che per motivi contrattuali e/o di età non rientravano più nei piani a lungo termine della franchigia (Gortat, Scola e Dudley tra gli altri) accumulando draft picks e giovani su cui basare la prima fase del rebuilding.
Che il suo intento fosse quello di costruire un roster da tanking o meno, sta di fatto che la squadra ha saltato a piè pari la fase in cui ogni squadra in ricostruzione perde una partita dietro l’altra ed ha iniziato a vincere fin da subito: ed oggi, a meno di due anni di distanza dall’inizio del processo, il roster di Phoenix si ritrova pieno di ragazzi che ancora devono raggiungere il loro picco ma che stanno già dimostrando quanto sia alto il loro potenziale.
Eric Bledsoe sta disputando la sua prima vera stagione completa da titolare (ai Clippers era una riserva, mentre l’anno scorso ha saltato quasi metà delle partite per infortunio), e sta viaggiando a medie di 17.2 punti, 6 assist e 5.5 rimbalzi, uno dei soli 7 giocatori che in stagione si stanno mantenendo sopra la fatidica statline 15 + 5 + 5; inoltre, è uno dei soli 6 “tuttofare” che hanno fatto registrare 2 o più triple doppie in questa Regular Season.
Markieff Morris sta diventando il go-to-guy della squadra nei momenti critici, e per un buon motivo: l’ala grande di Phoenix è infatti estremamente affidabile sia attaccando dal post (48.2% di conversione su 275 possessi) sia in isolamento puro (50% di conversione su 98 possessi), numeri che lo mettono nella Top 10 dell’intera lega per efficienza in entrambe le situazioni.
Alex Len è diventato il centro titolare “rubando” il posto a Plumlee, nonostante sia di fatto un esordiente visto che ha saltato quasi interamente la scorsa stagione (la sua prima in NBA) per problemi alle caviglie: l’ucraino conta solo 21.6 minuti di impiego a serata (paga spesso i troppi falli e l’inesperienza in generale), ma le sua statistiche proiettate sui 36 minuti si attestano su medie di 10.7 punti (52% dal campo su soli 8.4 tiri a partita), 10.8 rimbalzi e 2.6 stoppate.
Considerando che a detta di Hornacek e McDonough i tre giocatori di cui sopra costituiscono le fondamenta su cui costruire i futuri Suns, le premesse appaiono davvero confortanti.
In più, quasi tutti i giocatori che costituiscono l’attuale “core” del roster sono inquadrati in una situazione contrattuale che dà ai Suns la possibilità di non dover affrettare troppo i tempi: i già citati Eric Bledsoe (25 anni, contratto fino al 2019), Markieff Morris (25 anni, contratto fino al 2019) ed Alex Len (21 anni, contratto fino al 2018) formano 3/5 dello Starting Five, in aggiunta a Marcus Morris (stesso contratto del fratello), Archie Goodwin (20 anni, contratto fino al 2018), TJ Warren (21 anni, contratto fino al 2019) e Reggie Bullock (23 anni, contratto fino al 2018) tra le seconde linee.
C’è poi Brandon Knight (23 anni), che sarà Restricted Free Agent in estate e che nelle intenzioni della società dovrebbe andare ad aggiungersi al gruppo di giovani su cui continuare a costruire, salvo eventuali problemi con il rinnovo.
Tolti i giocatori che a fine stagione saranno Unrestricted Free Agent (Gerald Green, Brandan Wright, Marcus Thornton), l’unico giocatore a roster sopra ai 25 anni rimane PJ Tucker (29 anni, contratto fino al 2017): di fatto i Suns sono una delle squadre più giovani della lega e lo saranno ancora di più dopo la scadenza in estate dei contratti di cui sopra, ma nonostante la scarsa esperienza sono da due anni a ridosso della zona Playoffs nella complicata Western Conference, ed è presumibile che nelle prossime stagioni la situazione sia destinata a migliorare ulteriormente.
E’ vero, la perdita di Dragic è un brutto colpo nel breve e medio termine per i Suns, che di fatto hanno perso uno dei giocatori più forti a roster e che avrebbe potuto contribuire in maniera determinante nella crescita dei compagni più giovani, ma una volta appurata la volontà del giocatore di lasciare l’Arizona McDonough è comunque riuscito ad incrementare la futuribilità della squadra sostituendo lo sloveno con Knight, 5 anni più giovane e non lontano come valore assoluto (almeno in prospettiva).
E c’è di più: le altre operazioni portate a termine alla trade deadline, pur indebolendo la squadra per la stagione in corso, hanno permesso a Phoenix di abbassare notevolmente il salary cap, creando spazio che potrà essere utilizzato in estate per il rinnovo di Knight e per offrire contratti ai nuovi Free Agent.
Sintetizzando, Phoenix ha già oggi un roster su cui puntare per il futuro e sufficiente spazio salariale per migliorarlo ulteriormente: non male per una squadra che è partita con il rebuilding non più di 20 mesi fa, considerando che molte franchigie hanno iniziato la ricostruzione da più tempo e sono tutt’ora nel limbo.
Certo, pur con buone basi di partenza il successo nei prossimi anni non è garantito, e per svariati motivi: Bledsoe e Len hanno una storia clinica che induce prudenza, e ad oggi non si possono escludere ricadute che potrebbero pregiudicare il loro rendimento futuro; i gemelli Morris hanno qualche problema comportamentale di troppo e in ogni caso sono entrambi giocatori piuttosto monodimensionali, che hanno bisogno di lavorare su diversi aspetti del loro gioco; le riserve più giovani hanno mostrato sprazzi incoraggianti, ma è ancora tutto da verificare il loro apporto alla squadra nei prossimi anni; l’ampio spazio salariale a disposizione, come già visto la scorsa estate, non garantisce automaticamente un miglioramento del roster.
Infine, pur ipotizzando che ogni singolo componente del roster riesca a raggiungere il suo massimo potenziale, mancherebbe comunque la stella assoluta a cui ogni squadra che vuole vincere il titolo si deve affidare.
Le possibilità che le cose non funzionino dunque ci sono, ma d’altra parte non è possibile escludere i rischi quando si avvia un progetto a lungo termine di questo tipo: ciò che è importante, per Phoenix e per i suoi tifosi, è che ad oggi esistano tutte le premesse per fare bene in prospettiva futura.
Ma serve pazienza e comprensione da una parte della barricata e dall’altra, tenendo sempre a mente che per età media del roster, potenziale dei giocatori e situazioni contrattuali, ben poche squadre nella lega possono competere con i Suns in quanto a futuribilità: poi, come sempre, l’ultimo giudizio lo potrà dare solo il campo.
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Articolo originariamente pubblicato per il nostro blog Rising Suns]
Cresciuto a pane e calcio, nei primi anni 2000 inizia a seguire il basket NBA e nel 2005-06 si innamora del “7 Seconds or Less” dei Suns di D’Antoni: tifoso Phoenix da allora, nutre un’infinita ammirazione per Steve Nash.