Atalanta, l’eterna incompiuta della Eastern Conference, sta viaggiando oltre le aspettative inanellando vittoria dopo vittoria. I recenti successi in trasferta con Portland e Clippers hanno rafforzato l’identità di una delle poche squadre che ad est ha dato prova di poter essere competitiva anche contro le corazzate dell’ovest.
Siamo ancora lontani dall’essere “compiuta” ma le potenziali per essere protagonista ci sono. La parte più difficile sarà quella che permetterà a questo gruppo di fare l’ultimo salto di qualità, l’ultimo gradino per poter competere ai massimi livelli. L’ottima stagione finora disputata poggia su basi tutt’altro che solide ed è iniziata in un momento storico per la franchigia ricco d’incertezza.
In estate un caso di razzismo simil-Sterling ha portato all’auto-sospensione il G.M. Danny Ferry e la stessa franchigia è stata messa in vendita con alcune voci che vorrebbero un suo spostamento a Seattle. Un background decisamente poco idoneo per poter lavorare al meglio.
Atlanta ha una continuità di risultati che da diversi anni permette l’approdo ai play-off ma sia le edizioni precedenti targate Mike Woodson e Larry Drew sia quella della stagione scorsa di Mike Budenholzer non sono riuscite mai ad andare oltre il secondo turno.
La squadra con Joe Johnson, Josh Smith, Jamal Crawford e Mike Bibby era più talentuosa di quella attuale ma con un grande limite, quello di affidarsi in attacco principalmente alla capacità di uno contro uno dei singoli, aspetto deleterio nei play-off in cui gli Hawks si sono arresi anno dopo anno a difese organizzate nel togliere ad Atlanta i punti di riferimento.
Per questo motivo assistiamo ad un cambio in panchina nel 2013 e contemporaneamente ad un cambio di roster radicale. In arrivo dagli Spurs il primo assistente di Popovich Mike Budenholzer e largo ai giovani Teague e Horford, con i senatori non riconfermati o scambiati nell’arco di un paio di stagioni.
Atlanta decide di puntare su un gruppo di nuovi giocatori che hanno in comune una militanza negli Utah Jazz: Korver, Carroll e Millsap. I tre formano con i sopracitati Teague e Horford il quintetto base degli Hawks delle ultime due stagioni.
Uno starting-five equilibrato ma privo di vere super star che al secondo anno assieme sfrutta la maturata conoscenza reciproca e un’intesa di gioco affinata e perfezionata sotto la direzione di Budenholzer che orchestra un gioco di flusso che non prevede un finalizzatore principale: tutti e cinque viaggiano in doppia cifra di media ma nessuno si avvicina ai venti punti.
Il nuovo coach ha cambiato in toto la filosofia del gioco di Atlanta, oggi un gioco di transizione e letture, di movimento e di condivisione ispirato si da quello degli Spurs nell’anima ma dalle idee tecniche e dalle strategie offensive e difensive diverse.
Millsap e Horford formano una coppia di lunghi intercambiabili, il primo con un raggio di tiro anche oltre l’arco dei tre punti, il secondo più continuo in post basso, ed entrambi ottimi realizzatori dalla media. Poco cambia quando entra Pero Antic, primo cambio degli interni, in grado di allargare maggiormente il campo rispetto ad Horford in un attacco fondato sulle spaziature.
I ruoli nel roster di Atlanta sono più che definiti e la selezioni dei tiri in fase offensiva è precisa e metodica. Rispetto ad altre squadre più estremiste Atlanta non disdegna anche soluzioni dalla media distanza purché frutto di una lettura attenta, moltissimi i pick-and-roll per liberare uno dei due lunghi.
La presenza di Korver, da sempre specialista del tiro da tre che sta vivendo letteralmente una seconda giovinezza con percentuali realizzative irreali, permette alle due dimensioni del gioco interno-esterno degli Hawks di essere ancora più efficaci.
Una squadra da “catch-and-shoot” che usa con il contagocce le penetrazioni e che ha una rotazione a otto uomini in cui dalla panchina entra Schroder, play tedesco al secondo anno, come cambio di Teague e Tabo Sefolosha come cambio degli esterni.
Atlanta è squadra perfetta per la stagione regolare con un impianto di gioco solido e redditizio ma potrà avere dei grossi limiti nei play-off dovuti alla mancanza di un giocatore capace di prendersi la squadra sulle spalle nei momenti decisivi.
Quello che da un lato è uno dei punti di forza degli Hawks in questo momento della stagione più avanti potrà essere un limite di fronte alle migliori squadre già ad est che possono far affidamento a James e Rose per i possessi decisivi.
Quella che sarà invece una costante anche nella post season sarà la difesa, molto aggressiva sia gli esterni sia sul pick and roll che prevede un aiuto del lungo che spesso si trasforma in un raddoppio al palleggiatore. Sia Horford che Millsap hanno una mobilità tale da permettere questa strategia completata da una pre rotazione degli esterni pronti a coprire le posizioni che il passatore può cercare dopo il blocco.
Molta responsabilità individuale nelle situazioni di possibile uno contro uno e una difesa molto aggressiva sono la ricetta alla base degli ottimi risultati di Atlanta, un interessante punto di partenza in vista dei playoff.
La strada per diventare realmente contender è ancora lunga e i progressi intravisti in questa stagione dovranno essere confermati in post season dove l’approdo al secondo turno potrebbe non sembrare sufficiente viste le attese createsi.
Con i Cavs in crisi e in attesa di rimodellarsi dopo gli ultimi scambi gli Hawks se la giocheranno con Chicago e Toronto fino alla fine per il primo posto assoluto ad est pronti poi a spiccare il volo magari alla finale di Conference.
ma siamo così sicuri che è meglio avere una superstar per i PO? cioè finali di partita meglio palla a 1-2 che si isolano o avere un gioco di squadra e prendere quasi sempre il tiro migliore? con questo nn dico che atlanta vincerà il titolo, però alla fine contano più le statistiche di squadra che del singolo. dopo tutto esempi recenti come cavs del primo lbj o nugget con Anthony a parte qualche anno favorevole però poi nn hanno vinto niente e appena hanno trovato una squdra decente uscivano (tipo orlando di van gundy).
infatti a me fa veramente impressione Golden state per presenza di fenomeni e grandi giocatori ma dentro un sistema efficacie sia in attacco che in difesa.
Io sono veramente sorpreso da quanto stanno facendo gli Hawks: ovviamente per i risultati, ancor più per il gioco. Dopo l’inizio di stagione ho cercato di seguirli più attentamente e son sempre rimasto soddisfatto. Francamente, escludendo I lunghi titolari, non mi parevano granché, invece Teague è stata una bella scoperta (almeno per me…anche se leggendo un po’ in giro per il web son certo di non essere l’unico…)
Ciò detto penso anch’io che l’assenza di una stella potrà pesare nei playoff (ovviamente pronto ad essere smentito da un ulteriore salto di qualità in post-season di uno tra i vari Teague, Horford, Millsap…), perché in certe situazioni, quando schemi ed impianti di gioco cedono il passo all’emotivita, spesso (se non sempre) è la capacità del singolo nel modificare gli equilibri fino a quel punto stabiliti a divenire la chiave di volta.
Dico un’eresia…la dico.
A me ricordano un po’ i Pistons 2004. Nessuna grande stella, ma tanti ottimi giocatori che giocano benone sui due lati del campo e una gestione democratica dei tiri. Teague a fare il Billups, Sefolosha a fare il Prince, Millsap a fare Sheed (esagerato qui…), Horford a fare il Wallace (pur essendo molto più dotato nel complesso) ed infine Korver a fare l’Hamilton ed il suo famoso “ricciolo”.
Mi piacciono parecchio.
E’ la rivincita dei piccoli mercati in NBA: Atlanta, Toronto, GSW, Washington, Memphis, Portland.
A parte Dallas, Chicago e Houston…
Bella storia anche se sono un Lacustre giallo-viola.