Prendete un orologio, di quelli raffinati, di altissima qualità. Provate ad aprire la cassa, un granellino di polvere ad intaccare gli ingranaggi.
Ecco che la perfezione dei meccanismi, tutto il gioco sapientemente costruito e studiato, vanno a farsi benedire.
Se poi provate a togliere un paio di quegli stessi ingranaggi, non dovrete stupirvi se il predetto, raffinatissimo, orologio perde qualche colpo ma anzi, dovrete chiedervi “come” quello stesso orologio continui, nel bene e nel male, a funzionare.
Fuor di metafora, l’esempio di cui sopra descrive bene l’attuale situazione dei San Antonio Spurs.
Un dicembre senz’altro ostico, quello dei Campioni in carica, con 6 vittorie e 9 sconfitte, sette delle quali nelle ultime nove partite giocate (dato aggiornato alla sconfitta contro i Pelicans del 26 dicembre).
Viene dunque da chiedersi: sono ancora loro, nella Western Conference 2014/15, la squadra da battere? E, in ultima analisi, saranno in grado, tra sei mesi, di combattere ad armi pari con le altre contenders per l’anello 2015?
Ecco dunque che a soccorrerci c’è l’esempio di cui in apertura di articolo.
Gli Spurs sono una squadra che, generalmente, dedica l’inizio di ciascuna stagione all’affinamento della chimica di squadra, con il graduale inserimento dei nuovi innesti nel sistema targato Popovich e con lo studio e la sperimentazione di nuove soluzioni, di gioco e di tattica.
E’ quindi attesa, se così possiamo dire, una certa altalenanza di risultati, figlia anche di un uso abbastanza ponderato dei veterani.
Se in un’equazione del genere, però, si inserisce il fattore “infortuni”, ecco che il risultato finale cambia.
Fuori Kawhi Leonard, ultimo MVP delle Finals, uomo da 15,2 punti e 7,6 rimbalzi di media in stagione, dopo Duncan il principale terminale degli Spurs (13,6% di PIE).
Fuori Tony Parker, il metronomo dell’intero sistema (16,5 punti e 5,3 assists e quasi il 30% delle segnature dei compagni).
E allora ci si ritrova con Kyle Anderson, matricola da molti candidata a vincere lo “Steal of the Draft 2014”, in quintetto base, a far compagnia al buon Cory Joseph che, con tutta la buona volontà, ai livelli del franco-belga manco si avvicina (dovendo considerare poi che Patty Mills, che così bene fece lo scorso anno, rientrerà solo a gennaio).
Non è questione di cifre, non solo almeno. Non si tratta dei 31 punti, 8 rimbalzi e 7 assists a sera che senza Parker e Leonard Coach Popovich si è trovato a dover spartire tra gli altri giocatori, ma è un discorso più complesso, o se vogliamo da un certo punto di vista, più semplice.
Chimica, nient’altro.
Tony Parker garantisce spaziature e circolazione di palla che Joseph, pure eccellente interprete del sistema durante la gestione ad interim del playmaking della squadra, non arriva ad assicurare.
La vittoria del 22 dicembre contro i Clippers, con Parker al rientro, ne è una conferma: Spurs “al bacio”, con tempi e spazi perfetti, percentuali al tiro altissime (72 punti segnati al riposo lungo, 125 al termine della partita), il tutto conditi con 26 punti 4 assists e 2 palle rubate del nativo di Bruges in 34 minuti di gioco.
La controprova nelle due uscite del 25 e 26 dicembre, rispettivamente contro Thunder e Pelicans, dove Parker ha giocato solo metà della prima gara (10 punti e 5 assists contro un Westbrook semplicemente stellare), prima di prendere il tunnel degli spogliatoi e rimanere fuori contro Davis & Co per un riacutizzarsi del già noto infortuno.
Guarda caso, sono arrivate altre due sconfitte.
Al contempo, è evidente la differenza che durante la gara fa l’assenza di Kawhi Leonard. Il già citato Anderson, schierato in quintetto base al posto del #2, sta dando il suo contributo, ovviamente non paragonabile all’apporto del suo pari ruolo.
Sul giovane Kyle, però, vanno spese due parole: l’ala ventunenne da UCLA, al di là delle cifre (3,3 punti e 3,2 rimbalzi, 35,8% al tiro e 30% dall’arco), sta dimostrando un progressivo inserimento nel sistema e nonostante alcuni peccati di gioventù ed inesperienza (completamente bucata la gara contro i Pelicans), a mio avviso ha le carte in regola per essere l’ennesimo grande colpo al Draft da parte dei texani.
Se alle mancanze dei due titolatissimi, aggiungiamo quella “polvere negli ingranaggi” di cui dicevano prima, arriviamo alla quadratura del cerchio.
Durante la visione delle due gare in triplo overtime contro Memphis e Portland (Spurs prima squadra dai tempi di Cincinnati nel 1951 a giocare due partite consecutive con 3OT), nonché quelle contro Dallas, Oklahoma e New Orleans (tutte sconfitte) ho notato alcune “sbavature”, alcune imperfezioni nel sistema di gioco nero-argento.
Pur affascinato da come detto sistema funzioni anche con interpreti di minor caratura (contro i Mavs sono scesi in campo Joseph, Belinelli, Anderson, Baynes e Diaw), mi sono saltate all’occhio delle fisiologiche incertezze, dei rallentamenti nella circolazione di palla che giocoforza si sono poi riversate in una selezione dei tiri di minor qualità.
Lo stesso valga anche per le due sconfitte contro Grizzlies e Blazers, dove a giocarsela erano comunque Duncan (maestoso, sempre più leggendario), Green, Diaw e Ginobili. Proprio questi ultimi due, in particolare, hanno regalato perle a loro solite, affiancate però da alcune (decisive, ahimé) giocate infauste.
In buona sostanza, nel momento in cui Parker e Leonard saranno pronti per il definitivo rientro, sarà l’accurata pulizia di febbraio (operazione solita in periodo ASG) a spazzare via quelle sbavature sinora evidenziate.
Dal canto mio, dopo 19 anni passati a vedere e crescere con un sistema di gioco creato e migliorato, di anno in anno, da Popovich, capace di adeguare la sua sconfinata cultura cestistica all’evolversi dei tempi, non metto più la monetina contro i nero-argento, tanto più che sono sempre i Campioni NBA in carica reduci da due Finals consecutive.
E pare non farlo neanche Zach Lowe, che il 23 dicembre su Grantland piazzava gli Spurs al terzo posto del power ranking della Western Conference, stigmatizzando l’entità e la mole di infortuni che stanno flagellando i texani come l’unico reale motivo di una classifica “bugiarda”, tale da piazzarli al settimo posto nella Conference, a una sola gara di distanza dall’ottava Phoenix.
Certo, e qui chiudo, il peso specifico degli infortuni subìti e delle incertezze o presunte falle del sistema, nell’odierna Western Conference hanno un peso specifico assai maggiore di quanto potessero averne negli anni passati, o anche solo nell’attuale Eastern.
Quest’anno, infatti, si stanno palesando realtà nuove ed intriganti, a volte sorprese, a volte conferme, ma in fin dei conti talmente numerose da non consentire, a chi volesse correre per i traguardi di giugno, nemmeno un passo falso. Ma questo coach Popovich lo sa.
Laureato in Legge, appassionato di basket e fotografia, guardo la vita attraverso un obiettivo e con la palla a spicchi in mano…
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Ottimo articolo, complimenti