In Northern California si comincia a fare sul serio. E non solo perché gli Splash Brothers di San Francisco continuano a crescere esponenzialmente anno dopo anno, trascinando i Golden State Warriors alla vetta in solitaria della Pacific Division, dopo la prima settimana e mezzo di NBA.
Qualcosa deve essersi smosso anche leggermente più su, in quella zona che fino a qualche tempo fa era al centro del ciclone mediatico per il possibile trasferimento in pompa magna della sua squadra di basket in quel di Seattle, ma che adesso invece comincia ad apprezzarne di nuovo qualità e risultati, che con tanta pazienza stanno cominciando ad arrivare.
Stiamo parlando ovviamente dei Sacramento Kings, tornati prepotentemente alla ribalta dopo la migliore partenza dai tempi in cui White Chocolate la spiegava sui campi di tutta America.
Un record di 5 vittorie e 2 sconfitte, come non si vedeva dalla stagione 2001-02, ovvero da quando la franchigia californiana chiuse la stagione perdendo la serie di finale di Conference contro i Los Angeles Lakers del three-peat per 4-3, non con pochi strascichi polemici.
Ma quello che sorprende di più della partenza dei Kings in questo primissimo scorcio di stagione non è tanto il record in sé e per sé, bensì i miglioramenti evidentemente tangibili che la squadra di Malone ha compiuto in questi 5 mesi abbondanti di off season, a testimonianza della validità del suo progetto di crescita psicologica prima ancora che tecnica.
Nelle ultime stagioni infatti, non poche volte abbiamo visto i giocatori di Sacramento pensare più alle cifre del proprio tabellino prima ancora che al bottino globale di squadra. Il risultato? Un carosello di allenatori che vanno e vengono, come traghettatori di una barca pronta ad affondare per via delle vicende societarie della famiglia Maloof, ed una franchigia allo sbando, sia dal punto di vista della pianificazione a lungo termine, che da quello più semplice dei risultati.
Con l’avvento di Michael Malone, questa tendenza sembra però essere arrivata sul punto di un’inversione drastica di direzione, tanto che lo stesso coach è arrivato oggi a dichiarare: “Abbiamo davvero un gruppo di ragazzi unici, che attraverso le vittorie stanno rapidamente trovando un forte legame tra di loro. ‘Vincere’ è la soluzione a tutti i problemi di coesione, e i nostri ragazzi si stanno legando molto velocemente”.
Il gruppo è cambiato drasticamente nelle ultime due stagioni, grazie soprattutto allo sforzo operato dal front office per aggiungere alla causa una serie di veterani provenienti da contesti più o meno vincenti.
Dell’annata 2012-13, l’ultimo prima del cambio di proprietà, rimangono solo DeMarcus Cousins e Jason Thompson. Questo a testimonianza di come le cose, a Sacramento, siano state indirizzate verso una piega obiettivamente nuova, potenzialmente positiva nel lungo periodo.
Ma è soprattutto sul campo che abbiamo potuto riconoscere l’intervento concreto della mano di Malone. Primo fra tutti, quello operato nella metà campo difensiva.
I Kings sono passati dall’essere la 23° squadra della NBA per defensive rating (106.3) l’anno passato, al nono posto attuale (100.0). Ovvero concedono appena 100 punti agli avversari ogni 100 possessi, 101 se il dato viene calcolato nei termini tradizionali dei “punti concessi” (l’andamento dal 2008 ad oggi è mostrato nello schema affianco).
Altro dato che sta a sottolineare il netto miglioramento difensivo della squadra white and purple, è quello legato alla percentuale dal campo degli avversari. Si è scesi dal 46.1% della stagione scorsa (20esimo posto nella speciale classifica dedicata) al 40% spaccato concesso in queste prime sette uscite (quarti nella NBA).
In più, la squadra sta mantenendo un livello di dominio nel pitturato che già l’anno passato rappresentava il tratto distintivo del gioco di Malone. 29% è la percentuale dei rimbalzi offensivi (quarti anche qui) catturati finora, 78.1% quella dei rimbalzi difensivi tra i palloni avuti a disposizione (nella top 3 della Lega).
Dopotutto, il quarantatreenne nativo di New York, veniva già accreditato di aver fatto cambiare faccia alla difesa dei Golden State Warriors nel 2011, in qualità di vice-allenatore e defensive coordinator. Adesso, sta lasciando il suo marchio sui Kings.
In attacco, le geometrie e le chiavi vengono lasciate nelle mani del duo DeMarcus Cousins – Rudy Gay. Subito dopo la coppia formata da Stephen Curry e Klay Thompson a Golden State, quello di Sacramento è il secondo miglior tandem di realizzatori dell’intera NBA, con 45.3 punti a serata (23 il primo, 22.3 l’ex-Raptors). E proprio come gli Splash Brothers, Cousins e Gay sembrano aver trovato la giusta ispirazione verso la retta via grazie soprattutto alla militanza nel Team USA che quest’estate ha scherzato ai mondiali spagnoli.
Per un Isaiah Thomas che se ne va, i Kings hanno deciso di ingaggiare un Darren Collison, che in queste sette partite ha pian piano allontanato i dubbi che aleggiavano sulle sue spalle riguardo le sue stesse capacità di recitare un ruolo da “terzo violino” in questa squadra. Con un contratto di soli 16 milioni in 3 anni, i Kings sperano di aver trovato un playmaker puro che possa difendere meglio del metro e settantacinque di Thomas sulle point guard più fisiche.
Collison finora non ha deluso le aspettative della dirigenza di Sacramento, con 14.7 punti a partita (terzo miglior scorer dei Kings), ma soprattutto 6.3 assist e un differenziale assist/turnover da 3.67 (ottavo miglior dato tra le guardie della Lega), che garantiscono una discreta circolazione di palla e una maggiore fluidità al gioco della squadra di Malone.
C’è da dire che comunque i Kings rappresentano un’anomalia statistica nella NBA di oggi. Una squadra che tira con il 27.1% da 3 su poco più di 15 tentativi a serata (peggiori dati della Lega), che distribuisce poco più di 18 assist (terz’ultimi nella NBA) perdendo 16.6 palloni, la storia insegna che non è una squadra vincente. Se tiri male da fuori e fai circolare male la palla in attacco, nella Lega più importante del globo non sopravvivi.
Eppure Sacramento continua a volare, nonostante l’ultimo passo falso ieri notte contro i Thunder. Adesso che con il record di 5-2 ha stupito tutti, la squadra californiana ha bisogno di trovare continuità di risultati se vuole recitare un ruolo importante nella Western Conference attuale.
Il calendario non è di quelli semplici, dato che offre le trasferte a Dallas e a Memphis, per poi giocare in serie in casa contro San Antonio, New Orleans e Chicago, e poi chiudere il mese contro ancora Pelicans, Rockets, Spurs e Grizzlies.
Saranno in grado di ritagliarsi un posto per i playoff? Solo il tempo saprà dircelo, ma la strada intrapresa è comunque incoraggiante.
Appassionato di basket americano e di calcio, soprattutto quello inglese da qualche tempo, è laureato triennale in Scienze Politiche presso la LUISS di Roma e studia Marketing presso lo stesso ateneo. Gioca agonisticamente a basket. Conta diverse collaborazioni sul web come redattore sportivo, specializzato in basket NBA. E’ regolarmente iscritto all’ODG del Lazio come pubblicista.
Solo per farti i complimenti, bell’articolo ricco di interessanti dati statistici…una curiosità: dove prendi questi dati? Grazie
In giro per la rete e su stats.nba.com! Grazie dei complimenti!
Bellissimo articolo, Emiliano.
Cosa ne pensi della nuova giocatori di giovani americani: Curry, Irving, Cousins, Westbrook, Durant, Lillard etc.
Team Usa sarà imbattibile con questi secondo te?
E’ in atto un ricambio generazionale nel mondo della pallacanestro. Vecchie schiacciasassi come Argentina, Spagna, Lituania, sono nel pieno di una rivoluzione che le costringerà ad affrontare le prossime manifestazioni internazionali da un’altra prospettiva, mentre Team USA ha a disposizione gente, come quella che hai citato tu, che ha già vinto una medaglia mondiale o che comunque nasce pronta per i grandi palcoscenici. Per cui sì, attualmente li vedo imbattibili a livello internazionale, anche se non ritengo questa generazione “dominante”. La differenza la farà il livello medio delle altre squadre, come visto a questi ultimi mondiali…
Ti faccio i complimenti, perchè sei molto bravo ed i tuoi articoli molto belli.
Lo sai molte persone mi dissero: visto che la Spagna ha perso solo di 7 punti con Lebron, Kobe e Durant ora vincerà di 20 0 30 punti con tutti, USA compresi”. Questo per farti capire la superficialità di certe persone.
Ti ringrazio! :-)
Ti volevo appunto chiedere Emiliano: cosa ne pensi di questa superficialità? Ovvero di quelli che dicevano:Visto che la Spagna ha perso solo di 7 punti con Lebron, Kobe e Durant ora vincerà di 20 0 30 punti con tutti, USA compresi”?
Sinceramente un ragionamento del genere mi lascia abbastanza perplesso, perchè mi fa rendere conto dell’ingenuità dilagante di alcuni tifosi del gioco. La Spagna è stata fino a tempi recentissimi una squadra sicuramente ultra-competitiva sul piano internazionale, che a mio modesto parere poteva sì tenere testa agli USA di Kobe, LeBron e gli altri, ma non aveva tutte le carte per poterli battere. Le individualità degli Stati Uniti erano decisamente superiori, soprattutto per la facilità realizzativa di alcuni giocatori in particolare.
Il ragionamento che dici tu, come hai ben detto, fa acqua da tutte le parti, anche perchè non bisogna dimenticarsi che il tempo passa anche per la generazione stellare degli spagnoli, e da questo scaturiscono secondo me le ultime difficoltà della Roja.